Philips 420 796-2 (6/1970) |
Nella produzione musicale più matura di Anton Webern, l'innovativa tecnica dodecafonica e l'antico espediente compositivo del canone si fondono in un linguaggio di grande compattezza: la fusione è assolutamente naturale. Anche se solo per reazione Webern era pur sempre un prodotto del tardo
Romanticismo austriaco: come allievo di Schoenberg, egli fece del metodo seriale del suo maestro il miglior "attrezzo" con il quale affrontare i problemi tecnici sollecitati dai travalicamenti cromatici wagneriani fuori dai confini della tonalità. Da un altro lato, laddove Schoenberg e un suo altro grande allievo, Alban Berg, rimanevano romantici nella loro essenza e tentavano di conciliare la nuova tecnica con le forme e i modi espressivi tradizionali, Webern era invece un integralista, costituzionalmente incapace di compromessi. La riabilitazione operata da Schoenberg nei confronti della sonata e della suite non poteva soddisfare il suo radicalismo.
Romanticismo austriaco: come allievo di Schoenberg, egli fece del metodo seriale del suo maestro il miglior "attrezzo" con il quale affrontare i problemi tecnici sollecitati dai travalicamenti cromatici wagneriani fuori dai confini della tonalità. Da un altro lato, laddove Schoenberg e un suo altro grande allievo, Alban Berg, rimanevano romantici nella loro essenza e tentavano di conciliare la nuova tecnica con le forme e i modi espressivi tradizionali, Webern era invece un integralista, costituzionalmente incapace di compromessi. La riabilitazione operata da Schoenberg nei confronti della sonata e della suite non poteva soddisfare il suo radicalismo.
Il metodo seriale diede a Webern, come ai suoi colleghi, una nuova fonte di materia musicale, ma egli era ancora in cerca dei suo modo personale per utilizzarla. Fortunatamente era uno studioso e i suoi trascorsi di musicologo gli fornirono ciò di cui aveva bisogno. Le lezioni di composizione di Schoenberg e la scuola musicologica di Guido Adler si combinavano in quella personalità d'artista complessa ma concreta cui si riferisce Robert Craft quando parla del "Webern studioso della polifonìa quattrocentesca, dei mottetti di Matteo da Perugia e di altri, i cui complicati ritmi verticali evocano i suoi, il Webern dell'ochetus, del canone, della forma chiusa, del sistema di proporzioni." Voltate le spalle al principio dualistico che aveva portato alla forma-sonata e di conseguenza alla maggior parte della letteratura musicale ottocentesca, Webern accolse questi più antichi principi ed elesse il canone a forma-chiave del suo linguaggio. Come la dodecafonia, il canone è un metodo per raggiungere l'unità e questa identità di scopi tra i due elementi principali del suo stile spiega la natura omogenea e intransigente della musica del suo periodo maturo.
Questa sintesi non fu certamente raggiunta di colpo e lo si può notare dalla presenza di elementi stilistici estranei nelle prime opere pubblicate mentre era ancora in vita il compositore. Ma negli anni '60 quel lungo processo di purificazione, che aveva indotto ad attribuire all'op. 1 una data di composizione precedente a quella reale, diventò ancora più chiaro con la scoperta di un'ampia raccolta di manoscritti inediti, che raddoppiavano la consistenza della produzione musicale di Webern. Il Tempo Lento e il Quartetto per archi risalgono entrambi al 1905 (tre anni prima della Passacaglia op. 1) e presentano un lato affatto nuovo di Webern, lontano dalla squisita levigatezza e brevità delle opere successive.
Il Tempo Lento è assai tradizionale nello stile e nei contorni. Il linguaggio è fortemente tonale, con spostamenti dalla tonalità di do minore alla relativa maggiore mi bemolle (come nella Seconda Sinfonia, completato undici anni prima). L'intonazione emotiva e il fraseggio ampio differiscono molto dal Webern più tardo, ma già qui la passione per lo stratagemma dell'inversione dei temi prefigura la sua successiva cura nei confronti dei metodi contrappuntistici di organizzazione dei suoni.
Il Quartetto per archi (1905) ha una struttura ancora più estesa. Il manoscritto reca una citazione da Jacobus Böhme (mistico e scrittore tedesco, 1575-1624): "Non posso descrivere il senso di trionfo che pervase il mio spirito; potrebbe essere paragonato solo alla nascita di una vita nel mezzo della morte, alla resurrezione dalla morte. In questa luce la mia mente vedeva immediatamente in tutte le cose e in tutte le creature, persino nelle erbacce, in tutto riconosceva Dio, chi Egli poteva mai essere e come e quale fosse la sua volontà." Il senso di queste parole si riflette nel tono misterioso delle prime battute, che presentano subito il motivo-chiave di tre note su cui l'intera opera si basa, sino alla ferma conclusione in mi maggiore. La musica ha continuità, anche se è fatta di molte brevi sezioni, compresa una lenta fuga di sole ventidue battute.
I Cinque movimenti op. 5, composti nel 1909, mostrano la tendenza verso una struttura a cellule di tipo avanzato. Ogni motivo viene sviluppato non appena proposto. La tonalità è lasciata da parte, mentre all'organizzazione della materia provvede una complessa applicazione di tecniche contrappuntistiche. La brevità cui tendono naturalmente questi metodi raggiunge le estreme conseguenze nelle Sei bagattelle op. 9 del 1913, la cui durata in totale non raggiunge i quattro minuti. "Si consideri quale umiltà ci voglia per essere così concisi" scrisse Schoenberg nella prefazione allo spartito, "ogni sguardo può prolungarsi in una poesia, ogni sospiro in un romanzo. Ma esprimere un romanzo in un unico gesto, una felicità con un solo respiro... una simile concisione si può verificare solo in proporzione all'assenza di autocommisserazione."
Nel Quartetto per archi op. 28, dedicato a Elizabeth Sprague Coolidge, la purificazione di mezzi è al culmine. L'attenzione per timbri viene sostituita dal concentrarsi sulla linea melodica. Mentre le opere precedenti indulgevano spesso in effetti strumentali particolari, nell'op. 28 i tradizionali "arco" e "pizzicato" sono gli unici due modi di suonare, diversificati solo dall'uso della sordina e da un'unica misura da eseguire sul ponticello nella parte del secondo violino. Scritto nel 1938, cioè quattordici anni dopo che Webern aveva adottato la tecnica dodecafonica per la prima volta nei suoi Tre canti popolari sacri op. 17, il quartetto è un esempio dell'evoluzione che tale tecnica subì man mano che anche il compositore andava soggetto ad una maturazione artistica, raggiungendo i vertici del rigore e dell'economia espressiva. Il contrasto con il Tempo lento del 1905 è stupefacente, e la differenza è data dalla crescita di un artista nella sua inflessibile autonomia.
Note al CD Philips "L'Opera completa per Quartetto d'Archi", Quartetto Italiano, 420 796-2 (traduzione di Stefania Brizzolara)
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