Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

sabato, maggio 02, 2020

Quirino Principe: Musica e filosofia (8/14)

Die Sonne tönt, nach alter Weise,
in Brudersphären Wettgesang...
 
Il sole suona, all'antica maniera,
nel canto a gara di sfere sorelle...
Johann Wolfgang GOETHE, Faust
 
BELLEZZA E SPAZIALITA' DELLA MUSICA
Ottava parte.
 
Faggeta
Essenziale alla filosofia non è soltanto la sostanza concettuale delle cose e del loro confluire nel mondo; è anche la cadenza con cui quelle sostanze sono pre-pensate. Abbiamo visto come nel pensiero di Kant ciò che distingue soprattutto la cosmologia di quel filosofo da quella tradizionale sia il concetto spazio-temporale: spazio e tempo come realtà trascendentali e a priori, concepibili persino come vuoti contenitori universali da riempire di cose e di eventi. La più drastica alternativa a tale immagine mentale è la filosofia cristiana del medioevo maturo, a partire dalla fase tarda del rinascimento carolingio. Le tendenze della Scolastica in campo cosmologico hanno in comune, nella loro diversità anche aspra, il presupposto che lo spazio esista soltanto a posteriori, non "dopo" gli enti estesi ma "poiché" tali enti esistono, che il tempo esista solo "poiché" esistono eventi con moti e successioni misurabili.
La teoresi filosofica, i cui enunciati possiedono una possibilità ab aeterno e non dipendono da occasioni storiche, obbliga al rigore della logica e non ammette casualità. Ma le apparizioni de facto di tale teoresi lungo l'orizzonte storico ci abitua (si direbbe, per contrappeso) ai casi e ai paradossi. Non ci si stupisca se le teorie cosmologiche oggi più ardite e innovatrici si adattano piuttosto ai presupposti della Scolastica che non a quelli kantiani. Le ipotesi sulla nascita e sull'espansione dell'universo, nate da premesse einsteiniane, teorizzate ambiziosamente da Ralph Alpher, Hans Albrecht Bethe e George Gamow (la cosiddetta "teoria alfa-beta-gamma") e oggi criticamente sviluppate da Stephen Hawking, presentano il big bang come una "singolarità" assoluta sull'orizzonte degli eventi: al di fuori di quell'orizzonte non esistono né spazio né tempo, e essi "cominciano ad esistere" (più correttamente, "esistono" tout court) soltanto "entro" quell'orizzonte, ossia in coincidenza con la variazione decisiva da un universo di temperatura e densità infinite e di dimensioni zero (inconcepibile, non visualizzabile, e d'altra parte neppure identificabile con il "nulla", poiché il nulla non ha né densità né temperatura) a un universo in espansione incipiente, di densità e temperatura in progressiva diminuzione (Hawking suppone che un secondo dopo il big bang la temperatura dell'universo sia già scesa a "soli" 10 miliardi di gradi centigradi) e di dimensioni crescenti in proporzione inversa. I black holes (buchi neri) presenterebbero, come mostruose anomalie, le identiche condizioni di ciò che "era" (si può usare davvero il tempo passato nell'uso linguistico) l'universo "prirna" del big bang (ma non si può dire "prima", non esistendo il tempo al di fuori dell'universo dalle dimensioni diverse da zero). Questo urtare disperato della ragione contro i concetti incrociati di spazio, tempo, essere, e nulla è, nella collocazione del problema, praticamente identico al modo in cui lo stesso problema è posto da Tommaso d'Aquino nella Summa contra gentiles, libro III, capitoli 1-38: il mondo non può essere stato creato "nel" tempo, in un "quando", "prima" di qualcosa, poiché il tempo incomincia ad esistere "con" il mondo, e da quell'esistenza ha avvio il prima e il poi. La creazione (il big bang?), ossia il rapporto ontologico di dipendenza tra Dio e il mondo, va intesa come aggancio metafisico, non come novità cronologicamente individuabile, poiché in Dio non possono esistere novità né variazioni né capricci. La creazione è ab aeterno, in quanto, essendo Dio necessario, anche il suo rapporto con il mondo è necessario. Al di fuori delle cose create, né spazio né tempo sussistono. Nel momento stesso in cui vogliamo salvare la purezza scientifica del problema cosmologico, fondiamo il diritto d'intervento della filosofia. Le conclusioni cui giungono oggi i cosmologi si appellano esclusivamente a ipotesi matematicamente fondate e a osservazioni sperimentali (lo spostamento verso il rosso dello spettro stellare, la velocità di allontanamento reciproco delle galassie, l'esistenza dei buchi neri), e dinanzi alla "singolarità" del big bang o a quella inversa e ipotizzata del futuro big crunch (la grande contrazione che riporterebbe l'universo a dimensioni zero e a densità e temperatura infinite, ossia la fine del tempo e dello spazio) nessuno scienziato degno di questo nome deve domandarsi: "Perché?". La questione diverebbe immediatamente ontologica, e anzi l'ipotesi del big bang e dell'inverso big crunch è l'esatto confine tra l'ordine scientifico e l'ordine ontologico dei problemi. La filosofia ha il diritto di meditare su qualsiasi oggetto, ma ha il dovere di attenersi a un solo metodo, il proprio ed esclusivo. Al di là di questo limite, si dicono colossali sciocchezze. La terrificante parabola che parte da un mistero che è quasi nulla ma non è nulla, ed è comunque al limite del nulla, procede verso l'espansione di uno spazio inconcepibile, si arresta, retrocede verso una non meno inconcepibile contrazione, ritorna al misterioso quasi nulla, ossia, in due parole, dal big bang al big crunch, potrebbe essere vista, senza offendere l'intelligenza di nessuno, come la mano di Dio che, nell'arco di 20 o 30 miliardi di anni, si apre lentamente e lentamente si chiude a pugno. Ma è chiaro che ciò è soltanto una metafora, o un sogno, di cui lo stesso Dio potrebbe sorridere.
Questo è il punto preciso in cui s'innesta il nostro tema specifico. In una concezione secondo cui al di fuori di spazio e tempo non esiste nulla, neppure (per rendere omaggio alla rivoluzione copernicana di Kant) entro le possibilità della nostra ragione, dov'è la musica? Esiste, si pensa, una realtà potenziale della musica indipendente dall'esistenza del genere umano, indipendente dalla storia e della civiltà, poiché i rapporti logici su cui la musica si fonda sarebbero pur sempre in atto, né siamo noi uomini "storici" a determinarli. Ma al di fuori del mondo come realtà ontologica? Al di fuori dell'orizzonte degli eventi? Una risposta audacissima è offerta dalla tradizione ellenica, e precisamene da Platone; ne parleremo ampiamente. Platone ci abbaglia con la realtà di una musica universale ed eterna indipendente dall'esistenza dello spazio-tempo; ciò è possibile esclusivamente perché il filosofo ateniese esclude il problema della creazione, e comunque di un inizio del mondo, di qualcosa che, sia pure in termini molto diversi, potrebbe coincidere con il big bang. Certo, Platone affronta il problema con temerità vittoriosa. La filosofia cristiana medievale, in particolare la Scolastica, elude la questione, ed eludendola dà implicitamente una risposta negativa: no, la musica esiste soltanto se esiste lo spazio, e anch'essa è creata. Questa è la differenza radicale tra la fase precristiana e la fase cristiana più matura di una tradizione sostanzialmente unitaria e ininterrotta, posta in crisi soltanto dal pensiero moderno a partire dall'età rinascimentale. Prima di scendere ad alcuni esempi, diremo che la meditazione sulla natura ontologica della musica sviluppata dalle filosofie della Scolastica si riassume in una formula: nello spazio creato, la musica compendia e rappresenta nella forma più nobile e splendente la bellezza, che di quello spazio è uno dei connotati salienti, insieme con la verità, con la bontà e con l'unità connaturata.
E' stato soprattutto Edouard De Bruyne (Etudès d'esthétique médiévale, De Tempel, Bruges 1946, vol. II, pp. 273 ss.) colui che ha dato un ordine alla selva di tendenze e di enunciati dispersi sull'argomento dai filosofi medievali. Naturalmente, l'ordine sistematico dato da De Bruyne è, proprio in quanto sistematico, soggettivo, e lo dobbiamo verificare richiamandoci alla lettura diretta degli autori in cui egli con immensa dottrina s'immerge. I maestri di Chartres vedono il mondo come kosmos, ossia come ordine e bellezza, ordo exornatus, in contrapposizione a un caos primigenio, quale il mondo sarebbe se si riducesse a pura materia, non avendo la materia "prima", ossia non connotata da qualità alcuna, forma, per cui, a maggior ragione, sarebbe priva di qualsiasi bellezza. La bellezza deriva dal principio ideale, dalla presenza di idee nella materia, e d'altra parte le idee non sarebbero "bellezza" se non s'incarnassero nella materia che cade sotto i nostri sensi. Ciò deriva dal presupposto cristiano secondo cui soltanto il mondo materiale è soggetto a giudizio estetico, oltre che a giudizio etico e logico. Il mondo spirituale tollera soltanto queste ultime due specie di giudizio, come vuole la concezione cristiana della Scolastica. Si giunge così all'inaccettabile ma interessante e persino feconda conseguenza: le arti, compresa la musica, hanno un senso unicamente attraverso la materia, in ossequio alla bella formula di Suger de Saint-Denis: "Mens hebes ad verum per materialia surgit ". Notiamo, per inciso, smentendo parzialmente (ma non sostanzialmente) una nostra precedente osservazione, che su questo punto la concezione cosmologica della Scolastica è opposta a quella dei cosmologi oggi all'avanguardia: per alcuni di essi (Stephen Hawking, i suoi discepoli Julian Luttrel e Jonathan Halliwell), la nascita e l'espansione dell'universo dopo il big bang è il passaggio progressivo dall'ordine al disordine, ossia alla dispersione di energia prima concentrata, per cui, paradossalmente, la stessa musica sarebbe disordine, mentre l'ordine coinciderebbe con il silenzio. Nelle filosofie cristiane medievali, il transito dal nulla all'essere del mondo è, in quanto essere, ordine e quindi bellezza, kosmos.
I maestri di Chartres spiegano la fine dell'exornatio come l'imprimersi di idee divine sulla materia. Questa "impronta divina", tema ricorrente nell'estetica medievale in Occidente, spicca già mille anni prima nell'opera di Filone d'Alessandria. Essa è l'ornamento del mondo, e come tale non rimane un accidens, quell'ornamento che nella concezione artistica di Adolf Loos sarà definito "crimine". E' necessaria. La necessità della bellezza è un punto di forza dell'estetica medievale cristiana, e riscatta molti punti deboli. Uno studioso inglese di semantica, Angus Fletcher, ha sottolineato un altro tema ricorrente nell'estetica medievale. L'indagine è sviluppata nel bellissimo saggio Allegory: The Theory of a Symbolic Mode, Cornell University Press, Ithaca 1964. Del libro esiste una traduzione, oggi quasi introvabile, di Roberta Rambelli (Allegoria; teoria di un modo simbolico, Lerici, Roma 1968; in particolare, le pp. 116-120). Fletcher pone in rilievo il fatto che l'exornatio derivi da un ordine gerarchico, il cui segno più rappresentativo è l'armonia musicale. Un'armonia fondata su precise gerarchie di suoni è, com'è noto, il carattere primario della concezione armonica medievale, destinato a indebolirsi progressivamente e infine radicalmente nelle concezioni moderne del linguaggio musicale, fino alla Wiener Schule. Alla visione gerarchica è legato il sistema dei modi medievali e il concetto di consonanza che gli si affianca.
Su questa base concettuale si delineano due idee importanti, la cui esposizione documentata si trova, ancora una volta, in De Bruyne. La prima idea: l'armonia musicale distingue il caos connesso con la pura materia in forme definite. Ciò è all'origine dell'estetica musicale di Bernardo Silvestre e di Alano di Lilla. Bernard de Tours o Bernardus Sylvestris, vissuto nel secolo XII, era amico di Thierry di Chartres, fratello minore del più celebre Bernardo di Chartres, l'uomo dal luminoso aforisma: "Noi siamo nani sulle spalle di giganti". Proprio a Bernardo di Chartres fu per lungo tempo falsamente attribuito il trattato De mundi universitate, che è invece di Bernardo di Tours o Silvestre. L'opera, in prosa e in versi intercalati, nel I libro presenta la natura che lacrimante si rivolge a Noys (= Nous, l'illustre termine della filosofia presocratica e platonica interpretato cristianamente come "divina provvidenza") lamentandosi del caos confuso e indecifrabile in cui si contorce la materia prima (l'aristotelica prote hyle, ma hyle significa anche sylva, la "selva" dantesca, da cui l'appellativo di "Sylvestris" dato a Bernardo di Tours). La natura supplica Noys di introdurre nel mondo l'ordine, la bellezza e i significati, e le suggerisce, come strumento primario, l'armonia musicale. Dal De mundi universitate deriva quasi certamente l'estetica musicale di Alano di Lilla (Alain de Lille, Alanus ab Insulis), nato a Lille tra il 1114 e il 1128, morto a Citeaux il 12 luglio 1202. Alano, forse allievo di Bernardo di Clairvaux, ultima guida di Dante nel Paradiso, e di Thierry di Chartres, fu magister e infine rettore dell'Università di Parigi, ed espose le proprie idee, quasi esattamente conformi a quelle di Bernardo Silvestre, nell'Anticlaudianus sive de officiis viri in omnibus virtutibus perfecti carmen hexametrum libri IX (Basilea 1536, prima edizione a stampa). La musica è argomento dei libri III, cap. 5, e VII, cap. 2 e 6. La seconda idea fondamentale sottolineata da De Bruyne è formulata, fra gli altri, da Guillaume de Conches: ogni forma impressa da Dio nella materia pone l'essere creato in condizione di essere uguale a se stesso. Questa convinzione esercita una forte influenza sull'idea di un significato assoluto di ciascun suono musicale, irripetibile e non trasponibile, sui significati attribuiti ai suoni entro i diversi modi autentici o plagali e sul sistema modale nel suo insieme. Com'è noto il temperatum aequabile e la nascita del sistema tonale indeboliscono molto questa concezione di assolutezza.
Tuttavia, l'estetica medievale presenta proprio in tema di exornatio una drammatica ambivalenza. Fortissima è dopo il X secolo la polemica della Chiesa contro l'ornamento rappresentato dall'arte, inutile lusso del mondo. "Noi che abbiamo detto addio alle cose mondane", scrive Bernardo di Clairvaux nell'Apologia ad Guillelmum, "guardiamo alle dolcezze della musica come a sterco". Agghiacciante enunciato, che tra l'altro, nel momento stesso in cui lascia indifferente ogni spirito irreligioso e non cristiano, manda in frantumi l'essenza della preghiera e del rito ecclesiastico. Chiunque abbia letto Dante ricorda con simpatia la squisita figura di Bernardo, ma simili dichiarazioni rappresentano, per noi che scriviamo, un sintomo di ciò che più odiamo sulla terra: il rigorismo, lo spirito di rinuncia, il moralismo, il pauperismo dello spirito, il populismo intellettuale, l'integralismo religioso, insomma, il cristianesimo cattivo e odioso, quello di Paolo di Tarso, fustigatore e sessuofobo, in contrapposizione al critianesimo sublime, quello di Francesco d'Assisi, mai sessuofobo, mai censuratore della bellezza, pieno d'appassionato amore per la materia.
A conforto dello studioso, e a nostro sconforto, osserviamo che questo atteggiamento savonaroliano e khomeinista è, nella cultura medioevale, asistematico (allora si diceva: "eretico"). Anzi, nel cristianesimo di quei secoli era tendenziale il valutare come eresia il pauperismo, talora anche a sproposito; affermiamo recisamente che lo spirito francescano non è pauperista, poiché non reca tracce di populismo o di spirito autofustigatorio. Quindi, è un atteggiamento deviante e minoritario. Nel cristianesimo integralista di oggi, esso è maggioritario, per non dire della spaventosa ignoranza vuoi filosofica vuoi artistica vuoi universale che domina la cultura cattolica odierna (in Italia in misura più accentuata), in contrasto con lo splendore culturale del pensiero cristiano e della Chiesa cattolica nel medioevo. Segno tangibile di tale diversità è la musica ripugnante, viscida, da festival di San Remo in versione particolarmente triviale, che si ascolta oggi nelle chiese cattoliche (ne è radice l'odio sfrenato per la bellezza, per la nobiltà e per i pregi intellettuali), raffrontata con l'altissima tradizione musicale di cui, grazie al lascito cristiano medievale, siamo eredi.
Perciò, non è strano che contro il disprezzo per l'exornatio abbia condotto una vittoriosa battaglia il maggiore fra i filosofi del medioevo cristiano, il più sistematico ed enciclopedico: Tommaso d'Aquino. La speculazione tomistica in campo estetico si fonda sull'idea di proportio, legata all'assioma secondo cui il bello è trascendentale: ogni cosa è proporzionata per il fatto che è. La proportio ideale, matematica, s'incarna nella proportio sensibile, che Tommaso modella con decisione sulla sua forma più tipica ed eloquente, la proportio musicale. Una lunga controversia, destinata a rinascere, è intorno al 1270 decisa con provvisorio trionfo dal celebre passo: "Homo delectatur secundum alios sensus... propter convenientiam sensibilium... sicut cul delectatur homo in sono bene harmonizato". (Summa theologica, Secunda secundae, 141, 4 ad 3)
Quirino Principe
("Musica Viva", n. 8/9, Agosto/Settembre 1990, Anno XIV)

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