Goffredo Petrassi è nato a Zagarolo il 16 luglio 1904. Nel 1911 la famiglia si trasferì, a Roma. Nel 1913 il ragazzo entrò a far parte della Schola Cantorum di San Salvatore in Lauro: e fu la prima preziosa esperienza di una vita di musicista scientificamente formata sulla conoscenza diretta, sulla "pratica" della propria arte, ancor prima che sulla applicazione "astratta" della teoria. Nel 1919 la muta della voce impone l'abbandono della Schola Cantorum. Petrassi si impiega come commesso in un negozio di musica: e ciò gli consente di continuare da lettore quel che aveva fin'allora fatto da cantore, un "commercio" diretto, non più soltanto con gli antichi, ma con i moderni, ed anche con i contemporanei. Un immaginoso esegeta descriverà "il giovane che divora montagne di partiture" nel retrobottega. Lo scopre Alessandro Bustini, vengono gli studi regolari, dapprima privati, poi pubblici. Nel 1932 Petrassi si diploma in composizione, nel 1933 in organo, presso il Conservatorio di Santa Cecilia.
Ma il "curriculum" ufficiale dice poco sul giovane curioso e avido di cultura, un musicista del tutto anomalo nel consuetudinario panorama del tempo, visto che legge romanzi, poesie e saggi e guarda pitture, sculture e architetture, un giovane che si lega d'amicizia con Casella, con Salviucci, con Fedele D'Amico. E che già scrive musica, ancor prima della ufficiale consacrazione accademica. Della quale è molto più probante e decisiva quella della più avanzata cultura italiana del tempo, che viene soprattutto con la Partita per orchestra del 1932, che porta il nome del ventottenne musicista romano in tutta Europa.
Da allora la vita di Goffredo Petrassi è un incessante allargamento di interessi e di orizzonti, dell'uomo e del musicista. Compie esperienze di organizzatore musicale (dal 1937 al 1940 è sovrintendente del teatro "La Fenice" di Venezia, dal 1988 è direttore artistico della Società Aquilana dei Concerti) e di direttore d'orchestra (soprattutto tra la fine degli anni Cinquanta e la metà degli anni Sessanta, con tournées che gli fanno fare praticamente il giro del mondo). Si rivela didatta straordinario: dal 1939 al 1959 presso il Concervatorio e dal 1959 al 1978 presso l'Accademia di Santa Cecilia. Cattedra di composizione, naturalmente. Nella quale sono passati molti dei maggiori autori di musica delle generazioni successive: e mi basterà citare fra gli italiani Aldo Clementi e fra gli stranieri Peter Maxwell Davies. Ma ancor più che i nomi contano le testimonianze orali e scritte (e tra queste preziosa è quella lasciata dal compianto Domenico Guaccero): un far lezione che mai nulla imponeva dall'esterno, ma tutto sempre badava ad esplicitare dall'interno, perché l'allievo imparasse ad esprimere sè stesso, mettendo ordine alle proprie idee, organizzandole secondo principi coerenti, ma autonomi, autoctoni, "indigeni" se è lecito mutuare d'altronde un termine cosi estraneo all'esegesi musicologica. I quaranta anni ceciliani sono quelli fondamentali della storia didattica di Goffredo Petrassi, che pur ha conosciuto ulteriori e prestigiosi anelli di una collana preziosa, in Italia (a Siena) e fuori d'Italia (al "Mozarteum" di Salisburgo e a Tanglewood negli Stati Uniti).
La ragione per soffermarsi su Goffredo Petrassi maestro di composizione prima che su Goffredo Petrassi compositore sta nel fatto che il metodo del didatta è il metodo dell'autore. Nel modo in cui Petrassi procede ad organizzare la propria musica è la stessa libertà che il maestro usa quando insegna ai propri allievi ad essere sè stessi.
Nessuna costrizione esteriore, nessuna adozione preconcetta di modelli e di forme, nessuna gabbia stilistica. Anche quando esperimenta metodi, forme, procedimenti tipici delle principali correnti della musica contemporanea, Petrassi lo fa con la massima libertà, vorrei dire con la stessa curiosità con cui da giovane leggeva le "montagne di partiture" di cui parlava Fedele D'Amico, con quella curiosità attenta e partecipe che ha sempre conservato nei confronti delle cose della cultura e del mondo e che ne ha fatto un sottile critico letterario (ignoto al pubblico e noto soltanto agli amici più intimi, anche se è membro della giuria del "Premio Viareggio") e un fine estimatore della pittura e della scultura contemporanee (abbastanza nota è la sua "quadreria" del Novecento italiano e non italiano, dagli anni Trenta ad oggi).
Goffredo Petrassi è uno dei rari musicisti che si incontrano frequentemente ai concerti di musiche non proprie: ma è ancora più frequente incontrarlo a una mostra di pittura o di scultura o trovarlo intento a curiosare in una libreria.
Le scelte letterarie compiute per i testi da lui messi in musica sono scandite periodicamente dalle Sacre Scritture, con una progressiva e sempre più assorbente prevalenza del Nuovo sul Vecchio Testamento. Sono ovviamente individuabili aree cronologiche d'interesse (gli italiani, i classici, gli spagnoli), ma si nota una straordinaria indipendenza da tutte le "mode" letterarie che hanno afflitto il nostro secolo: ed anzi, man mano che avanza il tempo, si afferma sempre più la personalità di una "lettura" totalmente autonoma da condizionamenti esterni.
Più intimo ancora, più segreto e raccolto, e radicato nel profondo, è il rapporto di Petrassi con la pittura e con la scultura: e non è solo questione di personali amicizie, è questione che v'è una nascosta e sottile affinità di tecniche di "scrittura" e di procedimenti di "composizione", che forse può spiegare in parte l'originalità, e vorrei dire unicità, di Goffredo Petrassi nel panorama della musica del Novecento.
Una originalità che si manifesta anche nella pratica impossibilità di tracciare un quadro evolutivo della personalità di Petrassi nel tempo. Petrassi non evolve, in senso stilistico, bensì muta, ma mutando resta sempre sè medesimo. V'è una sigla inconfondibile, un qualcosa che ci fa dire: questo è Petrassi. Eppure ciascuna opera è diversa dall'altra. E non necessariamente la precedente è, inferiore alla successiva. Ed il mio non vuole essere un banale discorso di qualità. Mi riferisco alla tecnica, alla scrittura, alla organizzazione dell'opera. Che ogni volta sono riferite strettamente alle necessità interne di essa singola opera, indipendentemente dalle connessioni (che possono esservi e possono non esservi) con le opere che l'hanno preceduta o la seguiranno. Si può dire che non v'è lavoro del maestro romano che non sia importante per una sua caratteristica tutta particolare, di esso proprià e singolare.
In un momento o nell'altro della sua attività Goffredo Petrassi ha praticamente toccato tutti i "generi": teatro e concerto, sacro e profano, sinfonico e corale, vocale e strumentale. Nel corso del tempo due filoni sembrano tuttavia sempre più emergere come quelli che lo interessano in modo peculiare: un filone religioso, legato all'interpretazione di testi di particolare valore spirituale, e un filone strumentale, nel quale possono farsi rientrare così le musiche solistiche come quelle orchestrali.
Goffredo Petrassi è stato educato nella religione cattolico-romana. Di questa egli ha colto l'universalità dell'umano messaggio.
La religiosità delle sue opere corali e vocali è cristianamente laica, in quanto si rivolge all'uomo; ha anzi l'uomo per suo centro. Fin dal Coro di morti, attraverso Noche oscura, e poi Beatitudines, "testimonianza per Martin, Luther King", Orariones Christi e Laudes Creaturarum, Petrassi sommessamente ma fermamente esprime la condizione sbigottita dell'uomo che è cosciente e consapevole della vita, "testimonia" appunto la propria umanità come individualità nella solidarietà, con asciutta dignità, ma senza remore, senza esitazioni, senza reticenze. La religiosità di Petrassi può dirsi preghiera, ove s'intenda la preghiera come parola, azione del dire che non si esaurisce in invocazione, ma si svolge pacata in ragionamento, da uomo a uomo, sofferente dell'incomprensione ma fiduciosa nella comprensione, il tono mai alzato a gridare e a proclamare, sempre tranquillo, ma fermo, deciso, sicuro, consapevole, un ragionare senza delusioni e senza illusioni, un ragionare senza utopie, né positive né negative. O se si vuole, con una sola utopia, che è poi la sostanza stessa dell'essere uomo, l'utopia della ragione. Voce corale, voce solista (che nelle Laudes Creaturarum si fa addirittura voce recitante), nella maggior parte dei casi connessa a un supporto strumentale, che ne è parte costitutivamente integrante.
Se infatti già nel modo di trattare i testi è possibile rilevare la singolarità della musica di Goffredo Petrassi nell'ambito della musica del Novecento (nessuna spezzatura o frantumazione o violentazione ma anche nessuna enfatizzazione o sottolineazione od esasperazione: l'apparenza può indurre a volte addirittura a pensare a un commento; poi ci si rende conto di quanto il testo sia da Petrassi fatto interno al tessuto musicale che lo circonda, in esso totalmente immerso, in esso e con esso reso significante), questa singolarità risalta con evidenza insuscettibile di dubbi nella sua musica strumentale ed orchestrale. E va tenuto conto del fatto che la sua stessa scrittura orchestrale è sempre più soggetta, col passare del tempo, a una concezione "concertante" che dà rilievo solistico alle singole famiglie o addirittura ai singoli strumenti, e comunque rifiuta la tradizione, non solo ottocentesca, ma in buona parte anche novecentesca, dell'orchestra come massa.
Ed è questo un dato estremamente significativo. L'avvento dell'orchestra è storicamente legato all'adozione di una filosofia della musica che impone a questa, come a tutte le altre arti, di farsi portatrice di messaggi, la cui origine non è sonora, ma letteraria o visiva o plastica: l'opera musicale diviene la dimostrazione di un qualcosa di predeterminato, di precostituito. E' il grado di traducibilità in immagini letterarie o visive che determina le possibilità di ricezione (e quindi di comunicazione e di diffusione) di un'opera musicale. Proprio per il suo carattere di nucleo ideativo destinato a una dimostrazione, per lo più attraverso un procedimento dialettico, il tema nasce come un tutto unico, inscindibile nei suoi singoli elementi componenti, La musica adotta un vocabolario fatto di nessi e di locuzioni, abbandona quello tradizionale, ed usato fino al Settecento, fatto di singole parole dotate di una autonornia significativa di partenza , che viene trasformata nella composizione delle proposizioni e dei periodi, che ne muta ogni volta il significato di arrivo. Uscendo dall'analogia verbale, alle parole in musica corrispondono le figure: nella musica barocca il periodo nasce dalla connessione delle figure, l'abilità creativa del musicista è nel connettere le figure in modo sempre diverso, l'arte consiste nel "come", è un'arte del fare; nella musica romantica invece l'abilità creativa del musicista si manifesta nel trovare "terni" (cioè periodi) sempre nuovi, l'arte consiste nel "cosa", è un'arte dell'inventare. Il grande problema della musica del Novecento è stato quello di ritrovare l'abilità creatrice del "fare", una volta che si era perduta del tutto la base di partenza, cioè la figura musicale elementare partecipe di una lingua convenzionale comune.
Senza manifesti estetici, senza proclami, senza benedizioni e senza scomuniche, ma con tutta semplicità, è proprio Goffredo Petrassi che a questo problema ha offerto una proposta di soluzione che non mi perito di affermare essere ad oggi la più valida ed interessante. Essa consiste nel recupero della figura musicale, ovviamente nel solo modo possibile, cioè dall'interno dell'opera, visto che non esiste più un vocabolario comune che consenta di prenderla dall'esterno. Sempre più in Petrassi la figura acquista un'importanza centrale, diviene la sostanza stessa della composizione. E' una figura che contiene germinalmente in sé tutti i parametri compositivi, non è quindi un elemento esclusivamente melodico o ritmico o timbrico. E' in uno tutto ciò, ed anche gesto, durata, materia, e così via. Ogni composizione ha il proprio lessico figurativo, un vocabolario di parole che sono sue proprie, cellule elementari che si compongono in significati connettendosi e che la caratterizzano non in quanto elementi statici (cioè tessere di mosaico), bensì in quanto elementi dinamici, in continuo divenire, senza blocchi, impedimenti od impacci, libere nella loro aggregazione, secondo un procedimento di organizzazione costruttiva che tiene continuamente presente l'insieme dell'opera, vista contemporaneamente da tutti i lati; come in un quadro la cornice, così nell'opera musicale la durata complessiva costituisce il limite entro il quale essa si raccoglie interamente, senza nulla prendere dall'esterno (né immagini visive né spunti letterari) e senza nulla proiettare verso l'esterno (messaggi filosofici o sociali); ma dentro la cornice della sua durata la rappresentazione ha una totalità onnicomprensiva, la cui articolazione è proprio costituita dalle singole figure che essa viene via via generando.
Così è che, già nel modo stesso di scrivere e di comporre, al di là dello stesso valore elevatissimo d'arte delle sue opere, Goffredo Petrassi ha dato un contributo decisivo e fondamentale alla storia della cultura del Novecento, e non soltanto di quella italiana.
di Carlo Marinelli (Professore di Storia della Musica nell'Università dell'Aquila - Presidente dell'I.R.TE.M.)
Ma il "curriculum" ufficiale dice poco sul giovane curioso e avido di cultura, un musicista del tutto anomalo nel consuetudinario panorama del tempo, visto che legge romanzi, poesie e saggi e guarda pitture, sculture e architetture, un giovane che si lega d'amicizia con Casella, con Salviucci, con Fedele D'Amico. E che già scrive musica, ancor prima della ufficiale consacrazione accademica. Della quale è molto più probante e decisiva quella della più avanzata cultura italiana del tempo, che viene soprattutto con la Partita per orchestra del 1932, che porta il nome del ventottenne musicista romano in tutta Europa.
Da allora la vita di Goffredo Petrassi è un incessante allargamento di interessi e di orizzonti, dell'uomo e del musicista. Compie esperienze di organizzatore musicale (dal 1937 al 1940 è sovrintendente del teatro "La Fenice" di Venezia, dal 1988 è direttore artistico della Società Aquilana dei Concerti) e di direttore d'orchestra (soprattutto tra la fine degli anni Cinquanta e la metà degli anni Sessanta, con tournées che gli fanno fare praticamente il giro del mondo). Si rivela didatta straordinario: dal 1939 al 1959 presso il Concervatorio e dal 1959 al 1978 presso l'Accademia di Santa Cecilia. Cattedra di composizione, naturalmente. Nella quale sono passati molti dei maggiori autori di musica delle generazioni successive: e mi basterà citare fra gli italiani Aldo Clementi e fra gli stranieri Peter Maxwell Davies. Ma ancor più che i nomi contano le testimonianze orali e scritte (e tra queste preziosa è quella lasciata dal compianto Domenico Guaccero): un far lezione che mai nulla imponeva dall'esterno, ma tutto sempre badava ad esplicitare dall'interno, perché l'allievo imparasse ad esprimere sè stesso, mettendo ordine alle proprie idee, organizzandole secondo principi coerenti, ma autonomi, autoctoni, "indigeni" se è lecito mutuare d'altronde un termine cosi estraneo all'esegesi musicologica. I quaranta anni ceciliani sono quelli fondamentali della storia didattica di Goffredo Petrassi, che pur ha conosciuto ulteriori e prestigiosi anelli di una collana preziosa, in Italia (a Siena) e fuori d'Italia (al "Mozarteum" di Salisburgo e a Tanglewood negli Stati Uniti).
La ragione per soffermarsi su Goffredo Petrassi maestro di composizione prima che su Goffredo Petrassi compositore sta nel fatto che il metodo del didatta è il metodo dell'autore. Nel modo in cui Petrassi procede ad organizzare la propria musica è la stessa libertà che il maestro usa quando insegna ai propri allievi ad essere sè stessi.
Nessuna costrizione esteriore, nessuna adozione preconcetta di modelli e di forme, nessuna gabbia stilistica. Anche quando esperimenta metodi, forme, procedimenti tipici delle principali correnti della musica contemporanea, Petrassi lo fa con la massima libertà, vorrei dire con la stessa curiosità con cui da giovane leggeva le "montagne di partiture" di cui parlava Fedele D'Amico, con quella curiosità attenta e partecipe che ha sempre conservato nei confronti delle cose della cultura e del mondo e che ne ha fatto un sottile critico letterario (ignoto al pubblico e noto soltanto agli amici più intimi, anche se è membro della giuria del "Premio Viareggio") e un fine estimatore della pittura e della scultura contemporanee (abbastanza nota è la sua "quadreria" del Novecento italiano e non italiano, dagli anni Trenta ad oggi).
Goffredo Petrassi è uno dei rari musicisti che si incontrano frequentemente ai concerti di musiche non proprie: ma è ancora più frequente incontrarlo a una mostra di pittura o di scultura o trovarlo intento a curiosare in una libreria.
Le scelte letterarie compiute per i testi da lui messi in musica sono scandite periodicamente dalle Sacre Scritture, con una progressiva e sempre più assorbente prevalenza del Nuovo sul Vecchio Testamento. Sono ovviamente individuabili aree cronologiche d'interesse (gli italiani, i classici, gli spagnoli), ma si nota una straordinaria indipendenza da tutte le "mode" letterarie che hanno afflitto il nostro secolo: ed anzi, man mano che avanza il tempo, si afferma sempre più la personalità di una "lettura" totalmente autonoma da condizionamenti esterni.
Più intimo ancora, più segreto e raccolto, e radicato nel profondo, è il rapporto di Petrassi con la pittura e con la scultura: e non è solo questione di personali amicizie, è questione che v'è una nascosta e sottile affinità di tecniche di "scrittura" e di procedimenti di "composizione", che forse può spiegare in parte l'originalità, e vorrei dire unicità, di Goffredo Petrassi nel panorama della musica del Novecento.
Una originalità che si manifesta anche nella pratica impossibilità di tracciare un quadro evolutivo della personalità di Petrassi nel tempo. Petrassi non evolve, in senso stilistico, bensì muta, ma mutando resta sempre sè medesimo. V'è una sigla inconfondibile, un qualcosa che ci fa dire: questo è Petrassi. Eppure ciascuna opera è diversa dall'altra. E non necessariamente la precedente è, inferiore alla successiva. Ed il mio non vuole essere un banale discorso di qualità. Mi riferisco alla tecnica, alla scrittura, alla organizzazione dell'opera. Che ogni volta sono riferite strettamente alle necessità interne di essa singola opera, indipendentemente dalle connessioni (che possono esservi e possono non esservi) con le opere che l'hanno preceduta o la seguiranno. Si può dire che non v'è lavoro del maestro romano che non sia importante per una sua caratteristica tutta particolare, di esso proprià e singolare.
In un momento o nell'altro della sua attività Goffredo Petrassi ha praticamente toccato tutti i "generi": teatro e concerto, sacro e profano, sinfonico e corale, vocale e strumentale. Nel corso del tempo due filoni sembrano tuttavia sempre più emergere come quelli che lo interessano in modo peculiare: un filone religioso, legato all'interpretazione di testi di particolare valore spirituale, e un filone strumentale, nel quale possono farsi rientrare così le musiche solistiche come quelle orchestrali.
Goffredo Petrassi è stato educato nella religione cattolico-romana. Di questa egli ha colto l'universalità dell'umano messaggio.
La religiosità delle sue opere corali e vocali è cristianamente laica, in quanto si rivolge all'uomo; ha anzi l'uomo per suo centro. Fin dal Coro di morti, attraverso Noche oscura, e poi Beatitudines, "testimonianza per Martin, Luther King", Orariones Christi e Laudes Creaturarum, Petrassi sommessamente ma fermamente esprime la condizione sbigottita dell'uomo che è cosciente e consapevole della vita, "testimonia" appunto la propria umanità come individualità nella solidarietà, con asciutta dignità, ma senza remore, senza esitazioni, senza reticenze. La religiosità di Petrassi può dirsi preghiera, ove s'intenda la preghiera come parola, azione del dire che non si esaurisce in invocazione, ma si svolge pacata in ragionamento, da uomo a uomo, sofferente dell'incomprensione ma fiduciosa nella comprensione, il tono mai alzato a gridare e a proclamare, sempre tranquillo, ma fermo, deciso, sicuro, consapevole, un ragionare senza delusioni e senza illusioni, un ragionare senza utopie, né positive né negative. O se si vuole, con una sola utopia, che è poi la sostanza stessa dell'essere uomo, l'utopia della ragione. Voce corale, voce solista (che nelle Laudes Creaturarum si fa addirittura voce recitante), nella maggior parte dei casi connessa a un supporto strumentale, che ne è parte costitutivamente integrante.
Se infatti già nel modo di trattare i testi è possibile rilevare la singolarità della musica di Goffredo Petrassi nell'ambito della musica del Novecento (nessuna spezzatura o frantumazione o violentazione ma anche nessuna enfatizzazione o sottolineazione od esasperazione: l'apparenza può indurre a volte addirittura a pensare a un commento; poi ci si rende conto di quanto il testo sia da Petrassi fatto interno al tessuto musicale che lo circonda, in esso totalmente immerso, in esso e con esso reso significante), questa singolarità risalta con evidenza insuscettibile di dubbi nella sua musica strumentale ed orchestrale. E va tenuto conto del fatto che la sua stessa scrittura orchestrale è sempre più soggetta, col passare del tempo, a una concezione "concertante" che dà rilievo solistico alle singole famiglie o addirittura ai singoli strumenti, e comunque rifiuta la tradizione, non solo ottocentesca, ma in buona parte anche novecentesca, dell'orchestra come massa.
Ed è questo un dato estremamente significativo. L'avvento dell'orchestra è storicamente legato all'adozione di una filosofia della musica che impone a questa, come a tutte le altre arti, di farsi portatrice di messaggi, la cui origine non è sonora, ma letteraria o visiva o plastica: l'opera musicale diviene la dimostrazione di un qualcosa di predeterminato, di precostituito. E' il grado di traducibilità in immagini letterarie o visive che determina le possibilità di ricezione (e quindi di comunicazione e di diffusione) di un'opera musicale. Proprio per il suo carattere di nucleo ideativo destinato a una dimostrazione, per lo più attraverso un procedimento dialettico, il tema nasce come un tutto unico, inscindibile nei suoi singoli elementi componenti, La musica adotta un vocabolario fatto di nessi e di locuzioni, abbandona quello tradizionale, ed usato fino al Settecento, fatto di singole parole dotate di una autonornia significativa di partenza , che viene trasformata nella composizione delle proposizioni e dei periodi, che ne muta ogni volta il significato di arrivo. Uscendo dall'analogia verbale, alle parole in musica corrispondono le figure: nella musica barocca il periodo nasce dalla connessione delle figure, l'abilità creativa del musicista è nel connettere le figure in modo sempre diverso, l'arte consiste nel "come", è un'arte del fare; nella musica romantica invece l'abilità creativa del musicista si manifesta nel trovare "terni" (cioè periodi) sempre nuovi, l'arte consiste nel "cosa", è un'arte dell'inventare. Il grande problema della musica del Novecento è stato quello di ritrovare l'abilità creatrice del "fare", una volta che si era perduta del tutto la base di partenza, cioè la figura musicale elementare partecipe di una lingua convenzionale comune.
Senza manifesti estetici, senza proclami, senza benedizioni e senza scomuniche, ma con tutta semplicità, è proprio Goffredo Petrassi che a questo problema ha offerto una proposta di soluzione che non mi perito di affermare essere ad oggi la più valida ed interessante. Essa consiste nel recupero della figura musicale, ovviamente nel solo modo possibile, cioè dall'interno dell'opera, visto che non esiste più un vocabolario comune che consenta di prenderla dall'esterno. Sempre più in Petrassi la figura acquista un'importanza centrale, diviene la sostanza stessa della composizione. E' una figura che contiene germinalmente in sé tutti i parametri compositivi, non è quindi un elemento esclusivamente melodico o ritmico o timbrico. E' in uno tutto ciò, ed anche gesto, durata, materia, e così via. Ogni composizione ha il proprio lessico figurativo, un vocabolario di parole che sono sue proprie, cellule elementari che si compongono in significati connettendosi e che la caratterizzano non in quanto elementi statici (cioè tessere di mosaico), bensì in quanto elementi dinamici, in continuo divenire, senza blocchi, impedimenti od impacci, libere nella loro aggregazione, secondo un procedimento di organizzazione costruttiva che tiene continuamente presente l'insieme dell'opera, vista contemporaneamente da tutti i lati; come in un quadro la cornice, così nell'opera musicale la durata complessiva costituisce il limite entro il quale essa si raccoglie interamente, senza nulla prendere dall'esterno (né immagini visive né spunti letterari) e senza nulla proiettare verso l'esterno (messaggi filosofici o sociali); ma dentro la cornice della sua durata la rappresentazione ha una totalità onnicomprensiva, la cui articolazione è proprio costituita dalle singole figure che essa viene via via generando.
Così è che, già nel modo stesso di scrivere e di comporre, al di là dello stesso valore elevatissimo d'arte delle sue opere, Goffredo Petrassi ha dato un contributo decisivo e fondamentale alla storia della cultura del Novecento, e non soltanto di quella italiana.
di Carlo Marinelli (Professore di Storia della Musica nell'Università dell'Aquila - Presidente dell'I.R.TE.M.)
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