Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

sabato, gennaio 29, 2011

Busoni secondo Stefan Zweig

A lungo il suo volto vero rimase adombrato dietro la fosca nube della barba. Tragico appariva e malinconico, quando lo si vedeva avvicinarsi al pianoforte dal fondo della sala, un Cristo dolente sul legno nero che racchiude in sé tutte le gioie e i dolori terreni, e attraverso di esso continuamente li redime. Ma adesso che la cupa bordura della barba si è dissolta, che la cascata di capelli neri e fluttuanti non copre più le sue sembianze ma, mutata in un grigio argenteo, lascia libera, chiara, una fronte chiara, pura e ben formata, scopriamo nei suoi lineamenti così rasserenati (straordinariamente spirituali, straordinariamente sensuali) una bocca mobilissima, aspra soltanto nelle ore della musica, ma che si arrotonda volentieri nel sorriso della conversazione, e talvolta trabocca addirittura in una risata che erompe; questa risata così unica di Busoni, italiana, aretina, che ha sulla gente lo stesso effetto trascinante della sua arte magistrale. E adesso si scorgono, lieta sorpresa, nel volto rischiarato gli occhi luminosi, puri e acquerellini, ma non dei toni smorti delle acque chiuse e poco profonde, bensì pieni dell'inquietudine scintillante del perpetuo scorrere, rinnovato e alimentato da un'inesauribile fonte interiore. Occhi cui piace guardare il mondo, e poi di nuovo posarsi sui libri, occhi che amano i colori, le donne, che bevono e cercano, ma che improvvisamente si ricompongono in una calma sacrale - nell'attimo solenne in cui sotto le sue dita risuona la prima nota. Nessuno dei nostri maestri io amo più immensamente, al pianoforte, di Busoni. Altri appaiono eccitati nel creare, pare che scavino, ed estraggano imprecando le note dalla cava candida dei tasti, tutto il corpo proteso in uno sforzo vibrante. Altri ancora, nell'interpretazione, sorridono del sorriso ingannevole degli atleti che sollevano con simulata agilità una pila di pesi, mostrando alla folla stupefatta come per loro sia soltanto un gioco, indicibile leggerezza. Altri ancora si inalberano di orgoglio, tremano di eccitazione. Ma lui, Busoni, ascolta. Ascolta se stesso suonare. Una infinita lontananza sembra allora estendersi tra le mani, che si aggirano come fantasmi laggiù, frugando tra le note, e il volto fiero pervaso da un'estasi beata, pietrificato in un dolce terrore di fronte all'indicibile bellezza medusea della musica. Sotto è musica, sopra silenzio, sotto il creare, sopra il gustare. Sembra quasi scordarsi, in questi preziosi minuti, che questa cosa, che lo avvolge con un brivido dolcissimo defluisce da lui stesso; respira, beve ed ascolta rapito, estraniandosi in questo gesto inesprimibile (non comunicabile) di incantata dedizione. Il suo viso si trasfigura nella tensione dell'ascolto e i suoi occhi rispecchiano, guardando in alto, un qualche cielo invisibile e dentro ad esso l'eterno Dio. Come lo amo in questi momenti! Come lo invidio in questi attimi per la sua altissima, straordinaria passione di perdere il contatto con se stesso nello stupore della creazione, di liberarsi da tutte le limitatezze del lavoro per ammirare l'opera in tutta la sua purezza, per questa somma maestria, che non più lotta né chiede, ma solo si appaga e si acquieta. Ma come invidiare qualcuno che non ha mai invidiato nessuno, che è prodigo di aiuto e di amicizia, che continuamente si rinnova? In anni in cui altri si sono inaciditi, in lui si risveglia soltanto la gioia; in anni in cui ad altri si è inaridita la fonte creativa, la musica inizia a sgorgare impetuosa in lui. Se il virtuoso è giunto al termine del cammino perché ha raggiunto la perfezione, il Busoni compositore, creatore, ha appena adesso l'occasione di allungare il passo. Io credo, senza conoscerla, alla sua musica. In essa vi sarà certamente qualcosa di chiaro, la spensieratezza della tarda maturità, e forse vi risuonerà la sua risata, quella risata così unica, dal cuore, infantile. L'arte dei giovani è egoista, e per questo selvaggia e confusa. Ma la grandezza dei buoni porta sempre nei capelli la corona argentea della serenità.
Stefan Zweig
(Passigli Editori, 1994)

1 commento:

Giuseppe Lozza ha detto...

bella pagina!