Dopo il trionfo dei sensi nel baccanale ritmico dello Scherzo, l'Adagio schiude un lembo purissimo di paesaggio dell'anima, in calma e trascendente beatitudine di vita spirituale. Beatitudine - in tedesco Seligkeit - è la parola che piú di frequente ricorre nei commentatori. Soltanto uno, il Prod'homme, parla di «douloureux accents», forse per inveterata abitudine che il tempo lento d'una Sonata o Sinfonia debba scandagliare gli abissi del dolore. In realtà siamo a distanza incommensurabile dai primi «adagi» beethoveniani, espressione di un dolore cocente e d'abbattimento mortale dopo il rovello della ribellione, oppure secondo il titolo del Quartetto op.18 n.6 - di blanda «malinconia». L'Adagio della Nona indirizza la composizione verso una sfera liberamente religiosa: non semplice tenerezza, ma il calore benefico d'un amore fraterno e universale, che ha superato le miserie dell'io e abbraccia nell'empito della sua misericordia tutte le creature.
Sulla profondità religiosa e sullo slancio verso il sublime di questo Adagio sono d'accordo tutti i commentatori (soltanto il candido Otto Neitzel ci vede la beatitudine di due innamorati, del resto confrontati anche loro - nei solenni accenti della Coda - con la maestà del trono celeste!) La dolcezza dell'espressione, cosí lontana dalla tragicità di certi tempi lenti del primo e del secondo stile beethoveniano, sfiora quella forma vocale barocca ch'era chiamata l'«aria da chiesa» (celebre esempio, autentico o falso che sia, quella di Stradella), che poi ebbe larga imitazione nella musica strumentale, per esempio in molti lenti di Mozart. Una sorta di estatico rapimento religioso che si avvicina alla soavità un po' dolciastra delle Madonne di Carlo Dolci, del Sassoferrato, o del Murillo.
Occorre sottolineare come la beatitudine manifesta in questo Adagio appartenga interamente al futuro: è una speranza, un'aspirazione, un anelito. «Annuncio di pace sopra le tempeste della vita, - scrive il Bekker, - fiducia in un mondo migliore e piú puro», ma «la tendenza ottimistica di questo movimento si fonda su promesse da sfere al di là dei sensi». Promessa, appunto, di un avvenire migliore, elevato «messaggio di consolazione». Ciò distingue nettamente la categoria espressiva di questo e di altri Adagi beethoveniani da movimenti di Mozart che potrebbero sembrare analoghi. In Mozart non c'è tanto la speranza d'una felicità futura, quanto piuttosto una specie di ricordo ancestrale d'una felicità passata - il paradiso terrestre, l'età dell'oro - che l'uomo ha perduta ma che gli è dovuta. In Mozart l'immagine della felicità ha quasi l'aspetto d'una rivendicazione. In Beethoven si tratta di un'aspirazione, di un romantico anelito verso qualche beatitudine vagheggiata, ma in fondo non ben nota: la categoria dell'anelito e dell'aspirazione è totalmente sconosciuta al razionalismo mozartiano. Col lento e continuo palpito della sua natura ritmica il terzo tempo della Nona ne è la piú insigne formulazione musicale. In Mozart la felicità è un prima, in Beethoven un poi.
Come risulta dallo schema formale, la struttura del pezzo è apparentemente semplicissima, molto piú che nelle complesse anomalie del primo e del secondo tempo. Di fatto, invece, dei quattro tempi della Sinfonia, l'Adagio è quello che presenta le maggiori difficoltà all'ascolto perché ci si può smarrire nella lunga durata delle singoli sezioni e perdere di vista il loro coordinamento, annegandosi all'intemo di ciascuna di esse. Come un palazzo che fosse fatto di settori disposti in perfetta simmetria, ma talmente enormi che questa simmetria l'occhio non arrivi a coglierla.
La forma, o piuttosto lo stile, la tecnica dell'Adagio è quella della «grande variazione», tipica del terzo stile beethoveniano, mescolata però con una parvenza di forma del rondò. Un rondò lento, ben inteso, spogliato di tutta la vivacità generalmente connessa con le iterazioni della forma di rondò. Qui, ad alternarsi sono non semplicemente due temi, ma due organismi musicali veri e propri, con cambiamenti di movimento e di misura (nella forma-sonata i due temi sono diversi per tonalità, ma non per movimento né, generalmente, per misura di battuta). Di questi due blocchi, uno è sottoposto a due variazioni, l'altro no, ed appare soltanto due volte in tutto, mutando tonalità e distribuzione strumentale, ma sostanzialmente intatto nel discorso melodico e armonico. Qualcuno gli attribuisce perciò carattere e funzione di Intermezzo sminuendone l'importanza (già sappiamo che spesso l'importanza espressiva di un frammento può essere superiore alla sua importanza formale). I tedeschi, poi, chiamandolo Zwischenthema, compiono l'ulteriore errore di svilire a semplici temi quelli che sono due compiuti organismi musicali.
Diciamo subito che proprio da questo fatto - essere l'Adagio formato non di due semplici temi, bensí di due blocchi musicali può sorgere qualche perplessità circa la felice fusione unitaria del pezzo. Adagio e Andante si alternano, distinti e incomunicanti come l'olio e l'acqua: non cooperano ad un risultato comune, almeno dal punto di vista formale. Ma la sintesi si attua nel campo dell'espressione, ed è compromessa, se mai, da un terzo elemento contenuto nella Coda. Tale perplessità può essere convalidata - o forse è suggerita - dal fatto che la melodia dell'Andante preesisteva alla concezione generale di questo movimento della Sinfonia, e il compositore si decise in un secondo tempo a impiegarvela. Ciò parrebbe provato da una frase del nipote Carlo in un Quaderno di conversazione dell'autunno 1823: «Mi fa solo piacere (es freut mich nur) che ci hai messo dentro (hineingebracht) il bell'Andante». La formulazione della frase lascia pensare che questo Andante già esistesse, e fosse anche apprezzato ed ammirato da chi lo conosceva, fra gli intimi di Beethoven; solo avesse bisogno di trovare una destinazione, o piuttosto sia stato distolto da una prima destinazione (forse quartettistica) per trovar posto nella Nona Sinfonia. Negli schizzi di Beethoven esso precede infatti cronologicamente la melodia dell'Adagio vero e proprio, inventata per ultima, dopo ogni altro tema della Nona Sinfonia, e si presenta, come vedremo, in forma lievemente diversa, piú sciatta e volgare, accompagnata dall'indicazione «alla Minuetto».
Sulla profondità religiosa e sullo slancio verso il sublime di questo Adagio sono d'accordo tutti i commentatori (soltanto il candido Otto Neitzel ci vede la beatitudine di due innamorati, del resto confrontati anche loro - nei solenni accenti della Coda - con la maestà del trono celeste!) La dolcezza dell'espressione, cosí lontana dalla tragicità di certi tempi lenti del primo e del secondo stile beethoveniano, sfiora quella forma vocale barocca ch'era chiamata l'«aria da chiesa» (celebre esempio, autentico o falso che sia, quella di Stradella), che poi ebbe larga imitazione nella musica strumentale, per esempio in molti lenti di Mozart. Una sorta di estatico rapimento religioso che si avvicina alla soavità un po' dolciastra delle Madonne di Carlo Dolci, del Sassoferrato, o del Murillo.
Occorre sottolineare come la beatitudine manifesta in questo Adagio appartenga interamente al futuro: è una speranza, un'aspirazione, un anelito. «Annuncio di pace sopra le tempeste della vita, - scrive il Bekker, - fiducia in un mondo migliore e piú puro», ma «la tendenza ottimistica di questo movimento si fonda su promesse da sfere al di là dei sensi». Promessa, appunto, di un avvenire migliore, elevato «messaggio di consolazione». Ciò distingue nettamente la categoria espressiva di questo e di altri Adagi beethoveniani da movimenti di Mozart che potrebbero sembrare analoghi. In Mozart non c'è tanto la speranza d'una felicità futura, quanto piuttosto una specie di ricordo ancestrale d'una felicità passata - il paradiso terrestre, l'età dell'oro - che l'uomo ha perduta ma che gli è dovuta. In Mozart l'immagine della felicità ha quasi l'aspetto d'una rivendicazione. In Beethoven si tratta di un'aspirazione, di un romantico anelito verso qualche beatitudine vagheggiata, ma in fondo non ben nota: la categoria dell'anelito e dell'aspirazione è totalmente sconosciuta al razionalismo mozartiano. Col lento e continuo palpito della sua natura ritmica il terzo tempo della Nona ne è la piú insigne formulazione musicale. In Mozart la felicità è un prima, in Beethoven un poi.
Come risulta dallo schema formale, la struttura del pezzo è apparentemente semplicissima, molto piú che nelle complesse anomalie del primo e del secondo tempo. Di fatto, invece, dei quattro tempi della Sinfonia, l'Adagio è quello che presenta le maggiori difficoltà all'ascolto perché ci si può smarrire nella lunga durata delle singoli sezioni e perdere di vista il loro coordinamento, annegandosi all'intemo di ciascuna di esse. Come un palazzo che fosse fatto di settori disposti in perfetta simmetria, ma talmente enormi che questa simmetria l'occhio non arrivi a coglierla.
La forma, o piuttosto lo stile, la tecnica dell'Adagio è quella della «grande variazione», tipica del terzo stile beethoveniano, mescolata però con una parvenza di forma del rondò. Un rondò lento, ben inteso, spogliato di tutta la vivacità generalmente connessa con le iterazioni della forma di rondò. Qui, ad alternarsi sono non semplicemente due temi, ma due organismi musicali veri e propri, con cambiamenti di movimento e di misura (nella forma-sonata i due temi sono diversi per tonalità, ma non per movimento né, generalmente, per misura di battuta). Di questi due blocchi, uno è sottoposto a due variazioni, l'altro no, ed appare soltanto due volte in tutto, mutando tonalità e distribuzione strumentale, ma sostanzialmente intatto nel discorso melodico e armonico. Qualcuno gli attribuisce perciò carattere e funzione di Intermezzo sminuendone l'importanza (già sappiamo che spesso l'importanza espressiva di un frammento può essere superiore alla sua importanza formale). I tedeschi, poi, chiamandolo Zwischenthema, compiono l'ulteriore errore di svilire a semplici temi quelli che sono due compiuti organismi musicali.
Diciamo subito che proprio da questo fatto - essere l'Adagio formato non di due semplici temi, bensí di due blocchi musicali può sorgere qualche perplessità circa la felice fusione unitaria del pezzo. Adagio e Andante si alternano, distinti e incomunicanti come l'olio e l'acqua: non cooperano ad un risultato comune, almeno dal punto di vista formale. Ma la sintesi si attua nel campo dell'espressione, ed è compromessa, se mai, da un terzo elemento contenuto nella Coda. Tale perplessità può essere convalidata - o forse è suggerita - dal fatto che la melodia dell'Andante preesisteva alla concezione generale di questo movimento della Sinfonia, e il compositore si decise in un secondo tempo a impiegarvela. Ciò parrebbe provato da una frase del nipote Carlo in un Quaderno di conversazione dell'autunno 1823: «Mi fa solo piacere (es freut mich nur) che ci hai messo dentro (hineingebracht) il bell'Andante». La formulazione della frase lascia pensare che questo Andante già esistesse, e fosse anche apprezzato ed ammirato da chi lo conosceva, fra gli intimi di Beethoven; solo avesse bisogno di trovare una destinazione, o piuttosto sia stato distolto da una prima destinazione (forse quartettistica) per trovar posto nella Nona Sinfonia. Negli schizzi di Beethoven esso precede infatti cronologicamente la melodia dell'Adagio vero e proprio, inventata per ultima, dopo ogni altro tema della Nona Sinfonia, e si presenta, come vedremo, in forma lievemente diversa, piú sciatta e volgare, accompagnata dall'indicazione «alla Minuetto».
(...)
Massimo Mila (tratto da "Lettura della nona sinfonia", PBE Einaudi, Torino, 1977)
3 commenti:
Ti ringrazio di aver pubblicato questa splendida analisi. Hai esaudito un desiderio che avevo espresso qualche tempo fa in un commento, e te ne sono davvero grato. Non sono un intenditore di musica classica, sono digiuno di cognizioni teoriche ma quel terzo movimento mi aveva incantato da subito. E l'analisi pubblicata è uno stimolo ad approfondire.
Mi sono infatti ricordato della tua richiesta.
Il libro di Massimo Mila potrebbe esserti di grande stimolo: se puoi, leggilo!
Ciao.
HvT
Una meraviglia ritrovarti in uno dei mesi che più amo, settembre.
Vorresti firmare anche tu l'appello contro la cancellazione della Libreria Bocca di Milano (fondata nel 1775), che ho pubblicato sul blog? E' la più antica libreria d'arte della città.
Un abbraccio
Cecilia
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