Simon Rattle (Liverpool, 1955) |
I Filarmonici di Berlino (che, sia detto incidentalmente, non sono la prima orchestra del mondo: e non da oggi: da quando, nel 1989, hanno perduto Herbert von Karajan… La prima è l’Orchestra Sinfonica di Chicago, oggi capeggiata da Riccardo Muti) non sono riusciti a eleggersi un direttore. La notizia è stata preceduta e seguita da commenti non professionistici.
Innanzitutto. Il direttore uscente, che li lascerà nel 2018, l’inglese Simon Rattle, non è un grande, è appena discreto. Quando fu eletto il «Corriere della Sera» m’inviò a Vienna a seguire l’esecuzione delle Nove Sinfonie di Beethoven da lui affrontata con i Filarmonici di Vienna.
Qualcosa di assai modesto sotto il profilo tecnico e concettuale. Il merito di Rattle sta nell’aver esperito un repertorio non usuale: come l’incisione della musica di Karol Szymanowski: ma questa splendida versione del Re Ruggero risale agli anni nei quali il Rattle fece tanto coll’Orchestra della Città di Birmingham. Si dice ch’egli si sia battuto per l’esecuzione del repertorio contemporaneo, da Karajan osteggiato: ma, attesa l’attuale creatività, ridotta per quantità e pochissimo interessante per qualità, è questione affatto secondaria.
Prima di Rattle direttore stabile, nientemeno successore del sommo Karajan, è stato Claudio Abbado. Costui si è adoperato per l’esecuzione del repertorio contemporaneo (dal quale escluse uno dei sommi sinfonisti della storia, Dimitri Sciostakovic, perché non collimava colle sue idee sulla musica d’«Avanguardia») e lo ha fatto, a esempio, annunciando pomposamente che sotto di lui non sarebbe stata eseguita una nota di Respighi: a suo dire passatista: uno dei grandi compositori del Novecento e caro a Karajan che tuttavia non eseguì i suoi tre capolavori sinfonici, Vetrate di chiesa , Trittico botticelliano e Metamorphoseon , forse perché troppo raffinati.
Si dice che le idee politiche di Christian Thielemann, attuale direttore dell’Orchestra di Stato di Dresda (la migliore europea oggi) gli siano costate l’elezione. Fra queste viene elencata la sua posizione nei confronti della musica contemporanea: ripeto, tale tema viene ingigantito dai giornalisti, essendo in sé di scarsa rilevanza.
In realtà Thielemann non è il custode della tradizione che vuol far credere di essere, come mostra il suo accettare regie (in specie wagneriane) vergognose. Anche questo mette in luce che fra le sue qualità tecniche e quelle di cultura v’è un certo divario. Egli tuttavia giganteggia su quasi tutti i suoi contendenti. Io mi domando perché abbia accettato di concorrere alla carica di direttore dei Berliner Philarmoniker: questi sono oggi un’orchestra non più di primo rango, solo di ottimo secondo; se nominato egli dovrebbe fare un terribile lavoro per riportarli su: perché lasciare Dresda? Se per malriposta ambizione di un nudo nome, ecco un altro segno dell’immaturità culturale di Thielemann.
Siccome per i Berliner non è realistico pensare che possa prenderli in mano James Levine, il solo che alle grandi qualità tecniche e musicali affianchi una statura intellettuale altissima, io dico che tra i nomi che leggo il più idoneo sarebbe lo straordinario Kirill Petrenko, che nel 2013 ascoltai a Bayreuth dirigere una Tetralogia degna di Knappertsbusch, Keilberth e Karajan (Petrenko è un nome che oggi fa bene alla musica: anche Vassily Petrenko, non di Kirill parente, è un giovane direttore di prima sfera): e, troppo giovane com’è, non poteva avere l’autorità di opporsi alla pazzesca scelta di regia che venne fatta (lo ripeto: a Bayreuth ho deciso di non tornare mai più dopo l’edizione del centenario). Ma siccome ho visto ben piazzato anche Gustavo Dudamel forse è giusto che vinca lui: un personaggio siffattamente ridicolo completerebbe il percorso: la Storia si manifesta la prima volta in forma tragica, dice Carlo Marx, e si ripete in forma farsesca.
Paolo Isotta
1 commento:
Non si può dire di meglio, non si può dire nulla di più e nulla di meno. Perfetto.
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