Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

sabato, agosto 07, 2010

Harnoncourt: il Requiem di Mozart, la sua sola opera di carattere autobiografico

Non voglio dedicarmi in questa sede a uno studio analitico o musicologico di quest'opera, ma solo raccontare le impressioni che ne ho ricevuto quando ho lavorato sul Requiem di Mozart. In primo luogo, benché ci sia giunto in forma frammentarla e sia stato terminato da Sussmayr in un modo che tanto spesso è stato severamente criticato, la coesione, la concezione globale dell'opera mi sembrano ben più pregnanti di un tempo: non posso assolutamente considerare le sezioni complementari come corpi estranei dal punto di vista musicale, sono mozartiane nell'essenza. Mi sembra impossibile e assurdo credere che un compositore di seconda categoria come Sussmayr, le cui opere non vanno mai aldilà di una banale mediocrìtà, abbia potuto completare lui stesso il Lacrimosa e comporre il Sanctus, il Benedictus e l'Agnus Dei. Anche la luminosa ispirazione del resto dell'opera, che in qualche modo avrebbe dato ali a Sussmayr, non riesce a convincermi che questa sia l'origine di quella musica. Secondo me, anche quei movimenti sono di Mozart, vuoi che Sussmayr fosse astuto a tal punto, vuoi che Mozart, nel corso della loro collaborazione, gli abbia suonato queste composizioni che sarebbero rimaste scolpite nella memoria di Sussmayr. La manifesta differenza di qualità fra la composizione e la strumentazione dì Sussmayr non fanno che rafforzare la mia convinzione.
Grazie alle sue lettere, sappiamo che l'idea della morte, che affrontava da credente, era familiare e naturale per Mozart. Così, nel 1787, dunque all'età di trentun'anni, scriveva al padre malato: «... Poiché la morte (a guardare da vicino) è il vero scopo finale della nostra vita, mi sono a tal punto familiarizzato, negli ultimi anni, con questa vera e perfetta amica dell'uomo che la sua immagine non solo non ha più nulla di temibile per me, ma mi appare tranquillizzante, molto consolante! E ringrazio Iddio per avermi concesso la felicità di cogliere l'occasione (Voi mi capite) di imparare a conoscerla come la "chiave" della nostra autentica felicità... Non mi corico mai senza pensare che forse l'indomani (per giovane ch'io sia) non sarò più qui ... ».
Il quartetto della morte di Idomeneo, che Mozart scrisse dieci anni prima del Requiem, mi sembra già un confronto molto personale con la propria morte. Il compositore, che si identificava con Idamante, conservò per tutta la vita un rapporto emotivo di straordinaria intensità con quest'opera, ma soprattutto con questo quartetto. Si dice che una volta che gli accadde di cantarlo a Vienna, certamente nella parte di Idamante, ne fosse commosso fino alle lacrime, fino a doversi interrompere. Si racconta una storia analoga a proposito di una specie di prova del Requiem nel corso della quale, poco tempo prima della sua morte, provando le sezioni già terminate, Mozart si sciolse in lacrime nel Lacrimosa, incapace di continuare.
L'intera opera mi dà l'impressione di un accostamento molto profondamente personale, spaventevole, sconvolgente in un compositore che normalmente separava in maniera addirittura sorprendente la sua vita e la sua esperienza personale dalla sua arte. Il preludio strumentale è un compianto funebre (corni di bassetto e fagotti), su cui gli archi gravi e acuti suonano alternativamente delle figure, diciamo così, singhiozzanti che in Mozart rappresentano il pianto. Questa quieta tristezza è spezzata dagli squilli forti dei tromboni, delle trombe e dei timpani alla battuta 7: la morte non è solo una dolce compagna, ma anche il gradino verso il temuto giudizio. Qui per la prima volta, come forse anche Mozart, sento come il testo liturgico ufficiale diventi un confronto sconvolgente, assolutamente personale, con la morte: la morte coglierà un giorno cìascuno di noi ma cosa ne sarà di me? O come, dopo «luceat eis», alle battute 17-20, le preghiere comuni sfociano in un tranquillizzante motivo di consolazione: andrà tutto bene perché esiste una misericordia. Il Kyrie, preghiera per la divina misericordia, si eleva dalla fuga generale, in appelli omofonici sempre più personali, esigenti: Signore, devi perdonarmi! L'opposizione del generale e del particolare è particolarmente marcata nella sequenza: il Dies Irae dipinge impietosamente l'orrore del giudizio estremo, la severità del giudice («cuncta stricte discussurus!»); il Tuba mirum, il risveglio dei morti nel giudizio: nulla resta inespiato («nil inultum remanebit») dopo di che viene la domanda angosciosa, personale e commovente: «Povero come sono, cosa dirò allora?» O il vivo contrasto fra il re onnipotente e l'«io» e me stesso: «Salvami, sorgente di pietà», nel Recordare, movimento che, secondo la testimonianza di Costanza, era per Mozart di un'importanza particolare, sfocia in una preghiera pressante e profondamente fiduciosa: «Mi hai salvato per mezzo della tua sofferenza, questo dolore non deve essere vano». Capisco l'atteggiamento particolare di Mozart, religioso e musicale, verso questo movimento: a tal punto sottolinea l'elemento personale dei rapporti con Dio e rappresenta l'eventualità di un'affettuosa clemenza da parte di questo giudice che in precedenza era descritto come impietosamente severo, e questo in due punti: «Tu che hai perdonato a Maria Maddalena, lascia che anch'io speri» (battute 83-93) «Lascia che io sia alla tua destra fra le pecore» (battuta 116 fino alla fine). Nel Confutatis, che fin dall'inizio implica l'opposizione tutti-io, il rapporto intimo e personale con Dio dell'ultimo movimento, «Siimi vicino quando morirò», è sottolineato al tempo stesso sul piano armonico e da un'intepretazione musicale dei testo che esprime la certezza e la fiducia. Qui sento Mozart in persona che parla per sé, con tutta l'insistenza e l'emozione di cui era capace, come un bambino malato che guardi fiducioso la madre e allora l'angoscia scompare.

Nikolaus Harnoncourt ("Il discorso musicale", Jaca Book, 1987)

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