Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

sabato, settembre 05, 2020

Quirino Principe: Musica e filosofia (12/14)

Man weicht der Welt nicht sicherer aus als durch die
Kunst, und man verknüpft sich nicht sicherer mit ihr als durch die Kunst.
 
Non c'è via più sicura per evadere dal mondo, che
l'arte, non c'è legame con il mondo più sicuro dell'arte.
Johann Wolfgang von GOETHE
 
MUSICA E MODELLI INTERIORI
Dodicesima parte.
 
Platone e Kant sono i due filosofi più rappresentativi e decisivi nel pensiero occidentale. Inevitabilmente, la visione della musica che emerge dalla filosofia critica kantiana è la più chiara antitesi alla visione platonica. Se i limiti dell'io, come coscienza ma anche come realtà fisica, sono il diaframma tra il soggetto e il mondo oggettivo esterno, il modello della musica, che in Platone si dichiara tutto esteriore ed anzi il più esteriore possibile, in un cielo metafisico che l'esperienza non può conquistare ma da cui è continuamente diretta, diviene, dopo un lungo percorso che abbiamo indicato nella puntata precedente, tutto interiore nel pensiero di Immanuel Kant.
Almeno per un istante, questa asserzione sembra smentita dalle parole che aprono la pagina conclusiva della Kritik der praktischen Vernunft (1788): "Due cose riempiono l'animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell'oscurità, o fossero nel trascendente, fuori del mio orizzonte; io le vedo dinanzi a me e le connetto immediatamente con la coscienza del mio esistere". Le parole farebbero supporre che in Kant persista o addirittura si rafforzi la funzione archetipica del cosmo, ossia dell'universo planetario finalisticamente ordinato la cui visione concludeva la Politeia platonica.
Si ha l'illusione che Kant voglia indicare, tra il cielo stellato e la legge morale, un rapporto di modello e mimesi, il che già di per sé implicherebbe un tributo alla filosofia platonica. Diverrebbe postulato, in tal caso, l'archetipo supremo delle due realtà rette da immutabile armonia, e tale archetipo, per definizione, sarebbe trascendente, non soggetto all'esperienza e quindi metafisico.
L'illusione si dissolve non appena rinviamo questa pagina conclusiva all'insieme della Kritik der praktischen Vernunft e agli altri scritti critici di Kant. Leggiamo, nella prefazione alla Kritik der Urtheilskraft, che la natura, di cui il cielo stellato fa parte, è un "complesso di fenomeni la cui forma è data a priori", e sappiamo che l'a priori kantiano ha sede nell'io penso, non al di fuori di esso. Analogamente, la forma è non già il carattere oggettivo di qualcosa che sia determinato (come nella metafisica di Aristotele), bensì la "determinazione del determinabile" (Kritik der reinen Vernunft, § 266), e quindi un atto dell'io penso. La stessa determinabilità su cui opera la determinazione da parte dell'io è un modo di pensare, non un oggetto nel senso aristotelico della parola. Nel pensiero di Kant si compie la sostituzione dell'ontologia con la gnoseologia come problema centrale. Da questo riepilogo di nozioni vulgate risulta sufficientemente chiara la collocazione assegnata alla musica, in termini espliciti o impliciti, dopo l'immenso lavoro filosofico compiuto da Kant. Tramontata l'oggettività dell'idea di natura, i suoni e la loro possibilità di organizzarsi in sistema tendono a divenire non più "naturali", ma "razionali", traendo con sé una conseguenza non inevitabile negli enunciati individuali dei filosofi postkantiani ma sempre possibile in teoria: che l'universo dei suoni, inteso come fenomeno esterno all'io, sia "non razionale" o addirittura "irrazionale", e che di conseguenza l'arte sia "razionale" quando, restìa a catturare i suoni così come sono, li teorizza, li programma e li produce. E' superfluo notare quanta influenza tutto ciò ha avuto sulla fabbricazione degli strumenti musicali nei due secoli che ci separano da Kant.
Appena più necessario è ricordare come la nascita del temperamentum aequabile, con l'ottava divisa in dodici semitoni, ossia in dodici intervalli perfettamente uguali determinabili, rispetto al suono di base, da radici dodicesime di potenze di 2 in grado crescente o decrescente, sia non casualmente coeva al fiorire del razionalismo filosofico. Ma l'attività legislatrice e decisionale dell'io-ragione ha agito sulla crisi della modalità, in cui scale "naturali" avevano ciascuna una propria fisionomia, e ha favorito il sistema tonale, in cui all'interno di ciascuna tonalità si riproducono per analogia i medesimi rapporti intervallari tra suono e suono. Il sistema modale è una realtà di natura che pone problemi spesso formidabili e insormontabili al pensiero musicale; è , oggettivo, e costringe i musici a complicate operazioni di raccordo, così come obbliga gli strumentisti a trovare una faticosa intesa tra strumenti diversi. Coloro che accordano le proprie mirabili macchine produttrici di suoni intonati non le accordano soltanto "tra loro", "l'una con le altre": le pongono anche d'accordo con la natura stessa. Ciò vale a mantenere stabile la tradizione, concedendo lievi e graduali varianti. Il sistema tonale è un frutto del pensiero; è l'io-penso-in-musica che si riconosce di volta in volta nelle sue creature teoriche, in ciascuna delle quali ha impresso il suo marchio di fabbrica che le rende similari l'una all'altra. Il sistema tonale è qui, non ; grazie alla teorizzazione del temperamentum aequabile, rende agevole a priori l'accordo fra gli strumenti, e apre nuove immense possibilità combinatorie. Tutto ciò vale a destabilizzare rapidamente la tradizione, le varianti diventano capovolgimenti o, in senso etimologico, rivoluzioni.
Di questi fondamenti teoretici, che gli appartengono di diritto, l'artista romantico è talora inconsapevole, anche quando li porta all'estremo. Il punto di partenza per intendere i diversissimi aspetti del romanticismo musicale è il carattere che unifica tanta diversità: la coscienza dell'artista legislatore assoluto, e quindi interamente responsabile della propria opera. Questo genera nell'artista romantico una moralità "non moralistica" ma "poetica", nel senso etimologico di "'produttiva" o "creatrice". All'artista che può e deve seguire soltanto la via segnata dalla natura, subentra l'artista che traccia una via e la via inversa, che erige un edificio ma anche la sua immagine speculare, che è insieme, in una parola, Dio creatore e Satana distruttore. Il pietista e austero Kant non poteva prevedere che da lui sarebbe nato questo gioco pericoloso. A nessuno sfugge che il motto apposto da Beethoven al Finale del Quartetto in fa maggiore op.135 ("Muß es sein? Es muß sein!") ha in sé lo spirito vivo dell'imperativo categorico definito da Kant nella Kritik derpraktischen Vernunft: "ich muß", fratello speculare del "du mußt" goethiano nel Faust. Ma questa è un'eco culturale immediatamente percepita. Ad Arnold Schönberg siamo grati per una fulminea analisi ulteriore: "Muß es sein? " corrisponde a Sol, Mi inferiore e La inferiore, ossia all'inversione del retrogrado rispetto al precedente inciso di tre note. La via che va all'insù può essere la stessa, diceva Eraclito, che la via all'ingiù, ma la prospettiva è comunque diversa, e la soggettività radicale dell'io-penso non può trascurare le prospettive, il sopra e il sotto, la destra e la sinistra, mentre l'oggettività del cosmo potrebbe farne a meno. Si noti: inversioni, specularità, mascheramenti, sono il pane quotidiano nella musica dei secoli prekantiani: della tradizione polifonica rinascimentale, dalle forme musicali barocche, dello stile contrappuntistico più arduo. In Beethoven, l'inversione delle linee viene dichiarata con intransigenza più che con eleganza; è orizzontale con figurazioni affiancate, e si svolge nel tempo, non verticale con figurazioni sovrapposte e aggettante nello spazio. Anche questo suggerisce un primato dell'io-penso, ragione-soggetto che trova i propri modelli nell'interiorità dove il reale è essenzialmente tempo (Sein und Zeit, se anticipiamo la formula di un filosofo più recente), non nel mondo esterno dove il reale è, o ci appare, soprattutto spazio.
Quirino Principe
("Musica Viva", n. 1, Gennaio 1991, Anno XV)

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