Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

mercoledì, dicembre 10, 2008

Che delitto aver dimenticato Shostakovich

Su «Liberazione» di ieri Alfonso Gianni, sottosegretario al ministero dello Sviluppo Economico, ha dedicato un corposo articolo a un'occasione perduta del morente 2006: il mancato ricordo in Italia del centenario della nascita del musicista russo Dimitri Shostakovich (1906-1975). Un intervento pregevole, ben documentato, che ricorda giustamente come quest'anno sia stato speso malamente nella repubblica della musica. Troppe cose su Mozart, non incisive, incollate alla meglio per un falso anniversario, un marasma in cui è difficile orientarsi; comunque Gianni salva il saggio di Lidia Bramani su Wolfgang Amadeus massone e rivoluzionario, uscito da Bruno Mondadori. Noi osiamo aggiungere che un altro libro meriterà la massima attenzione: usiamo il futuro perché vedrà la luce a fine gennaio: si tratta de I Mozart in Italia di Alberto Basso, che sarà pubblicato dall'Accademia Nazionale di Santa Cecilia. In esso - tre libri in uno, con le sue fittissime 700 pagine su doppia o tripla colonna - ci saranno tutti i documenti dei soggiorni nella nostra penisola di Wolfgang Amadeus e di papà Leopold, nonché le loro lettere dal Belpaese (quanto alla traduzione integrale dell'epistolario mozartiano, conviene perdere la speranza). Certo, Shostakovich è stato sottovalutato, ignorato, trattato come un musicista di seconda categoria, relegato nelle programmazioni quasi sempre come uno di terza. Alfonso Gianni rammenta la pregevole raccolta di lettere Trascrivere la vita intera (uscita da Il Saggiatore) che getta molta luce sul lavoro creativo di questo compositore e sui suoi rapporti; evita di citare la traduzione del saggio di Solomon Volkov Stalin e Shostakovich (pubblicato da Garzanti), forse perché ben informato del fatto che quest'opera fa emettere gridolini di gioia negli Usa ma dopo quasi tre anni non è ancora stata tradotta in russo. Ne deduca il lettore i motivi. Anche se non ce la sentiamo di condividere il giudizio che vede in Shostakovich il Beethoven del '900 (Gianni lo cita facendolo scortare da un «banalmente»), dobbiamo sottolineare che il sottosegretario spiega la grandezza del russo e, di conseguenza, denuncia il mancato ossequio della nostra cultura musicale come prova del suo cattivo funzionamento. Certo, un compositore che già con la Sinfonia n.1 del 1926 ottiene risonanza internazionale e che dalle esperienze estetiche dell'avanguardia rivoluzionaria (si intendano Prokofiev, Majakovskij ecc.) attraversa le fasi della creazione aggressiva, grottesca, esuberante; un musicista che percorre indenne l'atonalità e può permettersi di visitare il jazz, i temi popolari, di scrivere colonne sonore per il cinema e brani per il teatro, di inviare sberleffi a quelle partiture malate e melense che in Urss erano chiamate «borghesi»; insomma siffatto maestro mai perse la sua vena e il senso dell'epoca, rimanendo sempre un protagonista. Mentre da noi si inneggia al '68, lui può permettersi di scrivere - corre il ' 69 - la Sinfonia n.14, dove pessimismo e toni cupi sono il miglior requiem di quell'epoca (il contrario dell'opera di Luigi Nono Al gran sole carico d' amore, inizio anni '70, oggi non particolarmente ricordata). Ma tutti gli esempi non possono rendere il valore unico di Shostakovich che fu non soltanto artistico, ma anche civile e politico. Già, politico. Gianni evoca lo strampalato giudizio di Kruscev («la sua musica è soltanto frastuono, fa venire il mal di pancia»), che sembra tratto da un film di Alberto Sordi, ma non si sofferma su Stalin. Non vorremmo scandalizzare i benpensanti, ma sarebbe bene ricordare che il Piccolo Padre fu un ammiratore più che un denigratore di Shostakovich. Sì, lo sappiamo, c'è la famosa delibera di Zdanov del 1948 che metteva tra i nemici del popolo avanguardisti, futuristi, strutturalisti e simile marmaglia, ma non va dimenticato che Stalin telefonò personalmente al compositore all'indomani della pubblicazione di quell'infelice documento, proponendogli un viaggio in America. Tale notizia, che è stata ripetuta allo scrivente in alcuni incontri moscoviti, si può trovare confermata sulla «Pravda» del 25 settembre di quest'anno, in un' intervista al novantenne Tikhon Khrennikov (allievo di Prokofiev, beniamino di Stalin: lo aveva nominato - e tenne l'incarico 40 anni - presidente dell'Unione dei Compositori Sovietici). Di più. Da Pietroburgo, proprio in questi giorni, giungono in libreria i diari segreti del direttore d'orchestra Evgenij Mravinskij, con il titolo Le note del ricordo (Zapiski na pamjat, edizione Iskusstvo). La celebre bacchetta diresse in prima esecuzione quasi tutte le sinfonie di Shostakovich e di lui fu intimo amico. Ebbene: Mravinskij, che non ha alcun interesse a difendere il Piccolo Padre, giacché è morto da anni e mai pubblicò questi suoi scritti custoditi in luogo segreto, ricorda che il compositore oltre a prendere la tessera del Pcus dedicò alla rivoluzione sinfonie e altri brani ed ebbe con Stalin un buon rapporto, ricevendo gli omonimi premi, conversando in varie occasioni con lui eccetera. Quindi - e non è revisionismo spicciolo - molte biografie che lo presentano come dissidente e perseguitato sono da riscrivere. Insomma, la mancata celebrazione del centenario di Shostakovich è anche un'occasione perduta per aprire il discorso sui rapporti tra musica e politica. Nel '900 è impossibile ignorarli. Se Stalin fu un assiduo e non sbadigliante frequentatore del Bolshoi, non dimentichiamoci che anche il nazismo ebbe compositori e direttori d'orchestra che ne aiutarono il disegno. Forse è giunto il tempo di parlarne.

Armando Torno (Corriere della Sera, 29 dicembre 2006)

1 commento:

Giacomo ha detto...

Ciao a tutti, ottima idea quella di postare questo articolo. Sono un appassionato di Shostakovich ma questo non l'avevo mai letto; in quanto studente di storia contemporanea trovo davvero giusto quello che Torno dice sull' eventuale differente visione da adottare sulla figura del compositore. Mi sto documentando per il momento ma non mi sento, certamente, di far passare Shostakovich per sovversivo.
In alcune sue lettere usava il termine "compagno" in modo ambiguo (e questo è da valutare) ma il non essere andato oltre, (forse assecondando) gli ha consentito di sviluppare idee in netto contrasto fra loro, dalla 7a sinfonia alle jazz suites dove troviamo "Foxtrot". Non è tutto così scontato.
Grazie ancora per il post e per il blog.
Giacomo Cicognani