Che in occasione del tricentenario della nascita di Bach siano uscite in Italia due monumentali biografie, quella di Alberto Basso e ora quella di Piero Buscaroli (Mondadori, 1180 pagine, 65.000 lire), entrambe scrupolosamente aggiornate sui risultati sconvolgenti (per lo meno in fatto di cronologia) della neue Bach-Forschung, conferma lo straordinario progresso della cultura musicale del nostro Paese, progresso che ormai può venir messo in dubbio soltanto da quelli che Buscaroli definisce, con un termine che gli è caro, critici piagnoni.
Biografia, anzi "solo biografia", secondo un aforisma di Nietzsche. Far rivivere lo hic et nunc dell'autore. Non analisi delle opere, su cui Buscaroli si lascia andare talvolta ad incaute ironie. Dichiarata abdicazione (fortunatamente non sempre mantenuta) all'esercizio della critica. "Un libro come questo non può gareggiare coi manuali, che dedicano centinaia di pagine di analisi ai singoli generi". (E pour cause, verrebbe fatto di commentare, quando si legge che l'autore "due intervalli discendenti di terza minore" configurano la successione delle note: do - la bemolle - fa naturale).
Invece, biografia über alles. Giustissimo. Tutti sanno che per la comprensione di Bach è imprescindibile la conoscenza della biografia: con la successione dei posti di lavoro occupati, essa è organicamente integrata negli sviluppi della sua arte. Biografia così appassionata da riuscir quasi romanzata. Non che Buscaroli s'inventi fatti o metta discorsetti in bocca a Bach e a chi gli stava intorno. Ma, se non romanzata, biografia interiore. Sforzo di essere dentro la testa di Bach. Smania di mettere a nudo "la macchina della riflessione creativa". Sapere che cosa succedeva nel suo spirito. Cogliere "il preciso calcolo di...", o "l'indizio di un'intenzione".
Donde, sebbene Buscaroli sia severissimo contro "le fantasie dei biografi" e i "frutti dell'immaginazione" di altri critici, un festival delle supposizioni, delle ipotesi e delle congetture. I "forse", i "probabilmente", i "si può pensare che", si sprecano. Quasi mai un verbo si presenta nudo e crudo al passato remoto, come è proprio della narrazione storica, ma per lo più al futuro anteriore (avrà fatto, avrà detto, avrà pensato, ecc.), oppure coniugato con l'ausiliare ipotetico "dovere": dovette credere, dovette pensare, dovette preferire, ecc.. Ne viene, a chi legge, un certo disagio, come se si camminasse sulle uova, molto simile al mal di mare.
Sa benissimo, il Buscaroli, che "ogni ipotesi ci ricaccerebbe nel regno delle invenzioni da cui siamo usciti per sempre", e giustamente si fa beffe di quella ricerca che "arranca tra le ipotesi". Ma deve ammettere lealmente: "Ci restano le deduzioni, le congetture", e giù con i "si può credere", "è evidente che", ecc..
Manca infatti al Buscaroli un chiaro concetto dell'arte: quello che il Riezler, biografo di Beethoven da lui citato, chiamava "un'idea generale dell'arte". L'estetica di Buscaroli si fonda sul concetto, così fasullo, di "genio", di "uomo eccezionale". Nel suo culto di superuomo egli è affascinato dal "mistero della grandezza". Donde la frenesia biografica interiorizzata. "Riesce difficile resistere alla tentazione di valorizzare ogni increspatura, ogni saliente di questi anni". Eppure il Buscaroli c'insegna che "quanto a ipotesi sballate la critica bachiana ne ha conosciute, davvero, di tutti i generi".
Tre divieti reggono la struttura biografica, sviluppata senza economia di spazio e con sbalorditiva ricchezza di documentazione: che Bach sia un musicista eminentemente serio, che Bach sia stato un vinto, uno sconfitto dalla storia; che Bach sia da considerare un "artigiano" della musica.
La disputa sul sacro e il profano in Bach è sempre esistita. C'è chi "tiene" per i Concerti brandeburghesi e chi "tiene" per le Passioni. Chi vede il momento grande di Bach nel brillante servizio mondano alle corti di Weimar e di Cöthen, e chi il vero Bach lo trova nell'organista di chiesa e nel Cantor della Thomasschule.
Niente di male: è grande in entrambi i campi, e la dialettica sacro-profano non fa che rinfocolare lo zelo degli studiosi. Ma sostenere che è "esigua" (sì, dice proprio esigua) "la quantità della musica di chiesa da lui composta se si paragona con la produzione di un gran numero di maestri", questo è proprio un po' forte. In calce al volume c'è un eccellente catalogo delle opere di Bach. Ne risulta che l'esigua produzione da chiesa consta di: circa 200 cantate sacre, 5 Messe, 5 Sanctus, 1 Credo, 2 Magnificat, 5 tra Passioni e Oratori, 5 Mottetti, per non parlare dei Corali, trascritti e elaborati.
Nemico intransigente della Riforma luterana, in cui vede la causa di tutti imali e le colpe della Germania (ammesse a denti stretti, le colpe), il Buscaroli vuole soprattutto dissociare da Bach l'immagine del luterano tutto d'un pezzo, sostenuta dagli "ottusi ignoranti giullari del Bach tutto-chiesa", e a questo scopo s'impegna in una tendenziosa svalutazione, anzi demolizione del famoso progetto di una "reguloirte Kirchenmusik" con cui Bach si licenziò dal servizio nella chiesa pietista di Mühlhausen. Tira talmente la corda che finisce quasi per trasferire Bach nel campo opposto ("Si comporta in tutto e per tutto come un pietista") e lo fa apparire come uno spudorato mentitore, che avrebbe architettato la storia della ben regolata musica di chiesa semplicemente per passare a un impiego migliore nella corte di Weimar, dove sapeva benissimo che di Kirchenmusik, bene o mal regolata, non avrebbe avuto da occuparsi. "Equivoci non sono leciti. Più c'inoltriamo in questa linea vitale, e più ci convinciamo che la 'regulierte Kirchenmusik in nome di Dio' altro non fosse che un sospiro ornamentale, messo a coprire, col suo accorato rimpianto, la giovanile gioia di un posto migliore, con doppio guadagno".
Mai dimostrata l'"intransigenza luterana" di Bach? Sarà, ma in queste diatribe sul sacro e il profano si assiste a una ridda di farneticazioni biografiche alle quali si possono opporre altre farneticazioni di segno contrario, altrettanto plausibili ed altrettanto campate in aria. Non sarà mica una "fabbrica di fantasticherie" come quelle così aspramente rimproverate al vecchio Spitta?
Bach vittorioso. C'è nell'autore una mentalità militarista simpaticamente infantile, da lettore di Salgari e di Nembo Kid, che non ammette possa essere il suo eroe, uno sconfitto, un vinto. Via la "nuffita oleografia" disegnata dagli "specialisti del pignisteo bachiano", del "Cantor misconosciuto e vessato da grette autorità cittadine ed ecclesiastiche" della bigotta Lipsia! Perciò gran peso attribuito ai postumi della questione Scheibe e alle retoriche difese di Bach redatte dal professor Birnbaum, unica vittoria (ma lenta e tardiva, ai punti) riportata da Bach nell'ultima fase della sua vita. L'entusiasmo per il vittorioso si estende fino alla "sessualità indomita" dell'"ardente vedovo", che generò ancora un figlio a 57 anni. Be', che c'è di straordinario?
"Nè vinto, nè isolato", dunque, salvo che sul fronte della scuola. E' qui che Buscaroli estrae dai documenti una selva di prove per dimostrare la totale erosione dei suoi doveri scolastici e municipali che Bach effettuò nei ventisette anni d'insabbiamento a Lipsia, comportandosi come un perfetto lavativo.
Ma sarà poi proprio vero che "Bach non si sentiva nè umiliato, nè maltrattato"? Un centinaio di pagine più in là, in uno dei tentativi di crepida penetrazione nell'animo del Grande, Buscaroli suggerisce: "Non avrà mancato di sentirsi superato e abbandonato, di gemere sulla sua sorte". Il che s'accorderebbe con le "periodiche crisi di depressione e di sterilità" che lo scrittore gli attribuisce, con l'"ansia", l'"insoddisfazione e forse anche una fragilità" riconoscibile nell'esordiente Bach. Aggiungendo che la parodia, cioè il "continuo lavoro di riscrittura" che è il modus operandi di Bach, è, sì, sempre miglioramento, perfezionamento e inveramento, ma anche "discende da un vizio psicologico ed estetico".
E' quanto all'artigianato musicale, va bene, ammettiamo pure che Bach fosse un romantico. D'un artista così grande si può sostenere tutto e il contrario di tutto. Ma a proposito dell'Arte della fuga leggiamo che "anche il vecchio Bach ha bisogno, per finire un'opera, del pungolo esterno, la commissione, la data fissata per l'utilizzazione". E se non è artigianato questo, che cos'è?
Nonostante il maltusianesimo critico professato dall'autore, analisi musicali non ne mancano, spesso ottime, ma saltuarie, quasi a titolo di campionature sul versante preferito. Non Cantate sacre, ma profane. Sulla Messa e sulla Passione secondo San Matteo solo aride diatribe di cronologia. Invece una splendida rilettura del Clavicembalo ben temperato, parte prima, e un felice inquadramento storico dell'Offerta musicale, che attraverso Federico II e il barone Van Swieten congiunge materialmente Bach a Mozart. Meno approfondito l'esame dell'Arte della fuga, che pure è il vertice di quella "musica assoluta" proposta come terreno d'incontro e risoluzione della contraddizione tra sacro e profano, la cui tensione conturba drammaticamente il poderoso volume.
La cui lettura è aggravata, oltre che dall'orgia di supposizioni, anche dalla rissosa volgarità delle contumelie versate sui colleghi presenti e passati della ricerca bachiana. C'è nel Buscaroli una sindrome di fascismo intellettuale per cui chiunque si permetta di avere un'opinione diversa dalla sua è un nemico. "Tipica sensibilità fascista", per dirla con parole di Isotta a proposito di Barilli, "nel senso delle categorie mentali, non degli schieramenti nella prassi politica quotidiana".
E' quell'arroganza ghibellina, quella "standardizzata altezzosità nei confronti della massa" che in realtà "è un comportamento tipicamente massificato" secondo la luminosa diagnosi di Claudio Magris, poichè "chi parla della pochezza intellettuale generale dovrebbe sapere di non esserne immune, deve assumerla su di sè come rischio e destino comune degli uomini".
Da questo genere di penitenza il Buscaroli è proprio alieno e così, con una preparazione straordinaria, invece d'un libro di storia, ci ha dato un violentissimo pamphlet. Ma i pamphlets, per essere buoni, devono essere brevi. Questo, invece, è di 1200 pagine.
Massimo Mila ("La Stampa", 19/10/1985)
4 commenti:
Il semble que vous soyez un expert dans ce domaine, vos remarques sont tres interessantes, merci.
- Daniel
Mila versus Buscaroli: l'odio del capoclasse per il fuoriclasse.
ma che dici?...
Analisi acutissima di Mila. Oggettiva nel riconoscere anche i punti validi di Buscaroli e precisa nel riferire del fastidio che si avverte per via della "rissosa volgarità" a cui Buscaroli ricorre non di rado. Roba da psicoanalista non da musicologo.
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