Platone scrisse 36 dialoghi, vertenti ciascuno su di un deterrninato argomento filosofico. Naturalmente vi è una sistematica organicità con la quale sono congiunti fra loro i singoli dialoghi ed il suo pensiero costituisce ancor oggi la base (ed in non pochi punti il culmine assoluto) della filosofia occidentale. Vi è un particolare tema filosofico, quello della morte, che anche Bach pare trattare in chiave filosofica ed in modo decisamente sisternatico, dato che le cantate più celebri dedicate a questo argomento (BWV 8-82-106-161) sono tutte frutto, anche a distanza di anni, di un pensiero coerente ed organico. Non a caso è stata trattata questa analogia fra Bach e Platone, poiché risulta chiaro che Bach sta alla musica occidentale come Platone alla filosofia, con la diiferenza che, mentre la filosofia di Platone lascia parecchie vie aperte per nuovi sviluppi, la musica di Bach è gia perfetta in se stessa e costituisce il mondo sonoro più completo e totalizzante che sia mai esistito. E’ poi interessante vedere come alla sintesi platonica fra pensiero eracliteo (divenire del mondo) e pensiero parrnenideo (stasi dell’essere), corrisponda quella bachiana fra armonia e contrappunto. Inoltre - sempre procedendo all’interno di questo paragone - l’armonia rappresenta il divenire sia in senso tecnico (divenire della tonalità) sia in senso espressivo (divenire dello stato d’animo soggettivo). Non per nulla l’armonia predominava nell'Europa meridionale dove si dava più risalto all’espressione dei contenuti soggettivi). D’altro canto il contrappunto rappresenta un pensiero estetico molto più statico ed oggettivo, architettonico, dove contenuti soggettivi possono sussistere solo se filtrati dalla ragione, spogliata dalla loro limitatezza soggettiva, ovvero concettualizzati. Vediamo dunque che le due costanti di pensiero "divenire" e "stasi" - che potremmo anche parafrasare rispettivamente in "emotività" e "ragione" o "prassi" e "pensiero" - si presentarono sia a Platone che a Bach in campo filosofico e musicale. Entrambi ne fecero una sintesi, necessaria per la comprensione del mondo, ma entrambi accentuarono sempre alla fine l'elemento metafisico, razionale ed oggettivo che in musica è il contrappunto.
Ora pensiamo che sia bene chiarire alcune interpretazioni di Bach che si fanno comunemente oggi. La stragrande rnaggioranza di coloro che esprimono pareri su Giovanni Sebastiano si divide in due categorie opposte. Vi sono i fautori di una visione romantica - sentimentale e soggettiva - dell’opera di Bach e vi sono coloro che non vogliono sentire parlare di sentimento nell’opera del Kantor, e neppure di pensiero religioso-e filosofico o estetico, ma soltanto di tecnica compositiva e formale. Questi ultimi - che noi denomineremo "tecnocrati della musica" - quando compiono un commento di un brano bachiano si limitano ad osservare l’aspetto esteriore, l'orchestrazione, la data di composizione e qualche aspetto formale senza compiere il fatidico passo che "dal sensibile ci porta al soprasensibile" (Platone-Fedro) e cioè a ricercare i significati ulteriori che nel linguaggio musicale sono racchiusi. Non affermano neppure che la "forma" in Bach è tutto, poiché tale affermazione sarebbe di carattere filosofico ed estetico e questo è ciò che vogliono evitare. Anzi, se messi alle strette su un argomento più profondo di quello tecnico, si rifugiano nella solita, vecchia, stantia storiella del "sentimento" del musicista, spiegazione molto semplice e che non risolve nulla e accontenta tutti, perché vacua. Basterebbe ricordare a questi signori che a Bach stesso avrebbe fatto più piacere sentire interpretare ed ascoltare la sua musica come trasposizione di pensiero filosofico e religioso o come propedeutica alla meditazione, Lui che aveva dedicato tutta la sua vita a tale scopo. Non intendiamo certo negare la necessità inderogabile di una attenta disamina della partitura, dell’orchestrazione, della forma compositiva, specie nei confronti della musica bachiana, impareggiabile congegno sonoro. Anzi una teoria estetica che non presupponga una certa conoscenza tecnica potrebbe definirsi un idealismo soggettivo di stampo romantico. Ma ciò non toglie che la forma non sia tutto in Bach, o meglio, che lo sia nella misura in cui l’ordine formale rispecchia quello del pensiero filosofico: Bach, infatti, non è mai descrittivo, concettualizza sempre.
Passiamo ora a confrontare i cosiddetti "romantici", i quali si pongono in antitesi ai fautori della "tecnica super omnia", che a loro volta si fanno vessillo del noto saggio di Adorno contro "certi ammiratori di Bach" (La visione musicale di Adorho è discutibile quanto lo è la sua filosofia, ennesima rielaborazione di marxismo). I "romantici" tendono a mettere in risalto i sentimenti soggettivi del musicista, proprio ciò che Bach cercò sempre di occultare, e, bisogna dire, vi riuscì con grande successo. Nel suo iter spirituale verso Dio, nel suo progressive allontanamento e distacco dall'indirizzo storico musicale del tempo, distacco proteso a raggiungere le fonti pure dell’Essere trasposte in suoni (ovvero l’Arte della Fuga), Bach capì benissimo che la esposizione descrittiva dei propri stati d’animo soggettivi era fuori tema rispetto all'assunto della sua opera. Tuttavia noi sentiamo spesso una suasiva e convincente umanità nella sua musica. Ciò risulta dal fatto che il Kantor, da vero luterano, aveva bene in mente l'idea del limite umano di fronte a Dio, mero particolare di fronte alla necessità universale e pertanto non pensava ad esprimere con coscienza musicale qualcosa di estremamente parziale come i semplici sentimenti, bensì qualcosa di universale come concetti ed idee, unico vocabolario possibile per rivolgersi a Dio con grande equilibrio speculativo. Il sentimento bachiano veniva così razionalizzato, perdeva emotività, ma manteneva quella serena pacatezza, quell’umanitas classica, quel distaccato lirismo che fanno della musica di Bach un miracolo contemperante logica metafisica, rigore oggettivo e formale, ma anche senso poetico del Tutto. O, per dirla ancor piu concisamente, poesia dell’Infinito e dell’Eterno spiegati filosoficamente. Questo, e non altro, è il modo in cui Bach intesse il suo colloquio musicale con Dio, non col sentimento che per sua natura è intriso di "passione" e di "emotività"» cioè è offuscato e non chiaro e distinto. E la serenità bachiana si esprime solo attraverso la esatta calibrazione del contenuto da esprimere e della forma da usare. Non per nulla Bach, anche se vive nella prima meta del ’700, è un uomo del ’600. In lui il luteranesimo giunge ormai mediato dalle grandi correnti razionalistiche del ’600, massime lo Spinozismo, e la concezione di Dio assume sempre di Necessità Universale. Ma la sua figura diviene veramente emblematica in campo europeo, se la consideriamo come l’ultima del mondo classico prima dello stravolgimento antropocentrico operato dall’Illuminismo e dal Romanticismo. Infatti è ormai universalmente riconosciuto l'assoluto equilibrio compositivo di Bach, tra verticalismo armonico e orizzontalismo contrappuntistico, equilibrio mai riscontrato in altro compositore. Ci sembra evidente come la figura del Kantor, posta in Europa in quello splendido periodo culturale che procede lo scetticismo a volte arido dell’Illuminismo e che raccoglie la piena maturità delle idee spinoziane e razionalistico-metafisiche del '600, riassuma tale patrimonio di idee "chiare e distinte" e che le sue due coordinate musicali non siano altro che la trasposizione musicale dell’equilibrio ragionativo del '600 espresso da Cartesio (ascissa e ordinata). Ovvero l’equilibrio fra contemplazione metafisica razionale verso l’alto e solida e serena concezione naturalistica della vita contingente. Dopo Bach, ultimo testimone, tale patrimonio si è smarrito per sempre nel disequilibrio romantico.
D’altro canto ci pare che un’altra e valida prova circa l’esistenza di un sistematico pensiero bachiano consista proprio nell’elemento formale basilare di quasi tutta la sua musica: il tema di Fuga. La Fuga è forse la composizione musicale per eccellenza, l’aspetto col quale maggiormente la musica si manifesta come mondo in se stesso compiuto e non come linguaggio artistico descrittivo di realtà ad esso esterne. Orbene il tema di fuga è l'entità espressiva più sintetica e passibile di enormi sviluppi logico-estetici che esista. Non se ne ha il pari nelle arti figurative o letterarie. Il fatto poi che esso sia il manifesto del pensiero bachiano è sintomo di una chiara impostazione filosofica nel procedimento creativo del Kantor. Il concetto di sintesi è infatti il cardine metodologico di ogni filosofia.
Dopo aver controbattuto quelle equivoche interpretazioni così convenzionali dell’opera bachiana ed avere dimostrato i fondamenti dell’equilibrio speculativo di Johann Sebastian, tocchiamo ora il secondo argomento che ci eravamo prefissati, la concezione della morte, il quale completa un profilo spirituale del Compositore Che sia inserito nel clima intellettuale del suo tempo e non risponda piuttosto alle esigenze emotivamente soggettive o aridamente tecniche dei contemporanei.
Dopo aver controbattuto quelle equivoche interpretazioni così convenzionali dell’opera bachiana ed avere dimostrato i fondamenti dell’equilibrio speculativo di Johann Sebastian, tocchiamo ora il secondo argomento che ci eravamo prefissati, la concezione della morte, il quale completa un profilo spirituale del Compositore Che sia inserito nel clima intellettuale del suo tempo e non risponda piuttosto alle esigenze emotivamente soggettive o aridamente tecniche dei contemporanei.
Già nella Cantata 106 "Gottes Zeit ist die Allerbeste Zeit" (detta Actus Tragicus), una delle prime di Bach, la tematica vita-morte è considerata con grande equilibrio. Al sublime coro centrale terminante coi soprani in assolo che invocano il trapasso sereno nella pace della morte, fa riscontro l’aria per basso che sollecita a disporre le cose terrene, così da lasciare tutto con giustizia ed, equità. Sottolineiamo ancora come si presenti l'istanza metafisica congiunta ad una pacata visione del mondo contingente. Questa maturità, questo senso della caducità delle cose terrene, che però vengono accettate, di fronte all’Eterno, che è il tempo di Dio (ed è il tempo migliore di tutti, come dice il titolo della Cantata) Bach lo esprime a soli 24 anni.
Nella Cantata 161 "Komm du süsse Todesstunde" (Vieni dolce ora della Morte), veramente memorabile è il coro che precede il corale finale. In esso la morte è considerata come la mediatrice tra uomo e Dio, come l’elemento che ci permette di superare la barriera della soggettività. Nel coro citato entrano per prime le voci femminili, seguite quasi subito da quelle maschili in canone, che sono l’asseverazione della preghiera già iniziata. Il tutto, accompagnato dagli archi, e costellato dal suono del flauto che conferisce pace e tranquillità.
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