Alfred Schnittke (1934-1998) |
Mosca 1962: «Perché sono venuto in questo Paese? E' un incubo, una casa di matti! Avrei fatto meglio a restarmene tranquillo a Venezia! Che perdita di tempo! Non capisco più niente! Ho chiesto a Khrennikov di farmi incontrare Shostakovic e lui mi ha detto che Shostakovic si trova a Leningrado. All'Unione dei Compositori apro per caso la coro di omosessuali, mentre la moglie si consola con un Proust (tenore) in carne e ossa, i cui libri; distrutti da Vova, erano il loro solido status symbol intellettuale. Finale tragico con l'intera compagnia ridotta al livello di Vova: tutti a ripetere un'infinito «Ech». Una danza macabra sulla natura del Male. La metafora di un sistema che si è dissolto per la propria idiozia.
Ma tuttavia è proprio a quegli anni a cavallo fra 50 e 60, quelli della visita di Nono a Mosca (testimoniata da Nikolaj Karetnikov nel bel volume di memorie Temy s variazijami), che occorre tornare per seguire e comprendere il successivo sviluppo della musica sovietica e russa negli anni della normalizzazione brezneviana e della liberazione di Gorbaciov. In quel breve disgelo kruscioviano, i giovani compositori erano tutti assetati di novità occidentali, innamorati della musica seriale, Schnittke compreso. Il musicista lo confessa ad Enzo Restagno nel volume che la Edt pubbhcherà in occasione di Settembre Musica, che contiene saggi e interviste al compositore, e dal quale anticipiamo alcuni passaggi: «I contatti con quella musica cominciaronoporta di un ufficio e ci trovo Shostakovic. Chiedo di vedere Rozhdestvenskij e Khrennikov mi dice che si trova all'ospedale, perché si è rotto una gamba. Telefono a casa sua e mi risponde proprio lui! Perché tutto ciò?»
Perché «la vita con un idiota è piena di sorprese!». Vale a dire: «da un Paese in mano ad idioti non ci si può aspettare che idiozie». Si potrebbe rispondere così, trent'anni dopo, con una battuta da Vita con un idiota, opera di Alfred Schnittke, allo sfogo disperato del grande musicista italiano Luigi Nono in visita a Mosca nel lontano 1962 e tenuto alla larga da Shostakovic così come dai giovani e più interessanti musicisti sovietici (cioè Alfred Schnittke, Edison Denisov, Sofija Gubaidulina, Nikolaj Karetnikov).
Vita con un idiota infatti è una satira nera e grottesca proprio di quella vita sovietica, e nella sua forza dirompente e distruggitrice di ogni convenzione ha di sicuro come unico parente nei teatri russi l'avanguardistico Naso di Shostakovic del 1935. Andata in scena in prima mondiale nel '92 ad Amsterdam (libretto di Viktor Erofejev l'autore di La Bella di Mosca, direzione di Mstislav Rostropovic, regia di Boris Prokrovskij, scene del pittore Ilja Kabakov), è stata ripresa la stagione passata a Vienna, e ora è in arrivo al Teatro Regio di Torino (venerdì 10 e domenica 12 settembre) come massima attrazione intellettual-mondana dell'omaggio che Settembre Musica dedica a Schnittke appunto. Unanimemente riconosciuto come il più importante e più famoso compositore russo vivente, Schnittke sarà onorato con cinque concerti e un incontro con l'autore. Vita con un idiota: poco in senso dostoevskiano, molto in senso sovietico. Vova (attenzione è il nomignolo poco rispettoso di Lenin) è l'idiota in questione che sa pronunciare solo una parola: «Ech». Una coppia di borghesi intellettuali (definiti semplicemente «Io», baritono, e «La moglie», soprano) se lo prende in casa. Ma il suo arrivo è foriero di disgrazie: prima distrugge l'appartamento con ogni tipo di deiezione. Poi seduce la moglie. Quindi seduce il marito, con scene d'amore commentate da un con le registrazioni e i dischi che riuscivano ad arrivare sino a noi negli anni del Conservatorio. Questi ascolti aumentarono a poco a poco negli Anni 60. Denisov che si recava spesso al festival "Autunno di Varsavia" riusciva a tornare ogni volta con molte registrazioni (...). Allora eravamo un gruppo che si interessava attivamente alla Scuola di Vienna e che un po' alla volta veniva a conoscere le musiche di Boulez, Nono, Pousseur, Stockhausen, Ligeti, Berio».
A Mosca e alla musica, Schnittke (nato nel 1934) era arrivato dalla natia Engels, città sul Volga, capitale dei discendenti dei coloni tedeschi giunti in Russia nel '700: «Fino al 1941 Engels era il centro della Repubblica tedesca sul Volga, poi la Repubblica si sciolse e la maggior parte dei miei parenti del ramo materno fu esiliata in Siberia e nel Kazachstan». Di padre ebreo e madre cattolica (che però leggeva la Bibbia luterana), Schnittke sceglie il cattolicesimo. E di un profondo spirito religioso saranno permeate molte delle sue composizioni: per esempio gli Inni che a Torino si ascolteranno l'8 settembre al Piccolo Regio.
Un momento di grande speranza artistica e creativa gli anni di Krusciov. Nel '61, per citare un caso ormai dimenticato, al Bolshoj va in scena il balletto dodecafonico di Karetnikov Vanina Vanini. Ma presto segue il giro di vite brezneviano. Come molti altri musicisti di questo secolo, come per esempio gli ebrei tedeschi emigrati a Hollywood sotto il nazismo, Schnittke vive scrivendo musica per il cinema: sessanta film in tre lustri. Non soltanto però; gli Anni 70 infatti, racconta l'autore a Restagno, sono il momento di maggiore creatività: «Avevo una doppia vita: una legata al cinema per sopravvivere e un'altra dedicata alla musica d'avanguardia».
Eclettismo, citazionismo, pohstilismo. Sono i termini usati per definire i successivi sviluppi della grandiosa produzione musicale (un catalogo che supera abbondantemente i cento titoli) di Schnittke. A partire dalla Prima Sinfonia del 1972 dove, come a voler mettere in scena le peripezie della musica, l'autore «si impegna in un singolare censimento di tutti i tipi di musica esistente: jazz, musiche per film, classici decaduti a cliché, musiche per banda, canzonette, citazioni, magmi sonori inediti».
Ma non basta, nascendo duecento anni dopo la Sinfonia degli Addii di Haydn, la Prima Sinfonia di Schnittke prevede come atto preliminare (e così sarà fatto anche all'Auditorium di Torino il 7 settembre) l'esecuzione della composizione settecentesca con relativa uscita di scena a uno a uno degli strumentisti. Quindi, secondo il curioso programma voluto dal compositore, «durante l'intervallo un musicista sale sul palco deserto e suona le campane; dopo trenta secondi compare un trombettista che inizia una libera improvvisazione jazzistica; quindi è la volta di un violinista che suona camminando su e giù per la scena, poi da ambo i lati del palco entra tutta l'orchestra impegnandosi in una improvvisazione libera. Al termine dei quattro movimenti della Sinfonia i musicisti lasciano la scena l'uno dopo l'altro, mentre sul palco ormai deserto risuonano incise su nastro le ultime battute della Sinfonia di Haydn».
Fra cinema, sperimentazione e malattia (un brutto infarto lo blocca nel 1985) Schnittke incomincia ad acquistare fama in Urss e all'estero dove viene esibito come una bandiera di cultura e innovazione da grandi esecutori: Mstislav Rostropovic, Ghennady Rozhdestvenskij, Gidon Kremer, Oleg Kagan, Natahja Gutman e il percussionista Mark Pekarskij. John Neumeier coreografo ad Amburgo (dove oggi il compositore vive) adopera sua musica nel balletto Un tram che si chiama Desiderio e successivamente gli commissiona la partitura per un Peer Gynt. A Mosca Jurij Ljubimov gli chiede le musiche di scena per la Favola del revisore, spettacolo ispirato a Gogol. Musiche che successivamente acquisteranno una autonomia artistica per Schizzi, balletto dallo stesso argomento andato in scena al Bolshoj nell'85.
Dopo avere percorso e sperimentato ogni forma cameristica, corale e orchestrale di composizione, Schnittke sembra in questo periodo volersi concentrare sulla musica teatrale.
Dopo Vita con un idiota infatti ha collaborato ancora una volta con Ljubimov per l'omaggio a Zivago andato in scena a maggio a Vienna. Da tempo lavora a un'opera sul Faust. Senza ispirarsi però a Goethe o a Marlowe, ma al cinquecentesco Johann Spiess dove, spiega ancora Restagno, «le ombre gotiche sono così dense che i profili della vicenda sembrano fluttuare in una dimensione senza tempo ed assumere qualsiasi sembianza. Magari anche quella ferocemente espressionista del tango in cui si narra la fine orribile del dottor Faust».
Sergio Trombetta ("La Stampa", 24 agosto 1993)
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