Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

mercoledì, dicembre 24, 2008

Heinrich Schütz: Italia-Germania 4 a 3

"Non arrivava da solo: l'organista del duomo di Könisgberg, Heinrich Albert, che si era fatto un nome oltre i confini prussiani come compositore ed editore di raccolte di Lieder, portava con sè suo cugino: il maestro di cappella di corte Heinrich Schütz della Sassonia Elettorale che voleva comunque recarsi ad Amburgo e proseguire per Gluckstadt dove sperava di trovare l'agognato invito alla corte danese: nulla lo tratteneva più in Sassonia. Sull'inizio dei sessanta, quindi nell'età di Weckherlin, ma più energico dello svevo, consunto dal servizio di Stato, Schütz era un uomo di distante autorità e di severa grandezza che nessuno (anche Albert solo approssimativamente) riusciva ad afferrare. La sua comparsa tutt'altro che arrogante, semmai preoccupata per il presunto disturbo che arrecava, sublimò l'assemblea dei poeti di Telgte e d'altro canto ridimensionò l'incontro. Era venuto a loro qualcuno che nessun gruppo poteva sopportare. Non voglio farmi più furbo di allora, ma questo lo sapevano tutti, per quanto incontestata fosse la sua concezione di Dio e per quanto devoto, nonstante le ripetute offerte danesi, si fosse dimostrato al suo Principe, Schütz era tuttavia rimasto suddito solo delle proprie aspirazioni."

Heinrich Schütz appare all'improvviso nel mezzo di un romanzo dello scrittore tedesco Günther Grass. Non c'è da stupirsi: L'incontro di Telgte si svolge nel 1647 in una locanda tedesca durante la Guerra dei Trent'anni, affollato ritrovo di poeti ed artisti smarriti e divisi, ma tutti realmente esistiti e in cui Grass lasciava trapelare l'immagine contemporanea degli intellettuali appena usciti da una guerra ancora più terribile pur se molto più breve.
«Sì, è, un ritratto efficace del compositore tedesco» riconosce Matteo Messori, organista, clavicembalista e direttore, a cui Brilliant Classics ha affidato l'immane compito di incidere l'opera completo di Heinrich Schütz con il gruppo da lui fondato Cappella Augustana. I primi cinque dischi con le prime due parti delle Symphoniae Sacrae e la Weinachtshistorie sono usciti nel dicembre scorso; imminente la pubblicazione del secondo cofanetto con altri cinque dischi che includeranno la raccolta dei madrigali italiani, le Contiones Socrae e la prima parte dei Kleine geistliche Concerte. «Per arrivare alla fine di tutta l'opera di Schütz ci vorranno un'altra ventina di dischi. E' un'impresa considerevole - ammette Messori - e ci impegnerà per i prossimi anni con un ritmo di lavoro abbastanza serrato». Impresa che sembra un'occasione preziosa per riaprire la discussione su un musicista rimasto defilato perfino nella storia della musica tedesca. Eppure Schütz è un'infinita sorpresa. Già dal suo primo apprendistato musicale che, nonostante le resistenze della sua famiglia, lo conduce a Venezia nel 1609, si trova a vivere in una capitale musicale capace di sorprendere per la sontuosità sonora, come quella che era dispiegata per la celebrazione dei vespri. «A Venezia Schütz avrà per maestro Giovanni Gabrieli - racconta Messori - e qui nel 1611, a ventisei anni pubblicherà il suo opus primum, i Madrigali italiani. Sono composizioni finora non del tutto valorizzate dalla critica ed invece, a studiarle ed eseguirle, si sono rivelate come pagine assolutamente straordinarie. Dal punto di vista formale sono madrigali abbastanza lunghi, dieci su testo di Giambattista Marino, sei tratti dal Pastor Fido di Guarino, altri due su testi di poeti di scuola marinista e l'ultimo, un Dialogo a due cori, su testo probabilmente dello stesso compositore. Sono pagine in cui Schütz si impossessa dei tesori della scuola italiana fino in fondo. Con questo bagaglio musicale torna arricchito, pronto ad un lavoro di rinnovamento nello stile e nelle forme praticate in Germania».
Perché non riaprire ancora il romanzo di Grass? «Nessuno più di lui puntava sulla parola e che la sua musica doveva servire esclusivamente alla parola, voleva chiarirla, animarla, sottolinearne i gesti e sprofondarla, dilatarla, innalzarla in ogni abisso, vastità ed altezza. Schütz era severo con le parole e si atteneva alla tradizionale liturgia latina o alla lettera della bibbia di Lutero. All'offerta dei poeti contemporanei si era finora rifiutato nella sua opera principale, la musica sacra, salve le eccezioni del Salterio di Becker e di alcuni testi del giovane Opitz; i poeti tedeschi non avevano avuto niente da dirgli per quanto ardentemente egli ci avesse palesato i suoi desideri di testi...».
Messori dà ragione a Grass e anzi si spinge oltre: «Schütz è il grande musicus poeticus del XVII secolo. Lui cerca di dipingere musicalmente la parola in tutti i suoi affetti e con risultati che possiamo riscontrare solo nell'opera teatrale e madrigalistica di Monteverdi. Schütz è altrettanto grande nella musica sacra. Basterebbe ascoltare le sue Cantiones Sacrae che abbiamo registrato per il prossimo cofanetto della nostra Schütz-Edition. Qui c'è una vena intimistica che si rivela quando la musica viene a contatto con questi testi latini che ai tempi si credevano di San Agostino, ma che in realtà sono opera di mistici medievali. Erano diffusi anche in ambito luterano e hanno ispirato una devozione molto personale, domestica.»
Perché contare aiutava contro la fame, dice uno dei personaggi dei romanzo di Grass. Eppure persino contare divenne ad un certo punto difficile. A Dresda nel 1636 la Cappella dell'Elettore è in rovina, dimezzato, a causa della guerra e diventa difficile eseguire il canto a più parti. A questo periodo così critico appartengono i Piccoli Concerti Spirituali che Schütz compone su testi scritturali (Salmi in maggior parte) e sui versi di alcuni inni luterani. E' musica scritta per le poche forze rimaste. «Mai strumenti oltre a quelli di continuo, eppure in questa semplicità vi è una forza espressiva impressionante.»
Le future tappe del progetto discografico si profilano già all'orizzonte: «Stiamo pianificando la prossima stazione che prevede la registrazione delle Historiae, quella della Resurrezione Op.3 (1623), e le tre Historiae della Passione rimaste manoscritte, che appartengono all'ultimissimo periodo di vita di Schütz, opere molto intense, oltre a Le sette Parole di Cristo in Croce. Ci aspetta poi il secondo libro dei Piccoli Concerti Spirituali. Dopo affronteremo la terza parte delle Symphoniae Sacrae, che è del 1651, impressionanti pagine concertanti a più voci soliste, violini e altri strumenti e diversi cori di complemento».
E per l'edizione a quale attenersi? «Continuo a tenere presente, oltre alle fonti originali, l'edizione delle opere complete curata da Philipp Spitta a partire dal 1885 (in occasione del terzo centenario della nascita del Sagittario). A tutt'oggi resta un'edizione esemplare non solo per la sua importanza nella storia della fortuna di questo compositore ma perché è condotta con criteri filologici inattaccabili nell'epoca attuale dove trionfa la filologia musicale. C'è una precisione negli apparati critici che testimonia il riscontro puntuale delle edizioni a stampa e dei vari manoscritti. A malapena ho trovato un errore in ogni volume studiato. Ed è l'edizione che ha avuto per le mani Johannes Brahms che da direttore di coro e da compositore di polifonia ha sempre dimostrato di conoscere molto bene l'opera di Schütz. E' un'edizione che fa ancora testo se si pensa che la Neue Schütz Ausgabe uscita a partire dalla metà degli anni Cinquanta per Bärenreiter tra i molti discutibili criteri diplomatici (chiavi modernizzate, spesso valori originali alterati, realizzazione del basso continuo ecc.) trasporta un numero esorbitante di brani, facilitando le parti, per consentirne insomma l'esecuzione da parte dei cori di dilettanti diffusi in Germania. E ci sono registrazioni discografiche che se ne conformano come nulla fosse, tradendo così la variegata paletta tonale e coloristica insita nella musica di Schütz».
Nessun timore ad affrontare da musicista italiano gli opera omnia di uno dei massimi maestri della musica tedesca? «Schütz si lamentava che i cantanti e gli strumentisti tedeschi non erano abituati allo stile italiano e non smetteva di guardare all'Italia - che definisce «retta e vera scuola di ogni musica» - come punto di riferimento. Di fatti ci ritornerà una seconda volta nel 1628 e si accorgerà che a Venezia qualcosa era cambiato. Erano gli anni in cui si diffondeva l'opera in musica. Per questo credo interessante la prospettiva italiana sottesa a questo grande progetto discografico. Prospettiva che si arricchisce tramite l'importanza che abbiamo dato, di nuovo in questo secondo cofanetto, all'organo: le Cantiones sono state accompagnate da un antico strumento veneziano del 1730,effettuando la registrazione in cantoria, e un altro organo in stile emiliano scicentesco (assieme a violone e spinetta) ha sostenuto il basso continuo dei Piccoli Concerti del 1636.» Nei dischi sarà ridotta al minimo la presenza di contraltisti e Matteo Messori spiega perché: «C'è da intendere quali fossero i tipi di voce che cantavano le parti di alto al tempo di Schütz. La tessitura evidentemente non è quella del falsettista a cui siamo abituati oggi. Erano sicuramente voci di tenori acuti, che all'occorenza falsettavano nelle note più alte: di norma le linee del Sagittario non oltrepassavano il la. Nelle Cantiones e nei Piccoli Concerti Spirituali appena incisi le parti di contralto sono perciò sostenute da tenori mentre il trio di voci acute dei Madrigali è tutto femminile, sul modello allora molto seguito del Concerto delle Dame ferraresi. Sì, il legame con l'Italia per Schütz è sempre rimasto molto forte. E si può ripetere quel che ha scritto il musicologo Wolfgang Osthoff: la musica tedesca con Schütz ha imparato dall'Italia un proprio linguaggio, quella tensione alla parola, che era tipicamente italiana».

di Alessandro Taverna (Falstaff, n.3/2004)

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