Nell'ultimo tratto della sua vita, Bach si dedicò, anche rielaborando composizioni di precedenti anni, a poche gigantesche opere che ai nostri occhi significano, in parte di sicuro per volontà dell'Autore, la summa della sua arte e il definitivo suo ritratto da Lui destinato ai posteri. Già con quelle sin lì pubblicate s'era manifestato il supremo compositore, ma anche il supremo esempio didattico, della musica strumentale. La Messa detta «Symbolum Nicenum» è, per le dimensioni letteralmente smisurate, la fittezza della scrittura e gli ambiti stilistici toccati, una delle più imponenti manifestazioni di volontà di potenza che conosciamo. Le Variazioni canoniche per organo, l'Offerta musicale e l'Arte della Fuga incarnano, quanto a dimensioni, il concetto stesso di misura, a prescindere dal fatto che l'ultima opera è incompiuta: appaiono smisurate non meno della Messa, giacché chiunque vi coglie un imperativo di ultimatività lanciato dall'Autore. Come se Bach dichiarasse che, con Lui, l'argomento trattato era giunto al culmine delle possibilità e che dopo nessuno avrebbe potuto appulcrare verbo. Aveva ragione: i sommi tra i posteri l'hanno adorato, l'hanno tenuto quale loro incubo: l'hanno eguagliato alcuni, superato nessuno. Queste opere hanno in comune un altro aspetto. Sviluppando i suggerimenti dello «Stile Antico», quello della polifonia vocale del Rinascimento, ancora considerato il supremo canone dell'arte, Bach s'immerge nel «miro gurge» del contrappunto. Rubo la metafora a Giulio Confalonieri; il verso dantesco aiuta a comprendere il senso speculativo di musica ove l'animo si smarrisce ma ch'è insieme il simbolo di un Ordine supremo: immagine sonora: la disposizione delle voci inseguentesi, imitantesi, contrastantesi raffigura il rotare su di sé e attorno agli altri di ciascun pianeta. Ecco la continua reincarnazione, che da Pitagora e Platone giunge al Rinascimento e al Barocco attraversando tutto il Medio Evo, di quell'idea denominata da Leo Spitzer, nel suo indimenticabile libro, L'armonia del mondo. Il titolo è quasi la traduzione di quello del trattato di Giovanni Keplero, Harmonices mundi. I giri astrali («sfere») producono, a causa della differente circonferenza, una divina armonia frutto di suoni diversamente accordati o, meglio, di corpi vibranti a differente frequenza, inaudibile dall'orecchio umano ma divinamente creata a testimoniare che l'universo è perfetto. La udranno un giorno le anime immortali. Di questa divina armonia lo specchio terreno è, per quasi esoterica tradizione, la polifonia di stile contrappuntistico. Differenti linee vocali, ciascuna affatto indipendente, producono, con la loro artistica combinazione, una concordia discors. Già in Cicerone, che nel Somnium Scipionis parafrasa Platone, la fantasia è indotta a supporre che, almeno miticamente, l'idea della polifonia, la quale sappiamo esser storicamente scoperta esclusiva del Medio Evo europeo, si concepisse. Quando, a sua volta, nel Purgatorio e nel Paradiso, Dante parafrasa Il sogno di Scipione, aggiungendo immagini sue proprie e nuove al mito del concerto paradisiaco, la descrizione è precisa al punto di non lasciar dubbio che la musica polifonica è per Lui l'incarnazione in teoria e pratica del divino modello. Con due opere «dotte», ermetiche, «a chiave» e, in apparenza, non destinate a tutti, Bach pare aggiungersi, spirito magno dopo spiriti magni, all'omaggio al principal simbolo della civiltà. L'Arte della Fuga non porta titolo originale, dispone in partitura pentagrammi in chiavi antiche senza nemmeno dare certe indicazioni, non che sull'organico, sull'ordine dei singoli brani. L'apparenza è dunque: Bach apporta al mito collettivo un contributo meramente «culturale». E invece. Due raccolte di musica che dovrebb'essere «astratta», meramente speculativa, «destinata solo allo studio e alla lettura mentale», l'Offerta Musicale e l'Arte della Fuga, sono fatte di musica che, a suonarla, è tra le più belle mai scritte. Ogni voce è un irrepetibile trionfo di canto; l'organismo è cosa suprema. Può comprendersi allora come l'una e l'altra, ma l'ultima e incompiuta ancor di più, abbiano suscitato dispute teoriche e pratiche come pochissime altre composizioni. Sulla natura; sulla destinazione; sull'eseguibilità; sul come eseguirla; sul come intenderla. Quest'articolo è composto di un preambolo didattico così schiacciante, che quando si viene al fatto lo si spiccia in due parole. Non è un «parturiunt montes». Il lettore converrà che, senza il preambolo, affrontare qui un appassionante libro sull'Arte della Fuga porterebbe a un resoconto per lui incomprensibile. L'ultimo della lunga serie si deve ora a Hans-Eberhard Dentler, violoncellista tedesco residente in Italia, già amico di Ernst Jünger. L'amore da lui provato per la cultura classica è commovente; in un' indagine siffatta, avente qualcosa della natura del «giallo», si palesa anche quanto professionistico sia il dominio del Dentler su di lei. Esso si esplica nella prima delle due prospettive con che nel libro L'Arte della fuga di Johann Sebastian Bach il tema è contemplato. Giacché l'Autore, da musicista, riconnette la grande indagine teorica alla sua ricerca e alla sua esperienza quale editore d'un' altra, e squisita, versione moderna dell'opera somma, e interprete della medesima. Non v' è contraddizione, ecco il bello, fra la natura enigmatica dell'Arte della Fuga, fra le tracce di pitagorismo espresso scaturite dalla ricostruzione di studi e rapporti personali e famigliari di Bach, e la natura prepotentemente udibile, anzi audienda, dell'opera stessa. Seguire il Dentler verso le conclusioni è premio dal libro offerto al lettore. Chi scrive, d'accordo con le conclusioni pratiche offerte dall'illustre musicista, personalmente pensa che il rapporto di Bach con Pitagora ne venga provato; ma che Egli non risulti devoto nemmeno di tale divinità. Dopo esser giunto al rango di maestro supremo della composizione, attraverso la musica si annette anche la provincia dell'esoterismo: la terra non bastando alla Sua volontà di potenza. L'apparato iconografico cattura: la bibliografia è così accurata che inspiegabile appare l'omissione di un classico come il Bach di Piero Buscaroli. Il libro: Hans-Eberhard Dentler, «L' Arte della Fuga di Johann Sebastian Bach», pagine 166, lire 48.000, edizioni Skira, collana «L' arte armonica» dell' Accademia di Santa Cecilia.
Paolo Isotta (Corriere della Sera, 5 ottobre 2001)
2 commenti:
"A Saint-Séverin, ascoltando "L'arte della fuga" suonata all'organo, continuavo a ripetermi: Ecco la confutazione di tutti i miei anatemi."
Una scoperta fantastica questo blog, anche per chi come me ama solo la musica ma non l'ha potuto studiare. L'ho messo nel mio blog roll. Immagino che HEINRICH VON TROTTA sia uno pseudonimo.
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