Un materasso adagiato per terra mette in mostra nei suoi angoli estremi, alla destra e alla sinistra del lato più corto, due microscopiche casse acustiche appartenenti a un sistema di amplificazione per lettori mp3: potrebbero essere due elementi decorativi, perché sembrano due pigne, ma lisce, bianche, simili alle impugnature che afferri quando scendi una scala e le dita scivolano sul corrimano. Ma non sono lì per ornare. Non sono oggetti muti. Le due pigne suonano. Stanno li per volontà di qualcuno che abita temporaneamente questa stanza, qualcuno che ha certi gusti, che ha sorpassato certi traumi e goduto di certi privilegi, certi e non altri, qualcuno che le ha sistemate in quel modo per ascoltare una canzone che inizia con le parole: «il suo scopo, nella vita, era di essere un'eco».
«Sono sempre più diffidente nei confronti della musica messa a riempire uno spazio, come nei bar e nei ristoranti, o mentre si sta conversando con qualcuno e la musica impedisce di ascoltare ciò che l'altra persona sta dicendo. I suoni in sé, i suoni prodotti dalla Vita, sono molto più interessanti, dal mio punto di vista, i suoni che gli oggetti producono, gli, oggetti di qualsiasi tipo, da quelli più semplici agli innumerevoli segnali acustici inviati di continuo dagli strumenti elettronici. Con Playing the Building l'intenzione era di mettere in relazione i corpi e le menti dei visitatori di uno spazio abitabile con le possibilità di generare suoni espressivi. Si tratta dunque di un'opera in cui gli autori sono le persone che usano e vivono quello spazio, liberamente, ma entro certe griglie che abbiamo stabilito, in modo che l'esperienza, non si trasformasse in una massa informe».
Per l'ennesima volta, le parole di David Byme confermano una delle idee che mi hanno ossessionato negli ultimi due anni: che l'architettura è narrativa calata nello spazio. L'architettura è narrativa calata nello spazio, e questa è una sensazione-verità. Le sensazioni-verità ritornano, seguendo regole indimostrabili, nei luoghi più impensati, attraverso la ruota di criceto delle ricorrenze casuali: percorrendo il corridoio di una casa di famiglia che non si visitava da undici anni; perlustrando in modo circolare il tetto di un palazzo che si affaccia sulla passeggiata di una grande metropoli di mare e anche muovendosi tra le pareti del Maritime Battery Building, un fascinoso sito di archeologia urbana lungo i moli di Manhattan, allestito da David Byrne in occasione del suo acclamato Playing the Building, un tentativo emotivo di far battere dentro a un edificio suoni vicini, mentali, reali, banali, ricorsivi, inevitabili - tecnicamente, un vecchio organo è stato piazzato al centro del luogo, e i presenti erano invitati a giocarci, toccarlo, suonarlo e far rimbalzare quel che ne usciva contro i muri quasi vittoriani dell'antico molo coperto di Lower Manhattan. L'architettura è narrativa senza autore suonata nello spazio: «Il Maritime Battery Building era perfetto per ambientare una storia i cui elementi fossero visivi, acustici, ambientali, fisici. Non si trattava dunque solo di usare un set architettonico preesistente, ma di applicare a esso una serie di echi e mettere i visitatori nella condizione di poterli applicare a loro volta». Essere un'eco, d'altronde, un'eco intelligente e colta, pare sia lo scopo interiore e profondo dell'architettura, e dell'installazione di David Byrne, e della carriera extramusicale di David Byrne, e magari della carriera solista di David Byrne, e forse addirittura dell'intera carriera di David Byrne.
Non è un caso che abbia a che fare con l'eco uno degli "effetti" sonori per cui gli autori di Remain in Light verranno ricordati (la musica pop, in mancanza di grandi innovazioni strutturali, melodiche e armoniche, potrà vantare se non altro di aver messo al mondo una gran quantità di timbri mai sentiti prima): quel magnifico, scottante riverbero ritmico della, batteria che introduce i primi sette secondi di "Warning Sign", capolavoro del 1978, inaudita rappresentazione acustica di ogni minuscola crepa nella naturale superficie delle cose, nelle nostre vite calate nello spazio, parzialmente prive di autore e in perenne stato di semi-automaticità. Ma quel solco così lancinante, quanto di più vicino a un acuto mai prodotto da uno strumento ritmico, è stato anche il primo grande segno dell'ambizione espressiva di Byrne, e di sicuro il primo grande risultato della principale mossa con cui quell'ambizione si è divincolata nella storia: la collaborazione con Brian Eno. Il cantante dei Talking Heads è da sempre - da molto prima che il gruppo si sciogliesse - un collezionista di echi, di voci prese in prestito, captate nel flusso caotico dei messaggi e dei media, imitate, rimodulate, rimesse in sesto e ripostulate, come note a margine di uno studente troppo brillante in un quinterno eccessivo di intenzioni.
Ora. Lo stato delle cose, nella vita artistica di David Byrne, in questo momento, si può sintetizzare così: prove per un tour americano e non solo che partirà il 16 settembre da Bethlehem in Pennsylvania e che proseguirà per tutto l'autunno 2008; un disco quasi finito; un altro, Everything That Happens Will Happen Today, con Brian Eno, uscito in questi giorni ; due appuntamenti extracurriculari, per così dire, Playing the Building e la collaborazione per una mostra a Madrid [Voice of Julio/Vox de Julio, con David Hanson]. Inoltre: il prossimo anno uscirà in forma di libro il progetto The Bicycle Diaries, che consiste in una serie di descrizioni di città e ambienti urbani vissuti su due ruote. David è sempre in giro in bicicletta per Manhattan con la sua compagna Cindy Sherman - uno dei nomi cruciali dell'arte americana negli ultimi vent'anni. Di recente c'è anche stata una caduta di sella. Se si vuole, si può aggiungere la presenza online costante del Byrne che tiene un blog chiamato semplicemente Journal, come dire che la vita espressiva è un contenitore pronto a tutto, o quasi dalla politica alle meditazioni estetiche, dalle note di lettura di libri appena conclusi a veri e propri baedeker di viaggio. Se si vuole, si può aggiungere il moto inerziale che viene generato comunque, mese dopo mese, giorno dopo giorno, nella "comunità di cittadini culturali globali' da una figura così rilevante, se non altro per i numeri cheha prodotto, per le vite che ha toccato, per la capacità che ha la musica di incollarsi allo spirito dei tempi. Ecco perché David Byrne è uno dei dilettanti che contano di più nel nostro mondo, ed è anche di questo che si parla al telefono nei due minuti strappati a questo e nei tre minuti strappati a quell'altro, ripromettendosi dopo numerosi appuntamenti newyorkesi e italiani saltati all'ultimo di portare a termine quel paio di iniziative da tenere in Italia.
«La curiosità è sempre stata il motore di tutte le mie scelte. Non mi fa paura non essere identificato in una casella precisa. Credo che una delle possibilità interessanti di questa epoca sia proprio la facoltà di trasmigrare da un ruolo temporaneo a un altro ruolo temporaneo, verso luoghi completamente inaspettati». A dire il vero l'idea di Playing the Building, comparata con i parametri dell'avanguardia, non è proprio - come dire - scintillante: è un'intenzione, un accenno; molto più interessante sarebbe stato orchestrare per davvero gli spazi di un edificio come se fossero elementi di una storia, e anche l'autorialità delegata al pubblico non è proprio una cosa nuova, eccetera. Anri Sala, giovane e dotatissimo artista albanese, sta lavorando per esempio a un'opera che consiste nel mostrare la partita dei Mondiali di calcio del 1986 in cui Maradona ha segnato all'Inghilterra con la mano, di mostrarla per intero ma con la telecronaca interamente coniugata al futuro: perché quando era ragazzino non c'era programma televisivo che non fosse differito dalla censura di Stato. Ecco, tanto per dire, un'idea veramente feconda: un misto di ambiguità e rapidità concettuale, un giocattolo linguistico rotto che irrompe nel mondo estemo come se l'intero mondo, l'intera Storia, fosse un giocattolo rotto. Eppure, David Byrne è un personaggio più "decisivo" di Anri Sala. E uno dei modi interessanti di capire come funziona, che impatto produce, che conseguenze ha, una personalità come Byrne è comportarsi come se si trattasse di un caso di pettegolezzo - mettere in moto una macchina di rumori, di opinioni più o meno riservate, di inserire in questo esperimento di cronaca culturale un corpo di voci rubate e prive di responsabilità: le voci del gossip. C'è forse un modo più adatto per farsi un'idea precisa di chi ha passato un terzo della sua vita discografica a imporre la propria voce e il proprio corpo (a proposito: da quanto tempo David non balla?) e due terzi a provare a essere il ventriloquo delle voci che lo circondavano. Come quella di un eminente, bravissimo scrittore americano intorno ai quarant'anni che conosce bene la scena pop contemporanea e liquida la personalità intellettuale di Byrne in modo lapidario. Gli domando se sia interessante come "intellettuale pubblico", e lui, via sms, con più messaggi mandati uno dopo l'altro: «No, direi che alcuni personaggi semplicemente sintetizzano idee che hanno captato nel proprio percorso da altri pensatori, artisti, opere, e nel contempo non utilizzano queste influenze per innovare ulteriormente, ma si limitano a giocarci. Susan Sontag è un esempio venerabile di questo tipo di strategia: se togli Roland Barthes, Robert Walser, Adorno e Artaud, non rimane niente di veramente suo. E lo stesso accade con David Byrne, secondo me». Un collaboratore di Byrne, invece, descrive così il suo qui e ora: «David: troppo talento e non abbastanza tempo, guerriero del capitale culturale, uomo dalle molte fogge, iperconscio della propria immagine, amateur professionale, nel senso di uno che ha fatto un lavoro dell'amare il proprio lavoro; e anche, a dirla tutta, uno che si prende dei rischi, ma con una certa cautela».
Torniamo a Playing the Building, e chiediamo se avrebbe mai scommesso su tanto successo e riconoscimento per un'operazione che al suo centro ha la "macchina" meno postmoderna immaginabile, un organo: «Avevo da tempo un vecchio, magnifico organo, e all'improvviso è sembrato ovvio usarlo per questo progetto ambientato all'interno di, un'architettura concepita per dare fiato alla crescente modernizzazione industriale di questa città: vapore, trasporto navale, una gigantesca cassa di risonanza che poteva accogliere e deformare in modi, inattesi i suoni -rodotti dallo strumento». Vedete? Il suo, scopo, nella vita, era essere un'eco. David ha qualcosa dell'etemo promesso talento di una scuola d'arte. Ma le circostanze - il pop - l'hanno messo in una posizione diversa. Dunque il problema è un altro: come accettare di essere un'eco quando ci è già riuscito una volta, nella vita, di coincidere in modo esemplare con noi stessi?
«Sono sempre più diffidente nei confronti della musica messa a riempire uno spazio, come nei bar e nei ristoranti, o mentre si sta conversando con qualcuno e la musica impedisce di ascoltare ciò che l'altra persona sta dicendo. I suoni in sé, i suoni prodotti dalla Vita, sono molto più interessanti, dal mio punto di vista, i suoni che gli oggetti producono, gli, oggetti di qualsiasi tipo, da quelli più semplici agli innumerevoli segnali acustici inviati di continuo dagli strumenti elettronici. Con Playing the Building l'intenzione era di mettere in relazione i corpi e le menti dei visitatori di uno spazio abitabile con le possibilità di generare suoni espressivi. Si tratta dunque di un'opera in cui gli autori sono le persone che usano e vivono quello spazio, liberamente, ma entro certe griglie che abbiamo stabilito, in modo che l'esperienza, non si trasformasse in una massa informe».
Per l'ennesima volta, le parole di David Byme confermano una delle idee che mi hanno ossessionato negli ultimi due anni: che l'architettura è narrativa calata nello spazio. L'architettura è narrativa calata nello spazio, e questa è una sensazione-verità. Le sensazioni-verità ritornano, seguendo regole indimostrabili, nei luoghi più impensati, attraverso la ruota di criceto delle ricorrenze casuali: percorrendo il corridoio di una casa di famiglia che non si visitava da undici anni; perlustrando in modo circolare il tetto di un palazzo che si affaccia sulla passeggiata di una grande metropoli di mare e anche muovendosi tra le pareti del Maritime Battery Building, un fascinoso sito di archeologia urbana lungo i moli di Manhattan, allestito da David Byrne in occasione del suo acclamato Playing the Building, un tentativo emotivo di far battere dentro a un edificio suoni vicini, mentali, reali, banali, ricorsivi, inevitabili - tecnicamente, un vecchio organo è stato piazzato al centro del luogo, e i presenti erano invitati a giocarci, toccarlo, suonarlo e far rimbalzare quel che ne usciva contro i muri quasi vittoriani dell'antico molo coperto di Lower Manhattan. L'architettura è narrativa senza autore suonata nello spazio: «Il Maritime Battery Building era perfetto per ambientare una storia i cui elementi fossero visivi, acustici, ambientali, fisici. Non si trattava dunque solo di usare un set architettonico preesistente, ma di applicare a esso una serie di echi e mettere i visitatori nella condizione di poterli applicare a loro volta». Essere un'eco, d'altronde, un'eco intelligente e colta, pare sia lo scopo interiore e profondo dell'architettura, e dell'installazione di David Byrne, e della carriera extramusicale di David Byrne, e magari della carriera solista di David Byrne, e forse addirittura dell'intera carriera di David Byrne.
Non è un caso che abbia a che fare con l'eco uno degli "effetti" sonori per cui gli autori di Remain in Light verranno ricordati (la musica pop, in mancanza di grandi innovazioni strutturali, melodiche e armoniche, potrà vantare se non altro di aver messo al mondo una gran quantità di timbri mai sentiti prima): quel magnifico, scottante riverbero ritmico della, batteria che introduce i primi sette secondi di "Warning Sign", capolavoro del 1978, inaudita rappresentazione acustica di ogni minuscola crepa nella naturale superficie delle cose, nelle nostre vite calate nello spazio, parzialmente prive di autore e in perenne stato di semi-automaticità. Ma quel solco così lancinante, quanto di più vicino a un acuto mai prodotto da uno strumento ritmico, è stato anche il primo grande segno dell'ambizione espressiva di Byrne, e di sicuro il primo grande risultato della principale mossa con cui quell'ambizione si è divincolata nella storia: la collaborazione con Brian Eno. Il cantante dei Talking Heads è da sempre - da molto prima che il gruppo si sciogliesse - un collezionista di echi, di voci prese in prestito, captate nel flusso caotico dei messaggi e dei media, imitate, rimodulate, rimesse in sesto e ripostulate, come note a margine di uno studente troppo brillante in un quinterno eccessivo di intenzioni.
Ora. Lo stato delle cose, nella vita artistica di David Byrne, in questo momento, si può sintetizzare così: prove per un tour americano e non solo che partirà il 16 settembre da Bethlehem in Pennsylvania e che proseguirà per tutto l'autunno 2008; un disco quasi finito; un altro, Everything That Happens Will Happen Today, con Brian Eno, uscito in questi giorni ; due appuntamenti extracurriculari, per così dire, Playing the Building e la collaborazione per una mostra a Madrid [Voice of Julio/Vox de Julio, con David Hanson]. Inoltre: il prossimo anno uscirà in forma di libro il progetto The Bicycle Diaries, che consiste in una serie di descrizioni di città e ambienti urbani vissuti su due ruote. David è sempre in giro in bicicletta per Manhattan con la sua compagna Cindy Sherman - uno dei nomi cruciali dell'arte americana negli ultimi vent'anni. Di recente c'è anche stata una caduta di sella. Se si vuole, si può aggiungere la presenza online costante del Byrne che tiene un blog chiamato semplicemente Journal, come dire che la vita espressiva è un contenitore pronto a tutto, o quasi dalla politica alle meditazioni estetiche, dalle note di lettura di libri appena conclusi a veri e propri baedeker di viaggio. Se si vuole, si può aggiungere il moto inerziale che viene generato comunque, mese dopo mese, giorno dopo giorno, nella "comunità di cittadini culturali globali' da una figura così rilevante, se non altro per i numeri cheha prodotto, per le vite che ha toccato, per la capacità che ha la musica di incollarsi allo spirito dei tempi. Ecco perché David Byrne è uno dei dilettanti che contano di più nel nostro mondo, ed è anche di questo che si parla al telefono nei due minuti strappati a questo e nei tre minuti strappati a quell'altro, ripromettendosi dopo numerosi appuntamenti newyorkesi e italiani saltati all'ultimo di portare a termine quel paio di iniziative da tenere in Italia.
«La curiosità è sempre stata il motore di tutte le mie scelte. Non mi fa paura non essere identificato in una casella precisa. Credo che una delle possibilità interessanti di questa epoca sia proprio la facoltà di trasmigrare da un ruolo temporaneo a un altro ruolo temporaneo, verso luoghi completamente inaspettati». A dire il vero l'idea di Playing the Building, comparata con i parametri dell'avanguardia, non è proprio - come dire - scintillante: è un'intenzione, un accenno; molto più interessante sarebbe stato orchestrare per davvero gli spazi di un edificio come se fossero elementi di una storia, e anche l'autorialità delegata al pubblico non è proprio una cosa nuova, eccetera. Anri Sala, giovane e dotatissimo artista albanese, sta lavorando per esempio a un'opera che consiste nel mostrare la partita dei Mondiali di calcio del 1986 in cui Maradona ha segnato all'Inghilterra con la mano, di mostrarla per intero ma con la telecronaca interamente coniugata al futuro: perché quando era ragazzino non c'era programma televisivo che non fosse differito dalla censura di Stato. Ecco, tanto per dire, un'idea veramente feconda: un misto di ambiguità e rapidità concettuale, un giocattolo linguistico rotto che irrompe nel mondo estemo come se l'intero mondo, l'intera Storia, fosse un giocattolo rotto. Eppure, David Byrne è un personaggio più "decisivo" di Anri Sala. E uno dei modi interessanti di capire come funziona, che impatto produce, che conseguenze ha, una personalità come Byrne è comportarsi come se si trattasse di un caso di pettegolezzo - mettere in moto una macchina di rumori, di opinioni più o meno riservate, di inserire in questo esperimento di cronaca culturale un corpo di voci rubate e prive di responsabilità: le voci del gossip. C'è forse un modo più adatto per farsi un'idea precisa di chi ha passato un terzo della sua vita discografica a imporre la propria voce e il proprio corpo (a proposito: da quanto tempo David non balla?) e due terzi a provare a essere il ventriloquo delle voci che lo circondavano. Come quella di un eminente, bravissimo scrittore americano intorno ai quarant'anni che conosce bene la scena pop contemporanea e liquida la personalità intellettuale di Byrne in modo lapidario. Gli domando se sia interessante come "intellettuale pubblico", e lui, via sms, con più messaggi mandati uno dopo l'altro: «No, direi che alcuni personaggi semplicemente sintetizzano idee che hanno captato nel proprio percorso da altri pensatori, artisti, opere, e nel contempo non utilizzano queste influenze per innovare ulteriormente, ma si limitano a giocarci. Susan Sontag è un esempio venerabile di questo tipo di strategia: se togli Roland Barthes, Robert Walser, Adorno e Artaud, non rimane niente di veramente suo. E lo stesso accade con David Byrne, secondo me». Un collaboratore di Byrne, invece, descrive così il suo qui e ora: «David: troppo talento e non abbastanza tempo, guerriero del capitale culturale, uomo dalle molte fogge, iperconscio della propria immagine, amateur professionale, nel senso di uno che ha fatto un lavoro dell'amare il proprio lavoro; e anche, a dirla tutta, uno che si prende dei rischi, ma con una certa cautela».
Torniamo a Playing the Building, e chiediamo se avrebbe mai scommesso su tanto successo e riconoscimento per un'operazione che al suo centro ha la "macchina" meno postmoderna immaginabile, un organo: «Avevo da tempo un vecchio, magnifico organo, e all'improvviso è sembrato ovvio usarlo per questo progetto ambientato all'interno di, un'architettura concepita per dare fiato alla crescente modernizzazione industriale di questa città: vapore, trasporto navale, una gigantesca cassa di risonanza che poteva accogliere e deformare in modi, inattesi i suoni -rodotti dallo strumento». Vedete? Il suo, scopo, nella vita, era essere un'eco. David ha qualcosa dell'etemo promesso talento di una scuola d'arte. Ma le circostanze - il pop - l'hanno messo in una posizione diversa. Dunque il problema è un altro: come accettare di essere un'eco quando ci è già riuscito una volta, nella vita, di coincidere in modo esemplare con noi stessi?
Gianluca Ricuperati ("il giornale della musica", Anno XXIV n.251, settembre 2008)
3 commenti:
Ho voluto pubblicare qualcosa di simile sul mio sito e questo mi ha dato un'idea. Cheers.
Voglio solo dire che un grande blog è arrivato qui! Sono stato in giro per un bel po 'di tempo, ma finalmente deciso di mostrare il mio apprezzamento per il vostro lavoro! Thumbs up, e andare avanti!
Informazioni scritte in maniera molto efficiente . Probabilmente sarà utile a chiunque lo usess , me compreso. Continuate così grande - per alcuni Vado a controllare di più i messaggi .
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