L'Europa riconosciuta: il talento del giovane Salieri riscoperto dopo due secoli.
Nessuno ha, nel secolo ventunesimo né nel ventesimo, ascoltato l'Europa riconosciuta di Antonio Salieri, l'Opera con la quale il 3 agosto 1778 si aprì il nuovissimo Teatro alla Scala di Milano. Addirittura, essa non venne più eseguita dopo la serie di recite milanesi. Al momento nel quale, oggi, essa è stata scelta per lo spettacolo d'inaugurazione del medesimo teatro dopo i lavori di restauro, si poteva temere che la decisione nascesse più da un obbligo storico di omaggio elegante che da ragioni drammatiche e musicali intrinseche. La Scala ha dovuto prodursi da sé un'edizione della partitura, al momento ancora manoscritta; e tale edizione è stata oggetto di studio anche da parte nostra, così che ne possiamo parlare a prescindere dall' effetto d'ascolto della prova generale. Le preoccupazioni vanno fugate perché l'Europa riconosciuta contiene una gran quantità di musica splendida pur essendo di una durata complessiva minore della gran parte dei prodotti di repertorio. Quando la qualità musicale non è splendida è sempre alta e rifinita, provenendo peraltro dalla mano di un orchestratore formidabile sebbene giovane. A soccorso della qualità musicale giunge una concezione drammatica singolare e d'un'efficacia notevolissima. Il pubblico deve però imparare a cogliere un linguaggio musicale che ha nello stesso tempo qualcosa di familiare e di alieno. Di familiare per le affinità, in qualche caso i presagi, con lo stile di Haydn e Mozart, e prima ancora di Giovanni Cristiano Bach, davvero rilevanti nel ventottenne Salieri. Di alieno, perché questo musicista, grande sebbene non dell'altezza somma dei primi due nominati, è, come Cherubini, che a lui assomiglia moltissimo, un caso a sé. Appartiene allo Stile Classico di sicuro per il suo essere di formazione fondamentalmente viennese e per gl'intrecci personali che lo avvinceranno persino a Schubert. Risuona però come qualcosa di più arcaico e di più moderno in un suo contorto senso. Chi avrebbe mai immaginato che Salieri e Cherubini fossero per sfociare in Berlioz e Liszt? Questi sono i paradossi storici. Tutti e tre stanno a metà dentro, a metà fuori l'unità formale e linguistica classico-romantica. Eppure un tempo Cherubini passava per emblema stesso del Classico, Berlioz del Romanticismo. Un'Opera come quella di Salieri il pubblico può ascoltarla oggi in teatri diversi o in Festivals specialistici; alla Scala, visto anche il modo di esecuzione così differente da quelli alla moda per musica datata 1778, farà un'impressione ancora più esotica, che va vinta. Il compositore che venne chiamato da Vienna per scrivere l'Opera inaugurale della Scala aveva, ripeto, solo ventotto anni. Ma aveva raggiunto una precocissima maturità: il suo livello artistico non muterà più coi decenni. Era un uomo intelligente e colto, Salieri, e alla fine di grande generosità, nonostante le calunnie di Mozart e l'effettiva sua rivalità con lui. Ai funerali di Amadé si trovarono in pochissimi: egli c'era. Il giovane aveva già raggiunto tale maturità: è del 1776 la sua versione di uno dei capolavori poetici del Settecento, La Passione di Metastasio. Di questo testo, insuperabile per scandagli psicologici, esistono numerosissime intonazioni. Fra quante conosca io, la più bella in assoluto si deve a Paisiello; la più drammatica, con una sorta di ferreo puntiglio, a Salieri. E si spiega. Proprio perché egli è dentro e fuori insieme dallo Stile Classico e da quel che lo precede, Salieri può esser raffigurato in un bassorilievo conservato a Vienna come il più vicino al letto del morente Metastasio ed essere, in musica, l'incarnazione di concetti lontani da quelli dell'Opera cosiddetta «metastasiana». Nel 1776 egli aveva già fatto la sua esperienza creativa fondamentale, la conoscenza del teatro musicale di Gluck. E Gluck è la radice di tutto il mondo eccentrico allo stile classico-romantico, fino appunto a Berlioz e Liszt. Solo un visionario ispirato da Gluck può aprire un'Opera, come Salieri apre l'Europa riconosciuta, con una Sinfonia strumentale interrotta e concepita secondo la Retorica del gesto musicale, non a partire da un'idea musicale intrinseca. Essa è infatti un pezzo d'impareggiabile forza drammatica, tale da costituire una vera sorpresa per lo spettatore; ma è del tutto atematica, essendo costituita solo di scale, arpeggi, sincopi ritmiche, accordi. Le Tempeste dello Stile classico sono tutte di elaborazione tematica, coerentemente, da Haydn a Wagner. Nell'Europa riconosciuta è possibile vedere come tre Opere inzeppate in una. Si tenderebbe ad aggiungere l'avverbio: «artificiosamente». Ciò che sarebbe artificioso per altri, corrisponde alla natura di Salieri; a prescindere dal fatto che le vicende dello stile si complicano sempre d'artificio. La descrizione dall'esterno dell'Opera incomincia col rilevare che i personaggi sono cinque. Uno solo è una voce virile: meno importante degli altri, è un tenore, dall'estensione corrispondente all'incirca a un attuale mezzosoprano un'ottava sotto. Ha una sola Aria di coloratura e per il resto dialoga con gli altri. Poi vi sono due coppie di un maschio e di una femmina ciascuna. Le due femmine corrispondono, all'incirca, a un attuale soprano sopracuto di coloratura; i due personaggi virili, aventi a destinatario ideale prima ancora che reale il castrato, sono due voci corrispondenti all'incirca all'attuale contralto. Si ripete «all'incirca» giacché lo stesso concetto di estensione vocale e di tessitura è in quest'Opera corrispondente a canoni diversi da quelli che si formeranno nel repertorio in Rossini e dopo di lui. I due soprani hanno una scrittura tecnicamente e stilisticamente affine: ne risulta che sono quasi indistinguibili sotto il profilo della moderna specificità in psicologia musicale. Dei due contralti si sarebbe per dire lo stesso se non fosse che la profusione melodica sparsa da Salieri nell'Opera benedice i loro pezzi patetici al punto che l'attenzione si rinnova di continuo e la profilatura psicologica perde rilievo. In una vicenda di rivalità amorose e politiche intessuta di fatti atrocissimi, i personaggi sono dal compositore concepiti come incarnazione di «affetti», termine aristotelico e aulico per definire i «sentimenti», non come individui: «affetti» in senso generalissimo,tipico, appunto. Altrimenti, sono concepiti addirittura come effetti di un evento drammatico astratto; il giuoco di parole non è voluto. Abbiamo allora una forma musicale tutta concepita dall'esterno, secondo necessità drammatiche preparate dal testo letterario, volgarmente chiamato «libretto»: cosicché le Arie sono artificiosamente (di nuovo!) spezzate, inframmezzate a Recitativo, a interventi corali, a moti strumentali, ovvero mettono capo a qualcosa d'inaspettato in confronto alle premesse musicali. Spesso il risultato è d'una concettosa brevità che i vecchi insegnanti di latino definivano come «retorica asiana», propria dell'epoca post-aurea. Questa è una delle tre Opere contenute nell'Europa riconosciuta. E qui l'impronta di Gluck è più potente. Torno a un concetto: perché in Salieri come in Gluck l'invenzione parte da una primigenia immagine plastica che diventa col lavoro creativo cosa musicale. In Mozart e Haydn l'invenzione parte da una primigenia immagine musicale che diventa col lavoro creativo anche cosa drammatica. Salieri usa tutti i mezzi sopra elencati per accumulazione e crescendo, altri espedienti dell'oratoria antica trasposti nei trattati di composizione musicale del Seicento e del Settecento. Perviene così a una attuazione drammatica della vicenda tradotta in musica di alta qualità. Ecco l'Opera «riformatrice» che corrisponde alle intenzioni del poeta drammatico, Mattia Verazi. Questi non è poeta, bensì un moderno regista che con le parole prepara il gesto drammatico attuato in musica. Di singolare finezza è un'osservazione di Pietro Verri nel descrivere l'Opera al fratello Alessandro in una missiva molto citata in letteratura, da ultimo da Paolo Gallarati nel perfetto saggio introduttivo composto per l'occasione di domani. Dice di Verazi il Verri: «uomo che non è poeta, né di lettere, ma teatrale»; sopra si è fatta solo la parafrasi dell'espressione citata. I materiali di partenza adoperati dal Verazi sono lacerti metastasiani, immagini, concetti, similitudini, involgariti ma volti ad altro effetto: quello drammatico, appunto, non quello poetico e psicologico, come in Metastasio. La seconda Opera contenuta nell'Europa riconosciuta è un' Opera-concerto secondo il vecchio modello fissato da Hasse decenni prima e rinverdito alla luce di un aggiornato Stile Classico alla viennese. Di qui la profluvie di colorature vocali specie nelle due parti di soprano con un'insistenza sui virtuosismi nel sopracuto che parrebbe rendere oggi addirittura ineseguibili le parti stesse. A onta dell'algida astrazione dello stile, che brilla come l'oreficeria di pietre dure, anzi pure a causa di esso, non si può che ammirare altamente la maestria e la rifinitura effuse da Salieri. Poi, ed eccoci per inavvertibile modulazione alla terza, v'è l'Opera che ti rapisce. Già si è detto dell'eleganza e del pathos di alcune Arie lente. Un Coro in Do maggiore nel I atto, O temide immortale, è un' arcana anticipazione (Gallarati adopera benissimo l' espressione «pre-eco») del Flauto magico. Il Finale, A regnar su questa sede, sembra esser stato volontariamente parodiato da Mozart in Bella vita militar di Così fan tutte: vi è quel po' di amido neoclassico che trovi pure nella Marcia dei soldati di Pizarro del Fidelio. Sempre nel II atto, un' Aria cantata da Semele, uno dei due soprani, è una strepitosa gara di bravura con un oboe solista. Dall'esterno, a chiunque verrebbe il paragone con il celebre episodio messo in versi da Giovambattista Marino, la contesa tra la voce umana e l'usignolo. Invece, proprio qui siamo del tutto di fuori dal Barocco: e le orecchie ti dicono di un richiamo autentico alla ventura, insuperabile, Sinfonia Concertante in Si bemolle maggiore di Haydn. Ecco il Salieri che, con la sua innaturale naturalezza, sta per intero entro lo Stile Classico.
Paolo Isotta (Corriere della Sera, 6 dicembre 2004)
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