Al suo debutto a Bologna per Musica Insieme, il quartetto spagnolo si racconta: dalla fondazione, auspice il ‘nostro’ Antonello Farulli, ai più prestigiosi riconoscimenti internazionali.
Quella del Casals è la scelta orgogliosa di un nome che ricorda uno dei massimi musicisti spagnoli, ed insieme un uomo che ha combattuto per la causa della libertà e dei diritti civili in un periodo, come quello franchista, caratterizzato dal terrore e dalla repressione.
Il Casals nasce fra le mura della Scuola “Reina Sofia” di Madrid, e in poco più di dieci anni conquista e sbalordisce i suoi stessi insegnanti (da Antonello Farulli al Quartetto Alban Berg), il pubblico, le giurie internazionali, la critica specializzata.
In controtendenza rispetto al famigerato adagio secondo cui nessuno è profeta in patria, la Spagna offre da parte sua un grande sostegno alla compagine: il Casals è Quartetto Residente nei Conservatori di Saragozza e Barcellona, e protagonista di una propria stagione all’Auditorium catalano, che nel 2007 ne ha celebrato con tutti gli onori il decennale dalla fondazione. D’altronde, come ricorda in queste pagine Jonathan Brown, che del Casals è il violista, la Spagna non ha sviluppato una tradizione cameristica particolarmente florida, ed è quindi con giustificato orgoglio che la comunità nazionale ha fatto dei quattro i propri vessilliferi nel mondo, vittoriosi allo “Yehudi Menuhin” di Londra come al “Brahms” di Amburgo, borsisti della Fondazione Borletti-Buitoni ed ospiti del Carnegie Hall newyorkese come del Musikverein di Vienna. Ripercorriamo insieme a Jonathan Brown le tappe di questa irresistibile ascesa.
Cominciamo, come si usa, dalle presentazioni: il vostro è un nome piuttosto importante...
«Senza dubbio. Il nostro è di fatto il primo quartetto spagnolo ad essersi conquistato una carriera internazionale, perciò abbiamo scelto di fregiarci col nome di Pablo – in catalano Pau – Casals, ossia uno dei massimi interpreti spagnoli al mondo.
Quindi la scelta era pressoché obbligata. Ci onoriamo del nome di Casals per due fondamentali ragioni: perché lo ammiriamo musicalmente, com’è naturale, ma ammiriamo anche le sue battaglie umanitarie, nella resistenza contro il regime di Franco, e nell’impegno in prima persona per la pace e la democrazia nel mondo».
Da parte vostra, in tutta la Spagna siete già celebrati come un’istituzione.
«Pur avendo la fortuna di suonare in tutto il mondo, la nostra “sede operativa” è catalana, viviamo e lavoriamo a Barcellona, dove animiamo una nostra stagione cameristica, e siamo spesso invitati al Palazzo Reale di Madrid, dove possiamo imbracciare i preziosi Stradivari della famiglia reale. Suoniamo spesso per i monarchi di Spagna, e li accompagniamo nelle visite ufficiali: di recente ad esempio abbiamo tenuto un concerto per il Granduca del Lussemburgo».
Alla luce dei chiari di luna italiani, ed europei, pare un’eccezione. Come se lo spiega?
«È una situazione curiosa: in Spagna gli strumenti ad arco non hanno una grandissima tradizione; è un paese che ha dato i natali a grandi cantanti lirici, un paese dove fioriscono i cori o i complessi di fiati, e naturalmente più che mai la scuola chitarristica.
Ma per gli archi, dal violino al contrabbasso, la musica cambia; la continuità storica manca, il che è sicuramente uno svantaggio. D’altra parte però, negli ultimi venticinque anni la Spagna ha investito enormi energie nella musica classica. Innanzitutto si sono costruite un gran numero di nuove sale da concerto, tanto che la maggioranza delle città spagnole, grandi e piccole, può contare su sedi concertistiche moderne e funzionali, progettate sia per la cameristica che per la sinfonica. Anche i conservatori hanno conosciuto un incremento notevole, con la costruzione di nuovi edifici e la ristrutturazione degli esistenti, ed una rinnovata attenzione per il perfezionamento musicale, in particolare in ambito cameristico.
In generale, il pubblico di questi ultimi anni è assai ringiovanito e più motivato, oserei dire entusiasta... In sostanza, pur non potendo vantare una tradizione cameristica secolare come l’Austria o la Germania, la Spagna ha fatto davvero passi da gigante».
A proposito di tradizione germanica: vi siete perfezionati con l’Alban Berg Quartett, che ne rappresenta l’estrema e già leggendaria propaggine. Quali sono stati i suoi insegnamenti più preziosi?
«Il Casals ha studiato quattro anni a Colonia con l’Alban Berg, fino al 2003 (Brown utilizza la terza persona perché il suo ingresso ufficiale nel Quartetto risale al 2002, ndr). Credo che da allora a oggi tutti noi siamo maturati molto, trovando col tempo una nostra sonorità e un nostro modo di fare quartetto.
Tuttavia, fra le tantissime cose che abbiamo imparato dall’Alban Berg, una in particolare ci è stata di grande utilità: constatare in quanti modi diversi si possa pensare la musica, e riuscire a fonderli nell’esecuzione quartettistica. Mi spiego: abbiamo sempre studiato con i singoli membri dell’Alban Berg, e si trattava di quattro personalità diversissime, quasi contrapposte, tanto da far sembrare incredibile che avessero scelto di suonare insieme; e invece erano capaci di unire le proprie individualità in maniera unica. Un altro aspetto fondamentale era il livello tecnico elevatissimo che pretendevano dagli studenti: la preparazione doveva essere tale da permettere
ad ognuno di noi d’intraprendere la carriera solistica. Per l’Alban Berg quello era semplicemente un punto di partenza».
L’Alban Berg consigliava anche ai suoi studenti di affrontare innanzitutto le pietre miliari del repertorio, incominciando per così dire dai fondamentali. Con Haydn, Mozart e Beethoven, il vostro programma allinea tre padri fondatori del quartetto, quasi immortalando ciascuno di essi in un momento cruciale della propria produzione...
«Le opere in programma sono davvero capisaldi del repertorio quartettistico, la loro composizione abbraccia un quarantennio circa di storia musicale, e ciascuna di esse è a suo modo rivoluzionaria. Il Quartetto op. 33 n. 3 di Haydn lo è sotto molti aspetti: sotto il profilo armonico innanzitutto, e poi nella struttura; pensiamo ad esempio che Haydn vi inserisce per la prima volta uno Scherzo al posto del tradizionale Minuetto.
Inoltre l’opera 33 fa parte di un dialogo aperto fra Haydn eMozart: già con i Quartetti op. 20, Haydn aveva ispirato al giovane salisburghese la stesura dei sei Quartetti “viennesi” (che il Casals ha inciso nel 2005, ndr). Più tardi l’opera 33 darà aMozart lo spunto per i sei Quartetti dedicati ad Haydn, e il primo della serie è proprio il KV 387, in sol maggiore, che eseguiremo a Bologna. L’opera 130 di Beethoven, infine, è una musica assolutamente unica, non esiste nulla di simile nel genere quartettistico: si compone in sostanza di tre Scherzi, il movimento lento è una delle più belle cavatine strumentali mai scritte, e la Grande Fuga finale op. 133 è a sua volta un unicum nella storia del quartetto per archi. Anche l’ultimo movimento del Quartetto KV 387 di Mozart è un fugato; insomma, sono tre opere molto originali e percorse da un sottile filo rosso che le collega l’una all’altra».
In questa scelta tutta rivolta al classicismo viennese, possiamo leggere anche una scelta programmatica del Casals? Ossia la costruzione di un repertorio che poggi storicamente sulle origini del genere, per poi affrontarne magari le principali diramazioni storiche?
«Sicuramente ogni quartetto d’archi deve fare i conti con i fondamentali, ossia Haydn, Mozart e Beethoven, il cui approfondimento ed interpretazione sono imprescindibili. Ma più che seguire un percorso lineare, ritengo che il Casals affronti senza preclusioni la musica che più ama: e quindi Šostakovič, Ligeti e Bartók, le fughe di Bach e Dvorák... Che sia musica degli anni Ottanta o del 1780, non fa differenza, se la amiamo. Questa è in buona sostanza la nostra “strategia”».
Quindi c’è posto anche per la produzione contemporanea.
«Certo, per tutta la musica che ci comunica qualcosa, a prescindere dalla sua età... Commissioniamo opere inedite, ed abbiamo tenuto a battesimo quartetti degli spagnoli Jordi Cervelló, David del Puerto e Jesús Rueda, del tedescoHans Zender, o ancora di James MacMillan e di György Kurtág. Christian Lauba ci ha scelto per l’incisione del suoQuartettoMorphing».
Per una biografia futura del Casals: quali le prossime imprese?
«Continueremo come sempre ad insegnare a Barcellona e a viaggiare per i nostri concerti, ma fra i principali progetti in cantiere c’è l’uscita di un cd dedicato ad Haydn e la registrazione di un album di musica ungherese del ventesimo secolo, che comprenderà opere di Bartók, Ligeti e Kurtág. Infine, per la nostra annuale stagione cameristica all’Auditorium di Barcellona, fra il 2010 e il 2011 eseguiremo l’integrale dei quartetti di Dmitrij Šostakovič. E poi, molto altro ancora...».
di Fulvia de Colle ("MI Musica Insieme" n.3, Ottobre-Novembre 2009)
Il Casals nasce fra le mura della Scuola “Reina Sofia” di Madrid, e in poco più di dieci anni conquista e sbalordisce i suoi stessi insegnanti (da Antonello Farulli al Quartetto Alban Berg), il pubblico, le giurie internazionali, la critica specializzata.
In controtendenza rispetto al famigerato adagio secondo cui nessuno è profeta in patria, la Spagna offre da parte sua un grande sostegno alla compagine: il Casals è Quartetto Residente nei Conservatori di Saragozza e Barcellona, e protagonista di una propria stagione all’Auditorium catalano, che nel 2007 ne ha celebrato con tutti gli onori il decennale dalla fondazione. D’altronde, come ricorda in queste pagine Jonathan Brown, che del Casals è il violista, la Spagna non ha sviluppato una tradizione cameristica particolarmente florida, ed è quindi con giustificato orgoglio che la comunità nazionale ha fatto dei quattro i propri vessilliferi nel mondo, vittoriosi allo “Yehudi Menuhin” di Londra come al “Brahms” di Amburgo, borsisti della Fondazione Borletti-Buitoni ed ospiti del Carnegie Hall newyorkese come del Musikverein di Vienna. Ripercorriamo insieme a Jonathan Brown le tappe di questa irresistibile ascesa.
Cominciamo, come si usa, dalle presentazioni: il vostro è un nome piuttosto importante...
«Senza dubbio. Il nostro è di fatto il primo quartetto spagnolo ad essersi conquistato una carriera internazionale, perciò abbiamo scelto di fregiarci col nome di Pablo – in catalano Pau – Casals, ossia uno dei massimi interpreti spagnoli al mondo.
Quindi la scelta era pressoché obbligata. Ci onoriamo del nome di Casals per due fondamentali ragioni: perché lo ammiriamo musicalmente, com’è naturale, ma ammiriamo anche le sue battaglie umanitarie, nella resistenza contro il regime di Franco, e nell’impegno in prima persona per la pace e la democrazia nel mondo».
Da parte vostra, in tutta la Spagna siete già celebrati come un’istituzione.
«Pur avendo la fortuna di suonare in tutto il mondo, la nostra “sede operativa” è catalana, viviamo e lavoriamo a Barcellona, dove animiamo una nostra stagione cameristica, e siamo spesso invitati al Palazzo Reale di Madrid, dove possiamo imbracciare i preziosi Stradivari della famiglia reale. Suoniamo spesso per i monarchi di Spagna, e li accompagniamo nelle visite ufficiali: di recente ad esempio abbiamo tenuto un concerto per il Granduca del Lussemburgo».
Alla luce dei chiari di luna italiani, ed europei, pare un’eccezione. Come se lo spiega?
«È una situazione curiosa: in Spagna gli strumenti ad arco non hanno una grandissima tradizione; è un paese che ha dato i natali a grandi cantanti lirici, un paese dove fioriscono i cori o i complessi di fiati, e naturalmente più che mai la scuola chitarristica.
Ma per gli archi, dal violino al contrabbasso, la musica cambia; la continuità storica manca, il che è sicuramente uno svantaggio. D’altra parte però, negli ultimi venticinque anni la Spagna ha investito enormi energie nella musica classica. Innanzitutto si sono costruite un gran numero di nuove sale da concerto, tanto che la maggioranza delle città spagnole, grandi e piccole, può contare su sedi concertistiche moderne e funzionali, progettate sia per la cameristica che per la sinfonica. Anche i conservatori hanno conosciuto un incremento notevole, con la costruzione di nuovi edifici e la ristrutturazione degli esistenti, ed una rinnovata attenzione per il perfezionamento musicale, in particolare in ambito cameristico.
In generale, il pubblico di questi ultimi anni è assai ringiovanito e più motivato, oserei dire entusiasta... In sostanza, pur non potendo vantare una tradizione cameristica secolare come l’Austria o la Germania, la Spagna ha fatto davvero passi da gigante».
A proposito di tradizione germanica: vi siete perfezionati con l’Alban Berg Quartett, che ne rappresenta l’estrema e già leggendaria propaggine. Quali sono stati i suoi insegnamenti più preziosi?
«Il Casals ha studiato quattro anni a Colonia con l’Alban Berg, fino al 2003 (Brown utilizza la terza persona perché il suo ingresso ufficiale nel Quartetto risale al 2002, ndr). Credo che da allora a oggi tutti noi siamo maturati molto, trovando col tempo una nostra sonorità e un nostro modo di fare quartetto.
Tuttavia, fra le tantissime cose che abbiamo imparato dall’Alban Berg, una in particolare ci è stata di grande utilità: constatare in quanti modi diversi si possa pensare la musica, e riuscire a fonderli nell’esecuzione quartettistica. Mi spiego: abbiamo sempre studiato con i singoli membri dell’Alban Berg, e si trattava di quattro personalità diversissime, quasi contrapposte, tanto da far sembrare incredibile che avessero scelto di suonare insieme; e invece erano capaci di unire le proprie individualità in maniera unica. Un altro aspetto fondamentale era il livello tecnico elevatissimo che pretendevano dagli studenti: la preparazione doveva essere tale da permettere
ad ognuno di noi d’intraprendere la carriera solistica. Per l’Alban Berg quello era semplicemente un punto di partenza».
L’Alban Berg consigliava anche ai suoi studenti di affrontare innanzitutto le pietre miliari del repertorio, incominciando per così dire dai fondamentali. Con Haydn, Mozart e Beethoven, il vostro programma allinea tre padri fondatori del quartetto, quasi immortalando ciascuno di essi in un momento cruciale della propria produzione...
«Le opere in programma sono davvero capisaldi del repertorio quartettistico, la loro composizione abbraccia un quarantennio circa di storia musicale, e ciascuna di esse è a suo modo rivoluzionaria. Il Quartetto op. 33 n. 3 di Haydn lo è sotto molti aspetti: sotto il profilo armonico innanzitutto, e poi nella struttura; pensiamo ad esempio che Haydn vi inserisce per la prima volta uno Scherzo al posto del tradizionale Minuetto.
Inoltre l’opera 33 fa parte di un dialogo aperto fra Haydn eMozart: già con i Quartetti op. 20, Haydn aveva ispirato al giovane salisburghese la stesura dei sei Quartetti “viennesi” (che il Casals ha inciso nel 2005, ndr). Più tardi l’opera 33 darà aMozart lo spunto per i sei Quartetti dedicati ad Haydn, e il primo della serie è proprio il KV 387, in sol maggiore, che eseguiremo a Bologna. L’opera 130 di Beethoven, infine, è una musica assolutamente unica, non esiste nulla di simile nel genere quartettistico: si compone in sostanza di tre Scherzi, il movimento lento è una delle più belle cavatine strumentali mai scritte, e la Grande Fuga finale op. 133 è a sua volta un unicum nella storia del quartetto per archi. Anche l’ultimo movimento del Quartetto KV 387 di Mozart è un fugato; insomma, sono tre opere molto originali e percorse da un sottile filo rosso che le collega l’una all’altra».
In questa scelta tutta rivolta al classicismo viennese, possiamo leggere anche una scelta programmatica del Casals? Ossia la costruzione di un repertorio che poggi storicamente sulle origini del genere, per poi affrontarne magari le principali diramazioni storiche?
«Sicuramente ogni quartetto d’archi deve fare i conti con i fondamentali, ossia Haydn, Mozart e Beethoven, il cui approfondimento ed interpretazione sono imprescindibili. Ma più che seguire un percorso lineare, ritengo che il Casals affronti senza preclusioni la musica che più ama: e quindi Šostakovič, Ligeti e Bartók, le fughe di Bach e Dvorák... Che sia musica degli anni Ottanta o del 1780, non fa differenza, se la amiamo. Questa è in buona sostanza la nostra “strategia”».
Quindi c’è posto anche per la produzione contemporanea.
«Certo, per tutta la musica che ci comunica qualcosa, a prescindere dalla sua età... Commissioniamo opere inedite, ed abbiamo tenuto a battesimo quartetti degli spagnoli Jordi Cervelló, David del Puerto e Jesús Rueda, del tedescoHans Zender, o ancora di James MacMillan e di György Kurtág. Christian Lauba ci ha scelto per l’incisione del suoQuartettoMorphing».
Per una biografia futura del Casals: quali le prossime imprese?
«Continueremo come sempre ad insegnare a Barcellona e a viaggiare per i nostri concerti, ma fra i principali progetti in cantiere c’è l’uscita di un cd dedicato ad Haydn e la registrazione di un album di musica ungherese del ventesimo secolo, che comprenderà opere di Bartók, Ligeti e Kurtág. Infine, per la nostra annuale stagione cameristica all’Auditorium di Barcellona, fra il 2010 e il 2011 eseguiremo l’integrale dei quartetti di Dmitrij Šostakovič. E poi, molto altro ancora...».
di Fulvia de Colle ("MI Musica Insieme" n.3, Ottobre-Novembre 2009)
1 commento:
Bell'articolo!
Grazie
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