Il Primo Libro de’ Madregali a Cinque voci fu pubblicato a Venezia nel 1587, quale terza importante pubblicazione del musicista: non ancora ventenne, si confronta con uno dei più importanti banchi di prova, il madrigale. Composizione profana per eccellenza, forma senza forma (in quanto si forgia sulla lirica testuale da cui prende ispirazione e sostegno), banco di sperimentazione linguistica e musicale, il madrigale è il simbolo della sintesi tra arti, il più alto frutto della raffinata cultura aristocratica di quelle corti e mecenati che amavano circondarsi dei più grandi artisti del tempo.
Con una scrittura estremamente varia dal punto di vista dei chiari-scuri, di grande efficacia nello snodarsi delle melodie e d’interessanti intrecci armonici, Monteverdi scrive un’opera che getta i semi per le future opere della maturità, quelle che cambieranno definitivamente il modo di comporre musica, segnando il confine fra la musica del passato antico e quella che definiamo moderna: "compositioni giovenili" che non desiderano "altra lode che quella che si suole dare ai fiori di primavera, in rispetto di quella che si dà ai frutti dell’està e dell’autunno" scrive nella dedica al Conte Marco Verità di Verona.
Criptato nel testo del primo madrigale troviamo un omaggio galante ad una donna: "Ch’ami la vita mia" si pronuncia anche "Camilla vita mia"; "Se’l ver porti in te scritto" allude al cognome Verità. Già in questo primo brano Monteverdi riesce a colpirci per la maturità dell’uso drammatico d’episodi musicali che accrescono la loro efficacia per mezzo della ripetizione addizionale: togliendo e inserendo le linee vocali, ripetendo il testo per mezzo d’altezze e timbri diversi, con l’uso sapiente d’episodi coloristicamente contrastanti (chiaro-scuro nell’antitesi amore-afflizione, morte-vita), riesce a creare una grande tensione fino al catarsi finale.
Puro erotismo lo troviamo nella Canzon de’ baci del poeta Guarini: la raffinata eccitazione erotica in tutto il madrigale, ricco di sospiri e ansimi, ci porta ad una vera e propria simulazione nell’unione di due amanti e dell’atto sessuale che nella parola "morire" trova convenzionalmente il significato di copulare.
Il bacio è anche il tema di Filli cara ed amata dove ritroviamo lo stile "per addizione" tipico di quest’opera: si passa da una voce a tre, poi da quattro a cinque nell’esclamazione "Ahi" che offre la massima intensità dinamica e una netta cesura fra il mondo sognato e l’agonia seguente. La musica si discioglie così in un episodio ricco di lunghe e persistenti dissonanze armoniche: queste troveranno soluzione solamente nella serenità ipotetica dei baci, che colmano il silenzio di una risposta negata.
Un importante ciclo di tre madrigali conclude il Primo Libro: Ardo sì (Ardi o gela), Arsi et alsi, sono occasionalmente legati dal musicista per il loro contrasto e analogie letterarie. I testi non sono dello stesso autore, bensì dei due geniali poeti italiani, più volte musicati dal divino Claudio nelle raccolte successive: Giovan Battista Guarini apre con quello che aveva definito Foco d’amore, seguito da due brani di Torquato Tasso (poeta del Combattimento di Tancredi e Clorinda). Come scrive nel 1950 L. Schrade in Monteverdi Creator of Modern Music, "the relation of the texts to each other is not of true dialogue, but of a parody. Tasso’s poem parodied Guarini’s madrigal, and Monteverdi translated the parody into musical terms by patterning one composition on the other. When he composed Ardi e gela as Tasso’s "risposta" to Guarini’s Ardo sì, ma non t’amo, he used the musical material of the first madrigal. The bass of Ardi e gela is, in fact, a variation of the first madrigal, while in all parts both have the same ending, with only slight variation".
Aggravamenti, dissonanze e andamenti cromatici in corrispondenza delle parole "morte", "martiri", "pene", "afflizioni", si ritrovano abbondantemente in questo Libro: Monteverdi sceglie sapientemente i testi che offrono spunto per i suoi irruenti ed efficaci procedimenti musicali. In uno dei capolavori presenti in questo Primo Libro, La vaga pastorella, dopo un iniziale andamento saltellante che disegna l’immagine della pastorella vagante in un prato fiorito, la musica si congela in un episodio introspettivo che disperde la soavità iniziale. Monteverdi qui usa un procedimento di sovrapposizione a contrasto, cioè l’uso contemporaneo di due frasi letterarie e musicali con carattere opposto: la frase e carco di martiro scende pesantemente a valori larghi verso il grave, mentre la seguo tuttavia si muove velocemente, saltellando e anticipando l’episodio per dio non mi fuggire anteposto al drammatico e quanto mai espressivo finale.
In Questa ordì il laccio dopo gli efficaci madrigalismi troviamo un episodio riguardante la vendetta del protagonista verso Amore, fonte di tante sofferenze: impossibile non pensare ai "frutti maturi" che coglieremo nell’Ottavo libro. Altri brani qui presenti ci riconducono alle più celebri opere della maturità: A che tormi il ben mio, promettente esordio solistico affidato al Cantus (anticipa T’amo mia vita del Quinto Libro), e il breve trittico madrigalesco dedicato alla pastorella Fumia. Quest’ultimo si divide in tre momenti narrativi distinti: presentazione dell’interprete principale, suo inno solenne dedicato al sole e alla primavera, tenuto davanti ai pastori e ninfe, lode corale finale. Questa tripartizione narrativa e musicale sarà ripresa più di cinquant’anni dopo nel Lamento della Ninfa: la pastorella Fumia si è personificata in una sola voce, incorniciata da due episodi corali a tre voci d’ardita espressività dissonante, accompagnata solo dall’armonia strumentale e da ombre polifoniche che nel Primo Libro sono invece protagoniste della Musica.
Marco Longhini
(note al CD Naxos 8.555307)
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