Il Preglhof è coperto di rampicanti. Chi lo ha comprato non ama la pietra, e aspetta che la struttura si sgretoli per non doverla abbattere. In Carinzia ristrutturare un rudere costa di più che costruire un nuovo edificio. Prima di rifugiarmi a Mittersill, sono voluto venire qui un'ultima volta. Mio padre vendette questa gigantesca tenuta, sorta di feudo della natura nel tempo terrestre, quando comprese che non mi sarei dedicato alla sua amministrazione. Me ne venne una rendita, da me dilapidata nell'unico bene voluttuario che mi sono mai concesso: tempo per comporre.
Ora che i bombardamenti hanno raggiunto anche casa mia, Maria Enzersdorf, la “Universal” ha smesso di commissionarmi riduzioni pianistiche di artisti protetti dal regime: tutte partiture gigantesche, e scritte con l'idea che l'eternità aleggiasse nell'inchiostro della penna. Un paio di compositori hanno riscritto le loro partiture partendo dai miei arrangiamenti, ma era una trappola: scrivere a regola d'arte non paga.
Ma dicevo di Preglhof. Vi ho passato infanzia e adolescenza, e anche quando la carriera di direttore d'orchestra mi rendeva estraneo a me stesso, ogni singolo suo paesaggio diveniva, in me, un episodio della partitura. Per esempio, una frase rabbiosa dei violoncelli era la cascatella di acqua gelida presso il fiume; un Corale a note lunghe degli ottoni era la Via Crucis con le statue di legno sul sentiero che i Gesuiti hanno lasciato ai margini della tenuta. Mi piaceva pensare, nei tempi grami, che Preglhof vegliasse su di me, così che le orchestre non mi facessero male.
L'ultima stagione che vide mia madre viva, fu al Preglhof. Morì per una crisi ipoglicemica che tutti noi aspettavamo, e che nessuno previde. L'amore di una madre non assomiglia a nessun altro, e non può venire rimpiazzato.
Nel Quartetto n. 2 per archi del mio maestro, Arnold Schönberg, una voce intona versi che mi parvero un oracolo per il mio lutto ingovernabile:
..Nella tua casa ritorno, SignoreLungo fu il viaggio, affrante sono le membraVuoti gli scrigni, piena la pena...Debole è il mio respiro che evoca il sogno..Nel cuore braci ardono ancoraNel fondo più oscuro ancora veglia un gridoStermina la brama, chiudi la feritaEstingui in me l'amore, dammi la pace.
Non ricordo tutti i versi di questa poesia di Stefan George, tratta dalla sua raccolta Il settimo anello: solo quelli dove il poeta parla di me. George aveva raccolto intorno a sé una Comune esoterica cresciuta intorno al culto di Goethe: la sua teoria che la luce, le piante e le rocce siano tutte manifestazioni dell'anima, specchio del dio vivente. So che sul lago di Silvaplana è nata una Comune simile a quella di George. Erwin Reisen, un allievo di Schönberg, vi andò in visita.
Questo Quartetto n. 2 esprime un momento catastrofico nell'esistenza di Schönberg. La moglie lo lasciò per un giovane pittore amico di famiglia, e il Maestro ebbe l'unico crollo creativo della sua vita. Lei, poi, tornò, e il suo amante, per questo, si tolse la vita. Fui io a convincerla, richiamandola ai suoi doveri verso il genio. Schönberg non apparteneva a lei, ma all'umanità, e del suo collasso creativo i posteri le avrebbero chiesto ragione. Quando il ragazzo, il pittore, si uccise, mi sentii responsabile. Questo, e la morte di mia madre, fecero sì a Schönberg mi legassi per la vita, e non potessi più stare senza di lui.
La morte di mia madre mi faceva sentire responsabile dei mali del mondo. Quando morì, io non c'ero. Ero sul massiccio di Rax, perso nell'aurora nascente, dopo una nottata in alta quota.
Alla prima esecuzione del Quartetto n. 2 di Schönberg, il pubblico fu preso da un accesso di risa. Li divertiva il fatto che il compositore vi avesse introdotto una canzoncina infantile, Du lieber Augustin, dove si parla del “povero Agostino”, che si mette nei guai fino a perdere ogni cosa, anche la speranza.
Quella gente rideva di me, orfano e gettato nel fiume della vita senza più una guida. Il sarcasmo di Schönbergera diventato, per me, il ghigno di un mondo ostile.
Le persone lodano le opere d'arte che li fanno sentire migliori, non quelle che ritraggono la loro sofferenza in chiave grottesca.
Wilhelmine, non ancora mia moglie, mi scrisse il mio amore non può rimpiazzare nel tuo cuore quello che provi per tua madre, ma ti può aiutare a creare una vita di bellezza.
Lei accettò di vivere all'ombra di mia madre, da ispiratrice delle molte opere che avrei dedicato alla sua memoria. Il suo amore era assoluto; il mio, il riflesso di un altro amore.
Quando ottenni la laurea in Musicologia, a Vienna, mia madre ed io facemmo un viaggio. La mia tesi su Heinrich Isaac, un compositore fiammingo del Quattrocento capace di rendere la musica una mappa di rotte astrali, un'immagine sonora del cosmo, era appena stata pubblicata.
Un von Webern poteva fare il musicista solo a patto che fosse laureato. Meritavo un premio. Mia madre mi portò in Engadina. Conoscendo la mia passione per il pittore Giovanni Segantini, che avevo scoperto a Monaco durante un viaggio in Baviera, mi condusse fin sul Ghiacciaio del Forno, a Maloja. nei luoghi cari al sofferto simbolismo dell'artista. Lassù trenta profondi laghetti, detti “marmitte”, incidono la roccia a coltello come uno sfregio del tempo. Mia madre si fermò davanti ad uno di questi. Il suo respiro era affannoso. ma non per la salita. Quel posto, sentivo, era qualcosa che lei sapeva di dover per sempre evitare, non fosse stato per me.
Il cielo era diafano per l'attesa del sole, da ore ricoverato dietro una coltre di nuvole bianche come il silenzio di chi non ha nulla più da attendere: tale era, ora, il silenzio di mia madre. E "questo laghetto" cominciò a dire, "compare nel quadro La Vanità. Tu non puoi averlo visto, perché non è esposto a Monaco. Il quadro rappresenta una ragazza nuda che si contempla nello specchio dell'acqua, e accanto a lei i rododendri fioriscono di rosso. I rododendri sono il simbolo dell'amore ricambiato, il cuore segreto della passione. Un drago sorveglia la figura assorta nella propria bellezza, e pare un angelo che voglia ammonirla e difenderla. La modella del quadro era l'amante del pittore, e dopo la sua morte improvvisa impazzì".
Non sapevo perché, ma quel modo così semplice di raccontare mi riempiva di paura.
Si alzò il vento, spostando le nuvole dal sole. Ora ombre veloci intorbidavano l'acqua, e il laghetto sembrava l'orbita dell'occhio di un ciclope.
«Quella modella. prima che venisse quassù a cercare le radici del suo rododendro. io la conoscevo. Studiava pianoforte al Conservatorio di Vienna, nella stessa mia classe. Disperata, in procinto di andare a Maloja, mi raccontò della forza che la trascinava via dalla propria vita. Mi disse che era una forma di musica, ma una musica senza, sopra, alcun cielo. Aveva avuto una figlia da un'amante occasionale. Si chiamava Annie. Prima di partire, la affidò ad una coppia di musicisti venuti a studiare a Vienna dal Baltico».
Mia madre stese le mani verso di me, vicinissime al mio viso.
«Tu sei capace di amore come nessun altro. La passione per gli esseri viventi invade la tua anima, e ti fa seguire le vie dei canti. Eppure, comprendi? Oggi i rododendri sono pieni di veleno, pura vanità. L'amore, nei giorni futuri, porterà la follia, e ciò che accadde a quella modella, è il destino che si prepara all'intera nazione germanica. Tutti, negli anni, hanno tentato il cielo, senza sapere quale forza andavano evocando. L'idealismo romantico sta per partorire mostri. Tu, non essere complice. Dissecca la tua vena come pietra pomice, e contempla da saggio le macerie della storia. Non avrai, per questo, l'amore degli uomini, ma neppure la responsabilità della loro rovina».
Si fece presso il laghetto, ne raccolse tra le mani a coppa un po' d'acqua e tornata da me la versò sulla mia testa. In quel momento, i mondi di cieli lontani mi apparvero in strutture di suono.
Sopra la musica c'era un cielo dalla purezza inattingibile: un cielo dove fuggire per sempre dal tempo.
Alessandro Zignani
(tratto da "Il cielo sopra la musica", Florestano Edizioni, 2018)
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