Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

sabato, novembre 07, 2009

Monteverdi: Trionfi d'amore

Il trattatista secentesco G.B. Doni intitola l'XI capitolo del suo Trattato della Musica scenica in questo modo: "Si risponde al alcune obiezioni e si dimostra in che differisca lo stile recitativo dal rappresentativo ed espressivo». Nel corso del capitolo. tra l'altro, dice:

PER STILE DUNQUE RECITATIVO S'INTENDE OGGI QUELLA SORTA DI MELODIA CHE PUO' ACCONCIAMENTE E CON GARBO RECITARSI, CIOE' CANTARSI DA UNO SOLO IN GUISA TALE CHE LE PAROLE S'INTENDANO, O FACCIASI CIO' SUL PALCO DELLE SCENE, O NELLE CHIESE O ORATORI A FOGGIA DI DIALOGHI, O PURE NELLE CAMERE PRIVATE, O ALTROVE. E FINALMENTE CON QUESTO NOME S'INTENDE OGNI SORTA DI MUSICA CHE SI CANTI DA UNO SOLO AL SUONO DI QUALCHE INSTRUMENTO, CON POCO ALLUNGAMENTO DELLE NOTE E IN MODO TALE CHE SI AVVICINI AL PARLARE COMUNE, MA PERO' AFFETTUOSO. ( ... ) CI SI AMMETTONO PARIMENTI MOLTE RIPETIZIONI PER LA PROPRIETA DELLA NOSTRA LINGUA, MA PERO' MOLTO PIU PARCAMENTE E CON DECORO CHE NELLO STILE DE' MADRIGALI E MOTTETTI. ( ... ) PER RAPPRESENTATIVA INTENDERE DOBBIAMO QUELLA SORTE DI MELODIA CHE E' VERAMENTE PROPORZIONATA ALLA SCENA. ( ... ) PIU' DUNQUE MI PIACE DI CIIIAMARE QUESTO STILE ( ... ) RAPPRESENTATIVO O SCENICO, CHE RECITATIVO, SI' PERCHE' GLI ATTORI NON RECITANO, MA RAPPRESENTANO IMITANDO LE AZIONI E I COSTUMI UMANI.

Dalla prosa alquanto involuta dei Doni si può intendere come, nei primi decenni del XVII secolo, i due termini recitativo e rappresentativo potevano essere confusi; da cui la necessità di un distinguo che ne chiarisse, la portata: il recitativo è uno Stile, caratterizzato dal prevalere della declamazione sul canto spiegato, dall'assenza di lunghi passaggi e di ripetizioni di parole e di frasi, e dall'estrema flessibilità ritmica. talvolta espressamente richiesta all'esecutore, che supera la divisiorie metronomica della battuta; mentre il rappresentativo è un Genere a voce sola, non necessariamente destinato alle scene, che trae il nome dal fatto che il cantore deve, all'atto dell'esecuzione, rappresentare degli affetti, dei sentimenti.
Delle quattro pagine monteverdiane incluse in questa registrazione, solo due sono in Stile recitativo (come si desume dall'indicazione si canta senza battuta); tutte invece hanno in comune l'appartenenza al Genere rappresentativo: possono cioè avere o non avere una precisa destinazione scenica, ma sono caratterizzate da quella che si potrebbe definire un'osservazione psicologica, che scruta i più intimi moti dell'animo, conseguendo talora dei risultati sconcertanti di approfondimento che, nell'ambito del canto da camera, si possono per certi aspetti ritrovare nella liederistica romantica (basti pensare all'analisi della psiche femminile presente nell'opera di Franz Schubert o di Robert Schumann). Insieme al Combattimento di Tancredi e Clorinda, esse sono quanto il Monteverde ha prodotto nel Genere rappresentativo; ad esse si deve aggiungere il Lamento di Arianna, sopravvissuto al naufragio dell'opera teatrale di cui faceva parte probabilmente in merito all'alta espressività che ne è il carattere principale e che lo rese famoso negli ambienti musicali dell'epoca.
Nell'accostarsi al Genere rappresentativo, a parte il Combattimento che sviluppa un esperimento musicale e drammatico a se stante, il Monteverde ha operato la sua scelta poetica su dei testi di argomento amoroso, tali da presentare situazioni di profondo pathos: momenti di rimpianto, di lontananza, di mancata corrispondenza: un eros in negativo che vive in funzione del contrasto di sentimenti che esso suscita e che, in ciascuna di queste quattro pagine, consente all'occhio indagatore del Musicista di esplorare, si direbbe con rigore scientifico, l'universo immenso e imprevedibile degli affetti.
Primo fra esse in ordine cronologico, ed unico espressamente destinato alla scena, il Ballo delle Ingrate fu composto per i festeggiamenti organizzati a Mantova nel 1608 in occasione del matrimonio del Principe Francesco Gonzaga con Margherita di Savoia: ad essi il Monteverde aveva contribuito anche con l'opera Arianna e con il Prologo degli Intermezzi per la commedia L'Idropica di G.B. Guarini: composizioni entrambe perdute, con l'eccezione del già citato Lamento d'Arianna.
Il Ballo delle Ingrate, su testo di Ottavio Rinuccini (1562-1621) è un"allegorica esortazione rivolta alle nobildonne della corte a non respingere le profferte dei loro innamorati; a tal fine, sollecitato da Venere., Plutone conduce dinnanzi al pubblico le anime delle donne che scontano in eterno la colpa di «ingratitudine» nei confronti d'Amore, affinché la loro vista serva d'esempio alle spettatrici.
Dal punto di vista letterario, questo motivo, già presente nella tradizione più antica (si ricordi la novella di Nastagio degli Onesti della V giornata del Decameron), si inserisce in un filone edonistico e paganeggiante di origine umanistica, che ha illustri esempi nelle Stanze del Poliziano e nell'Aminta del Tasso: una tematica che ben si adattava all'atomosfera libertina della corte mantovana (non è superfluo ricordare la figura del verdiano Duca di Mantova, probabilmente ricalcata su personaggi storici come Vincenzo Gonzaga o lo stesso Francesco).
Dal punto di vista musicale, l'opera presenta una frattura stilistica: all'inizio risente di una concezione più formale, legata all'esperienza del canto a solo di tipo fiorentino, con in più una caratterizzazione dei personaggi, riscontrabile, ad esempio, nella scena in cui Amore tenta ingenuamente di convincere, Plutone a condurre dall'inferno le Ingrate: dapprima il dio reagisce con fare burbero e paternalistico; ma si fa avanti Venere che dà prova della sua esperienza di seduttrice, costringendo Plutone a cedere. A mano a mano che l'opera procede, si assiste ad un processo di «umanizzazione», dapprima con il duetto fra Amore e Venere, poi con l'allocuzione di Plutone che, rivolgendosi al pubblico in modo cortese e bonario, cambia genere espressivo, passando dal recitativo alla forma musicalmente più intensa dell'Aria con ritornelli. Quando poi, alla fine, una delle Anime Ingrate approfitta dell'inatteso momento di libertà per lanciare un disperato grido di doloroso rimpianto, l'ethos stilistico s'innalza ulteriormente, assumendo, con la forma del lamento connotazioni del tutto umane: il canto dell'Ingrata, con i suoi contrasti espressivi tra l'impeto di dolore per il "sempiterno affanno" infernale ed il rimpianto per l'«aer sereno e puro», realizza pienamente l'intento patetico insito nel Genere rappresentativo, rivelandosi come il punto locale di tutta l'opera.
La Lettera amorosa e la Partenza amorosa sono due pagine appartenenti al VII Libro dei Madrigali («Concerto», 1619), in genere rappresentativo e in stile recitativo (come si desume dall'indicazione si canta senza battuta); identiche come tipologia, in realta esse sono, come si vedrà, di segno opposto, o meglio complementare. Nella Partenza, il testo di autore anonimo esprime, in rapidi (e alquanto sciatti) settenari a rima baciata, il dolore di un amante che si congeda dalla sua donna, consolandosi alfine al pensiero che, ovunque egli vada, la sua anima resterà indissolubilunente unita all'anima di lei.
La Lettera, un testo di Claudio Achillini (autore che solitamente le antologie scolastiche presentano a paradigma dei barocchismo più kitsch a causa del famigerato sonetto «Sudate, o fochi ... », e che, invece, necessiterebbe di una attenta rilettura, non foss'altro in merito della spericolatezza delle sue metafore e della lussureggiante decoratività dei concetti) è in realtà un ardito poemetto in cui un amante, in termini inequivocabilmente feticistici, sofferma la sua fantasia sui capelli biondi della sua donna.
Nega realizzazione del Monteverde, mentre la Partenza è scritta in chiave di tenore, la Lettera è destinata alla voce di soprano: cosa che suscitò la perplessità di critici attenti come il Doni. Ma talvolta, nell'opera di un grande artista, certe apparenti incongruenze si spiegano con una logica di sconcertante chiarezza: in questo caso, col fatto che, se nella Partenza l'amante stesso (tenore) si rivolge direttamente all'amata, nella Lettera è quest'ultima (soprano) che, tra le pareti della sua camera, si pone alla lettura del messaggio epistolare testé ricevuto. Si viene così a creare una situazione analoga a quella di due eroine verdiane (Violetta Valery: «Teneste la promessa ... »; Lady Macbeth: «Nel dì della vittoria ... »), esasperata dal fatto che, in questo caso, l'interprete ha il compito di esprimere dei turbamenti suscitati dalla lettura di espressioni dettate dalla malcelata sensualità del mittente; ne consegue la necessità di un'interpretazione interiorizzata, introspettiva e priva di enfasi.
In confronto alla Lettera, la Partenza è stata, ed è ancora, considerata una pagina retorica, un'esercizio di scrittura interessante ma prolisso; è solo in seguito ad un approccio molto libero nella parte musicale e più strettamente legato alla recitazione (recitar cantando) che si scopre il fascino di un'irruenza declamatoria che, in un crescendo di intensità, si placa soltanto alla cadenza conclusiva dove il canto sillabico lascia lo spazio ad un'ampia, arieggiante fioritura: la voce dell'innamorato ormai lontana, quasi disumanizzata nell'intima, consapevolezza di un affetto inestinguibile.
All'VIII Libro dei Madrigali («Madrigali Guerrieri et Amorosi», 1638) appartiene il Lamento della Ninfa, su testo ancora di Ottavio Rinuccini. Si tratta di una tenue canzonetta in quartine di settenari, di argomento pastorale: fra le mani dei Monteverde essa si trasforma in un toccante poema di dolore e di sdegno. Nella sua realizzazione musicale, il brano risulta tripartito; nella prima e nella terza parte, le tre voci «che cantano fuori del pianto della Ninfa» forniscono rispettivaniente un'ambientazione ed una morale conclusiva; nella parte centrale su di un basso di Ciaccona il soprano intona un lamento che stravolge completamente la metrica originale del Rinuccini, disperdendone e riaccostandone i frammenti in una metrica nuova di inaudita libertà espressiva. mentre le altre voci. divenute di partecipi spettatori. intervengono con due versi interpolati (ottonari contro i settenari della Ninfa) ora insieme, ora ad entrate successive. Il risultato è il contrasto tra le categorie dell'Oggettivo e del Soggettivo: la ripetitività della Ciaccona e il canto, libero e struggente, degli affetti turbati. Nel tentativo di rispettare l'idea del Monteverde è stata scelta, in accordo tra direzione musicale e direzione artistica, una presa di suono che pone su due differenti piani sonori la voce della Ninfa e le altre tre voci: speriamo di essere riusciti nel nostro intento.
Dalle quattro pagine incluse in questa registrazione, appare un'immagine di Claudio Monteverde che integra e completa quella tramandata dalle testimonianze e dai ritratti: la figura dell'uomo severo, del maestro inflessibile e un po' pedante, del sacerdote, ne viene illuminata da una nuova luce che rivela un aspetto umano dotato di una profonda e delicata sensibilità, non dissimile da quella di un Tasso. E ciò, si badi bene. al di là dei moduli espressivi e stilistici insiti nel Genere rappresentativo: quante altre volte, nella storia della Musica, troviamo un'atmosfera inquieta e lievemente dissociata come quella della Lettera amorosa? o un rimpianto struggente come quello dell'Ingrata? o un prorompere di sentimento altrettanto «romantico» che il Lamento della Ninfa? o ancora un fluire di oratoria gonfio di lacrime come quello della Partenza amorosa? Appare chiaro che il Musicista conosceva questi affetti, come non gli sfuggiva la potenza dell'Amore in tutte le sue manifestazioni. Per questo ci è piaciuto, quasi a commento, riprodurre in copertina l'immagine caravaggesca di Amor vincit omnia: come se, in questi brani, Amore assistesse per quattro volte al suo trionfo.
Confidiamo che anche questa seconda registrazione dedicata a Claudio Monteverde contribuisca a porre definitivamente, ed in modo non soltanto teorico, l'Opera del Musicista tra le vette più alte raggiunte nell'espressione musicale di tutti i tempi.

di Cristiano Gianese (note di copertine al CD TACTUS TC56031102, (p) 1989)

1 commento:

Polyphonic Films ha detto...

Avete visto il film, The Full Monteverdi?