A poche centinaia di metri in linea d’aria
dal Festspielhaus, nel centro storico di Bayreuth, davanti al monumento
dedicato a Jean-Paul, sorge un austero edificio in pietra addolcito da una
cancellata neorococò che si apre su un cortile adibito a spazio teatrale. All’interno,
separati da un tappeto rosso, che attenua un poco lo scricchiolio dell’assito,
pianoforti a coda accolgono come due ali di granatieri il viaggiatore
wagneriano. Non di rado è lo stesso proprietario, Udo Steingraeber, che ancora
vive con la famiglia nella casa-manifattura degli avi, ad accogliere il
viaggiatore con innata cortesia e a illustrare la curiosa storia di una
manifattura che segue gli artisti del Festival dalla sua nascita.
Che cosa significa
per Lei essere costruttore di pianoforti a Bayreuth?
Costruire pianoforti a Bayreuth
significa...toccare il cielo con un dito! Da nessuna parte al mondo vi sono i
desideri e le esigenze più disparate: qui lavorano pianisti solisti, direttori,
compositori, cameristi e cantanti. Essi ci svelano l’intera gamma dei loro
bisogni e delle loro aspirazioni al fine di preparare degli strumenti di qualità
sempre più elevata.
Ritiene che la
tipica sonorità wagneriana, accentuata dall’acustica del Festspielhaus, abbia
influenzato la concezione del suono di Steingraeber?
Richard Wagner non
suonava volentieri il pianoforte, non scrisse nulla di importante per quello
strumento e, contrariamente a suo suocero Franz Liszt, non diede nessun contributo alla sua
evoluzione tecnica. Con un’eccezione però: le campane del Graal nel Parsifal! Per la prima
rappresentazione del 1882 il mio trisavolo Eduard Steingraeber costruì per
Wagner un «piano a campane» con solo quattro note, quelle del motivo del Graal,
appunto. Ovviamente Steingraeber fornì degli strumenti alla famiglia Wagner e
al Festival fin dalle primissime sessioni di prove del 1875, un anno prima dell’apertura
ufficiale e, in modo indiretto, un grande influsso permane a tutt’oggi, un’influenza
che, inizialmente, si faceva già sentire attraverso l’operato della cosiddetta Cancelleria dei
Nibelunghi,ossia
i gruppi dei copisti e dei trascrittori delle parti orchestrali. Qui si
potevano incontrare personaggi come Engelbert Humperdinck e Josef Rubinstein,
ma anche direttori d’orchestra (da Hans Richter fino ad arrivare a Giuseppe
Sinopoli e a Daniel Barenboim) e assistenti musicali come Alfred Cortot. Tutti
suonavano su uno Steingraeber e tutti davano concerti nella Rokokosaal
(compreso Franz Liszt, naturalmente!). Alcuni hanno anche contribuito all’ideazione
di uno Steingraeber ad hoc,influenzando così, verso la fine del XIX secolo, l’immagine
sonora della marca. Engelbert Humperdinck, ad esempio, fece applicare al suo
Steingraeber uno speciale pedale per il pianissimo.
Gli Steingraeber
erano apprezzati da Liszt. Egli suonò su un particolare modello «neorococò»,
ancora oggi utilizzabile. Che cosa lo spinse, secondo Lei, ad orientarsi su
quel prototipo?
Le ultime composizioni di Liszt sono
radicali e moderne. A Liszt non occorreva più il suono sontuoso dei Romantici.
Nel 1873 Steingraeber aveva iniziato a fare esperimenti con tavole armoniche
insolitamente rigide: la conseguenza si traduceva in armoniche molto chiare,
suoni lunghi a lento decadimento e perfettamente idonei alla polifonia. La
parola d’ordine del Romanticismo era stata: «Più forte! Suoni più densi!».
Presso Steingraeber, certo, anche la
dinamica si accrebbe, ma il dettato musicale rimaneva sempre trasparente all’ascolto.
Liszt incontrò Eduard Steingraeber già a Vienna nel 1846 quando il giovane
esordiente costruttore lavorava per la casa Streicher e seguiva le tournée del
compositore ungherese. Più tardi Eduard descrisse questo periodo come «la
peggiore esperienza della mia carriera» perché, durante i concerti, davanti al
pubblico, doveva riparare tasti, martelli e corde devastati dal funambolico
solista. Ma forse ciò costituì un buon inizio per la successiva collaborazione
a Bayreuth... Probabilmente Liszt conobbe la Rokokosaal con il suo moderno pianoforte
solo nel 1878. Liszt era alla ricerca di un nuovo Salon, poiché a Villa
Wahnfried dal 1878 non poteva più suonare per non disturbare la quiete del
Maestro...
Più tardi tuttavia acquisì uno Steingraeber
a coda da 200 cm da piazzare a casa sua. Sembra che per l’anziano Abbè si sia
trattato di una scelta molto soddisfacente: oltre che nell’intimità della sua
abitazione, infatti, nel 1878 e nel 1882 egli si esibì alla Rokokosaal suonando
proprio su quel modello.
Le ditte di
pianoforti oggi tendono a evitare ai pianisti problemi di adattamento, e
offrono così strumenti che si assomigliano sempre di più nella meccanica e nel
suono. Se è d’accordo con questa analisi, come si pone Steingraeber in un
simile contesto?
I buoni costruttori di pianoforti si
considerano servitori degli artisti e della musica. Ne consegue che,
ovviamente, ai pianisti non si riservano mai «brutte» sorprese. E ciò riguarda
soprattutto la meccanica. Oggi vige un accordo internazionale sugli standard di
pesatura e misura proprio per questioni legate alla meccanica e alla tastiera,
e ovviamente Steingraeber si attiene ad essi. Tuttavia, per ciò che concerne la
sonorità ogni manifattura dovrebbe vivere di vita propria. Le caratteristiche
di Steingraeber sono molto individuali e si ispirano ancora interamente al
pianoforte di Franz Liszt, con la sua forza, la sua lucentezza e la sua
leggerezza. In fatto di «peso», ad esempio, noi ci allontaniamo, e non di poco,
dal concetto di peso pianistico romantico. Quest’ultimo domina tuttora il
mercato; anzi, oggi il suono è ancora più denso e metallico. Ma con questa
tendenza all’uniformità Steingraeber, in compagnia di altre poche ditte in
verità,non ha niente da spartire.
Steingraeber ha
brevettato un particolare dispositivo che consente un maggiore controllo della
dinamica. Vorrebbe spiegarci come funziona?
Lei intende le Phoenix-Agraffe, vero? Esse
aumentano l’efficacia dinamica di un pianoforte fino a quasi il cinquanta
percento e forniscono centinaia di armonici aggiuntivi. Tutto ciò comporta una
sonorità inaspettata che raccoglie sempre più sostenitori, ma che si è fatta
anche molti nemici. Per i «classici» i nostri Phoenix sarebbero indicati solo
per la musica sperimentale... Anche oggi vi sono colleghi che applicano
soluzioni analoghe ai loro strumenti (Wayne Stuart & Sons Newcastle e
Paulello, Paris), ma Steingraeber è l’unico costruttore che offre queste
innovazioni come alternativa, come seconda linea rispetto ai modelli
strettamente classici.
Oltre a Wagner e
Liszt, quale altra musica ama Udo Steingraeber?
Tutto ciò che è buona musica! Ed essa si
trova in tutti i secoli e in tutti gli stili. I miei figli (Fanny di tredici
anni e Alben di sedici) mi danno lezioni nel campo del pop contemporaneo, ma
per me nel cielo musicale sulla terra rimangono Schubert, Scarlatti, Bach,
Alban Berg e Palestrina: l’ultimo senza pianoforte, eppure per me
irrinunciabile!
Massimo
Viazzo (Rivista "Musica", n.227, giugno 2011)
1 commento:
Salve, ho potuto notare su un pianoforte il solo Steingraeber mentre su altri Steingraeber & Söhne. Trattasi di pianoforti diversi?
Grazie
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