Siamo nel giugno 1906, Mahler è nella sua residenza estiva di Maiernigg per perfezionare la strumentazione della Settima. E' invece investito, stando alle sue parole, dallo Spirito Creatore ed inizia a lavorare all'Ottava in uno stato di esaltazione tale da dargli l'impressione che la nuova opera non nasca da lui ma che gli "venga dettata" dall'alto. Nascono due diversi schemi preparatorii, ambedue aperti dall'inno medievale Veni, creator spiritus. Ben presto l'idea si completa con l'intenzione di musicare quale seconda parte della Sinfonia l'ultinia scena del Faust II di Goethe. Due testi, dunque, lontani quasi un millennio nel tempo, apparentemente incompatibili, ma in realtà legati, come Mahler intuisce, da precisi luoghi teologici. Il concetto di grazia ("Imple superna gratia"), l'aspirazione all'amore ("Infunde amorem cordibus"), l'idea d'una illuminazione divina ("Accende lumen sensibus"), esaltati nell'inno pentecostale attribuito a Rabano Mauro, tornano in altra veste nella lettura che Mahler dà della scena conclusiva del Faust. E d'altra parte una profonda unità spirituale si costruisce fra le due parti attraverso mezzi puramente musicali: sorta di Leitmotiv e di significative formulazioni tematiche s'intrecciano attraversando tutta la composizione, e costituendo anzi un'impressionante esegesi dei due testi.
Il dato fondamentale del Veni, creator risiede nell'integrazione della polifonia a carattere religioso, di ascendenza qui barocca, con la forma-sonata. Ove l'esposizione terminerebbe, dopo l'interludio orchestrale di disperata gaiezza, successivamente all'intonazione, di carattere straordinarianiente "malato", dell'"Infirma nostri corporis", e lo sviluppo si concluderebbe con la bellicosa parte in contrappunto avviata dalla doppia fuga del "Ductore praevio te". L'intero movimento è consegnato ad un ritmo di marcia che contrasta con l'effetto statico dovuto al permanere dell'armonia sempre nell'area di mi bemolle maggiore, infranta però già nel preludio orchestrale che avvia lo sviluppo, uno straordinario passaggio in cui il inateriale motivico viene letteralmente disgregato, tanto da far pensare più ad un processo di distruzione che di creazione: e una seconda volta poi, clamorosamente, nell'autentico colpo di scena che accoglie l'"Accende lumen sensibus", con un andamento che diverrà sempre più determinato, quasi minaccioso. E' il tema che più frequentemente tornerà nella seconda parte, con l'idea che maggiormente sta a cuore a Mahler, quella dell'illuminazione divina e quindi dell'amore.
Tanto il primo movimento appare serrato e può far pensare ad una sinfonia con voci e coro, quanto la seconda parte rinvia ad una serrata forma teatrale, scenico-drammatica. Dove la molteplicità delle soluzioni stilistiche mette assieme il brano strunientale, il corale, l'opera romantica, la cantata, l'oratorio ed il lied sinfonico. Dopo l'estesa introduzione strumentale (fra i momenti più affascinanti dell'intero lavoro) che disegna il silenzioso scenario di rupi e di santi anacoreti distribuiti su per il monte immaginato da Goethe, il coro apre l'immensa pagina con indicibile senso di mistero e con il fervore di semplici incastri delle voci. Prendono la parola il Pater ecstaticus, con appassionata sofferenza, ed il Pater profundus, secondo un canto irto di salti ascendenti, segnato da un cromatismo singolare in quest'opera sostanzialmente diatonica, ed assai vicino ad una temperie espressionista.
Nel primo coro degli Angeli, su cui si aprirebbe una ideale seconda parte di questo movimento, è indicata la chiave della salvezza: "Colui che insonne lotta per ascendere, / noi lo possiamo redimere". La redenzione di Faust è dunque nel suo Streben, nell'irrefrenabile tensione vitale. Mahler tuttavia non dà alcun risalto musicale a queste parole, ignorando così quello che per Goethe è il coronamento della vicenda di Faust. Il coro degli Angeli novizii che si apre con "Jene Rosen aus den Händen" contiene probabilmente il tema più infantile che Mahler abbia mai concepito, quasi una regressione ad una semplicità narcisistica. Mentre il coro degli Angeli compiuti, che parlano di un residuo terreno, riprende il tema dell'"Infirma nostri corporis", accomunando i due passi sul motivo della materialità che impedisce una piena disponibilità alla grazia.
L'ingresso del personaggio centrale del Doctor Marianus, a chiusura d'una possibile seconda parte, è preceduto dal coro dei Fanciulli beati che possiede accenti non lontani dal clima del Wunderhorn, con il suo sapore di allegrezza ingenua e visionaria. Ma la loro innocenza è troppo inconsapevole per valere quale via all'amore supremo, ed essi mostrano sul volto della beatitudine una sorta di enigmatico sorriso. Nel Doctor Marianus si personifica il 'soggetto etico' del pensiero di Goethe, il quale ne fa il personaggio più vicino, nella sua visione estatica, alla contemplazione della felicità celeste. Mahler tuttavia lo tratta come una sorta di esaltato tenore amoroso, di provenienza dichiaratamente operistica e primo-wagneriana.
Il suo tema d'amore, che svolge un ruolo fondamentale nel finale, è interamente ripreso ai violini nel momento in cui si avvicina la Mater gloriosa, in una tenue atmosfera disegnata dagli arpeggi delle arpe e dagli accordi tenuti dell'harmonium. A lei, "intatta e intangibile", si rivolge con candido fervore un coro maschile, nella tonalità celestiale di mi maggiore. In questa si nasconderebbe il simbolismo di ciò che è inattingibile, mentre il mi bemolle maggiore rappresenterebbe quanto può essere raggiunto. A lei rendono omaggio le tre Penitenti, che dopo aver cantato da sole in una soave leggerezza di accenti, si uniscono in una mozartiana innocenza seguendo un itinerario d'imitazioni in canone da cantare "come un bisbiglio". Un'altra Penitente, "chiamata un tempo Gretchen", canta con disarmante pudore sul tema della Mater gloriosa il suo dolcissimo "Neige, neige ("Deh, posa"). Si completa così un'altra delle idee fondamentali del finale goethiano: il crescere ed il divenire, attraverso gesti di mutuo soccorso, in una sorta di moto a spirale. Ma anche a questa concezione Mahler sembra rimanere estraneo.
La Mater gloriosa si rivolge all'ultima Penitente sul proprio tema all'arpa e ai flauti, ma sulla tonalità di Gretchen, mi bemolle maggiore: il tutto in un brillio ammantato di lustrini. Siamo, dopo l'ultimo intervento del Doctor Marianus, alle soglie del conclusivo coro mistico. E qui l'orchestra fa ascoltare la pagina forse più stupefacente dell'opera: una singolarissima musica delle sfere, in cui harmonium, arpe, celesta, pianoforte, ottavino generano un timbro che suona come un'eco vitrosa di glassharmonica. Una pagina immobile. Mahler pensava ad un "risuonare e vibrare dell'universo", ma qui non vi sono né pianeti né soli che ruotano: tutto prelude invece, con grande senso di teatralità, alla rivelazione carica di mistero, solenne ed intraducibile, del Chorus mysticus, che fa il suo ingresso in pianissimo. Questo interludio ce ne dà il senso assai più dell'immensa apoteosi che segue, dove autentiche ondate di sonorità sembrerebbero sommergere tutto. Ma è un brano di musica composta con precisi intenti simbolici. E' ciò che resta, fra altri temi ignorati, del Paradiso immaginato in modi estetico-formali da Goethe. Vi si agita ancora, per l'ultima volta, il tentativo di ribadire all'estremo il desiderio di totalità, l'idea dell'amore come spirito generatore che pervade tutta l'opera. Il tema dell'"Accende lumen sensibus" ricompare, mentre trombe e tromboni fuori scena ripropongono, secondo un titanico intento di ciclicità, la trionfale esaltazione del Veni, creator.
Il dato fondamentale del Veni, creator risiede nell'integrazione della polifonia a carattere religioso, di ascendenza qui barocca, con la forma-sonata. Ove l'esposizione terminerebbe, dopo l'interludio orchestrale di disperata gaiezza, successivamente all'intonazione, di carattere straordinarianiente "malato", dell'"Infirma nostri corporis", e lo sviluppo si concluderebbe con la bellicosa parte in contrappunto avviata dalla doppia fuga del "Ductore praevio te". L'intero movimento è consegnato ad un ritmo di marcia che contrasta con l'effetto statico dovuto al permanere dell'armonia sempre nell'area di mi bemolle maggiore, infranta però già nel preludio orchestrale che avvia lo sviluppo, uno straordinario passaggio in cui il inateriale motivico viene letteralmente disgregato, tanto da far pensare più ad un processo di distruzione che di creazione: e una seconda volta poi, clamorosamente, nell'autentico colpo di scena che accoglie l'"Accende lumen sensibus", con un andamento che diverrà sempre più determinato, quasi minaccioso. E' il tema che più frequentemente tornerà nella seconda parte, con l'idea che maggiormente sta a cuore a Mahler, quella dell'illuminazione divina e quindi dell'amore.
Tanto il primo movimento appare serrato e può far pensare ad una sinfonia con voci e coro, quanto la seconda parte rinvia ad una serrata forma teatrale, scenico-drammatica. Dove la molteplicità delle soluzioni stilistiche mette assieme il brano strunientale, il corale, l'opera romantica, la cantata, l'oratorio ed il lied sinfonico. Dopo l'estesa introduzione strumentale (fra i momenti più affascinanti dell'intero lavoro) che disegna il silenzioso scenario di rupi e di santi anacoreti distribuiti su per il monte immaginato da Goethe, il coro apre l'immensa pagina con indicibile senso di mistero e con il fervore di semplici incastri delle voci. Prendono la parola il Pater ecstaticus, con appassionata sofferenza, ed il Pater profundus, secondo un canto irto di salti ascendenti, segnato da un cromatismo singolare in quest'opera sostanzialmente diatonica, ed assai vicino ad una temperie espressionista.
Nel primo coro degli Angeli, su cui si aprirebbe una ideale seconda parte di questo movimento, è indicata la chiave della salvezza: "Colui che insonne lotta per ascendere, / noi lo possiamo redimere". La redenzione di Faust è dunque nel suo Streben, nell'irrefrenabile tensione vitale. Mahler tuttavia non dà alcun risalto musicale a queste parole, ignorando così quello che per Goethe è il coronamento della vicenda di Faust. Il coro degli Angeli novizii che si apre con "Jene Rosen aus den Händen" contiene probabilmente il tema più infantile che Mahler abbia mai concepito, quasi una regressione ad una semplicità narcisistica. Mentre il coro degli Angeli compiuti, che parlano di un residuo terreno, riprende il tema dell'"Infirma nostri corporis", accomunando i due passi sul motivo della materialità che impedisce una piena disponibilità alla grazia.
L'ingresso del personaggio centrale del Doctor Marianus, a chiusura d'una possibile seconda parte, è preceduto dal coro dei Fanciulli beati che possiede accenti non lontani dal clima del Wunderhorn, con il suo sapore di allegrezza ingenua e visionaria. Ma la loro innocenza è troppo inconsapevole per valere quale via all'amore supremo, ed essi mostrano sul volto della beatitudine una sorta di enigmatico sorriso. Nel Doctor Marianus si personifica il 'soggetto etico' del pensiero di Goethe, il quale ne fa il personaggio più vicino, nella sua visione estatica, alla contemplazione della felicità celeste. Mahler tuttavia lo tratta come una sorta di esaltato tenore amoroso, di provenienza dichiaratamente operistica e primo-wagneriana.
Il suo tema d'amore, che svolge un ruolo fondamentale nel finale, è interamente ripreso ai violini nel momento in cui si avvicina la Mater gloriosa, in una tenue atmosfera disegnata dagli arpeggi delle arpe e dagli accordi tenuti dell'harmonium. A lei, "intatta e intangibile", si rivolge con candido fervore un coro maschile, nella tonalità celestiale di mi maggiore. In questa si nasconderebbe il simbolismo di ciò che è inattingibile, mentre il mi bemolle maggiore rappresenterebbe quanto può essere raggiunto. A lei rendono omaggio le tre Penitenti, che dopo aver cantato da sole in una soave leggerezza di accenti, si uniscono in una mozartiana innocenza seguendo un itinerario d'imitazioni in canone da cantare "come un bisbiglio". Un'altra Penitente, "chiamata un tempo Gretchen", canta con disarmante pudore sul tema della Mater gloriosa il suo dolcissimo "Neige, neige ("Deh, posa"). Si completa così un'altra delle idee fondamentali del finale goethiano: il crescere ed il divenire, attraverso gesti di mutuo soccorso, in una sorta di moto a spirale. Ma anche a questa concezione Mahler sembra rimanere estraneo.
La Mater gloriosa si rivolge all'ultima Penitente sul proprio tema all'arpa e ai flauti, ma sulla tonalità di Gretchen, mi bemolle maggiore: il tutto in un brillio ammantato di lustrini. Siamo, dopo l'ultimo intervento del Doctor Marianus, alle soglie del conclusivo coro mistico. E qui l'orchestra fa ascoltare la pagina forse più stupefacente dell'opera: una singolarissima musica delle sfere, in cui harmonium, arpe, celesta, pianoforte, ottavino generano un timbro che suona come un'eco vitrosa di glassharmonica. Una pagina immobile. Mahler pensava ad un "risuonare e vibrare dell'universo", ma qui non vi sono né pianeti né soli che ruotano: tutto prelude invece, con grande senso di teatralità, alla rivelazione carica di mistero, solenne ed intraducibile, del Chorus mysticus, che fa il suo ingresso in pianissimo. Questo interludio ce ne dà il senso assai più dell'immensa apoteosi che segue, dove autentiche ondate di sonorità sembrerebbero sommergere tutto. Ma è un brano di musica composta con precisi intenti simbolici. E' ciò che resta, fra altri temi ignorati, del Paradiso immaginato in modi estetico-formali da Goethe. Vi si agita ancora, per l'ultima volta, il tentativo di ribadire all'estremo il desiderio di totalità, l'idea dell'amore come spirito generatore che pervade tutta l'opera. Il tema dell'"Accende lumen sensibus" ricompare, mentre trombe e tromboni fuori scena ripropongono, secondo un titanico intento di ciclicità, la trionfale esaltazione del Veni, creator.
di Ernesto Napolitano (1995, note nel box DG 445 843-2, Mahler, VIII Sinfonia, dirige Claudio Abbado)
5 commenti:
Sicuramente l'autore è Ernesto Napolitano (e non come scritto Napoletano); da dov'è tratto questo bell'articolo? Grazie come sempre delle "scoperte"!
Napolitano! Hai ragione, involontario refuso!
Note al doppio CD DG dell'incisione di Claudio Abbado del 1994.
Grazie.
HvT
Grazie per la correzione!
Buonasera, la casa di Mahler a Brunico è ridotta ad uno zoo con giardini per i bambini e a mio parere è stato tradito l'intento di Mahler che in questo luogo di raccoglimento e silenzio ha composto le sue più belle sinfonie.
Mi auguro che le autorità locali restituiscano a questo luogo la funzione di ascolto della musica.
@ Anonimo
Perchè Brunico? Forse intendevi Dobbiaco (Toblach)...
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