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Peter Gabriel (Chobham, 13 febbraio 1950) |
In poco più di un anno i capelli dell'"agnello di Broadway" si sono leggermente allungati, ma il resto è immutato: un maglione inevitabilmente nero con vistose cuciture, scarpe da tennis, jeans nuovi con orlo maldestramente aggiustato con grappette metalliche, e il solito vizio di parlare ballando ora su una gamba, ora sull'altra; come un orso.
..."Helo". Sul tavolo i nastri di "Peter Gabriel" esordio del cantante, passato alla carriera solista dal fatidico giorno dell'abbandono dei Genesis: sono qui per ascoltarlo.
"Peter Gabriel" raccoglie molte delle composizioni e delle idee nate in Peter attraverso un anno di viaggi e approfondimenti tesi a programmare il suo futuro come artista, gli States hanno, a questo proposito, svolto un ruolo importante e lo stesso musicista è deciso, per il primo anno di attività, a lavorare soprattutto per il pubblico americano. Il disco è stato registrato negli studi canadesi "Soundstage", per la maggior parte, e per alcune aggiunte a Nre York nei Record Plant e a Londra agli Olympic e ai Sounds. Alle sessione hanno partecipato molti musicisti, sia inglesi che americani; Bon Fripp e Steve Hunter alle chitarre, Alan Schwartzberg alla batteria, Tony Levin al basso, Josef Chirowski alle tastiere e, tra gli altri strumentisti, anche lo stesso Gabriel che si è dato da fare con varie tastiere e al consueto flauto. In tutto nove brani che, al primo ascolto mi hanno lasciato sorpreso per la lontananza della voce di Peter dal consueto background sonoro a cui ero abituato; il giorno dopo, quando sempre in compagnia di Peter, ho riascoltato i nastri, mi sono trovato entusiasta. L'album, più si ascolta e più conquista: ogni brano è l'opposto di quello precedente, hauna sua particolare atmosfera: il gusto singolare, spesso umoristico, la tecnica affascinante di Peter accomunano il tutto, da "Moribund The Burgermeister" a "Here Comes The Flood"...
LATO UNO...
L'album si apre dunque con questo "Moribund The Burgermeister": "Questo brano" dice Peter "è forse il solo dove ho ricamato sui testi una storia sul tipo di quella che popolavano i miei vecchi brano; è la piccola storia, molto personale, di una commedia chiamata "Dancingmania" che, quando viene rappresentata alle persone stanche ed oppresse li spinge a partecipare, a tornare validi. Alla commedia si oppone la figura del borgomastro, simbolo del potere." Retto da una prepotente strumentazione elettrica, il brano si sviluppa in maniera originale, intorno al dialogo di voci che Peter è solito ricreare: l'atmosfera è orchestrale, in bilico tra il fluttuante e qualcosa ricorda ancora i Genesis.
Segue "Salisbury Hill", una ballata molto agile, dalla struttura semplice, acustica, riecheggiante certi temi gradevoli del Mike Oldfield più agreste e scanzonato, tanto per intenderci. "Moder Love" è invece la prima vera sorpresa del disco; il brano, che uscirà anche come singolo, ricorda molto la "Honky Tonk Woman" dei Rolling Stones, con una base di rock primitivo, sostenuto dalle chitarre ritmiche e da un organo molto essenziale. "E' un ritorno alla comunicativa - ha commentato Peter -. Avresti dovuto vedere come si è divertito a registrarlo Bon Fripp: con Hunter sembravano una coppia perfetta di arrabbiati rokers!".
"Questa che segue è una canzone veramente seria!" Naturalmente "Excuse Me", questo il titolo del brano, non è affatto seria; Peter l'ha definita un incrocio tra dixie, rag e buona musica da ballo tedesca. Si tratta di un piacevole divertissement che vede Levin al basso-tuba e Fripp al banjo.
Con "In the Hum Drum" si torna alle atmosfere più suggestive esognanti, sottolineate da un efficace piano elettrico e dalla voce, qui nei suoi timbri più caratteristici. Poi il flauto e il synt, entrambi suonati da Peter, allargano l'atmosfera con aperture vicine ai vecchi Genesis: tutto si fa surreale e la voce diventa... sottomarina...
...E LATO DUE
La seconda facciata si apre con "Slowburn", un altro di quei momenti in cui si stenta a riconoscere il Gabriel a cui eravamo abituati... tastiere in un serrare ritmico decisamente violento... ma sul finire ecco che tutto si quieta, si esaurisce in uno di quei giochi a sorpresa di cui solo Peter è capace.
La seguente "Waiting for the Big One" è senza dubbio il momento più atipico dell'album, ma, a mio parere, anche uno dei più suggestivi: è un blues. "Negli ultimi tempi quando ero con i Genesis, ci trovavamo spesso a suonare del blues: io e Tony Banks ne eravamo entusiasti: un po' come Beatles e Stones che nel loro periodo aureo tornavano spesso e volentieri a questo stupendo genere. Io qui canto rifacendomi allo stile di Mose Allison, un musicista bianco di blues, pianista: il suo è un genere da piano-bar. da saloon che mi piace moltissimo." Il brano è molto lungo, molto vissuto, arricchito da alcuni stupendi interventi chitarristici: sul finire le lunghe pause e un coro lontano lo rendono incredibilmente suggestivo.
Completamente diversa "Midnight Bell", che all'inizio doveva chiamarsi "Down The Dolce Vita" e che poi, chissà perché, ha cambiato titolo. Subito dopo una grandiosa apertura sinfonica si fanno largo le chitarre di Bob e Steve, in un accattivante gioco ritmico che con il suo incastro costituisce la base di tutta la canzone: al centro un’interruzione, anche essa basata su incastri ritmici, che come Peter ed io abbiamo notato, si accosta casualmente ad un momento di “One for the Vine" dall'ultimo album dei Genesis.
Chiude, stupendamente l‘album "Here Comes the Flood" un altro capolavoro: apertura di recorder, suonato da Peter, poi la voce in primo piano, con un canto suggestivo e narrativo: "E’ la storia di un futuro in cui si comunicherà solo telepaticamente". Sul finire tutto si fa più incisivo, più drammatico, la chitarra. qui nelle mani di Dick Wagner. è stupenda: la costruzione del tutto è eccezionale, degna dei Beatles.
PAROLE
Peter sorride soddisfatto: "Questo è solo l’inizio; spero l'album abbia successo negli States, dove sono molto famoso come compositore e come ex-Genesis, e in Europa, Italia, Francia... ho meno fiducia nell'Inghilterra dove tutto mi sembra confuse. Tournée?! Per il momento solo oltreoceano, con un gruppo (ma chi sono non lo dico) e senza sceneggiature o altre cose.
In Europa vorrei venire quando avrò pronto lo spettacolo di Mozo: è la mia idea più ambiziosa e segreta... disco, spettacolo e film. Il film è di tipo nuovissimo: per esempio c'è un cattivo che sta per essere ucciso dai giustiziere... questi esce di persona dal telone e chiede - lo uccido o lo grazio? -, il pubblico decide a maggioranza schiacciando dei pulsanti posti sui braccioli... è una cosa vera, ti giuro: il film poi continua a seconda del responso fino ad un'altra situazione simile: insomma é il pubblico che lo crea. E’ una invenzione di un cecoslovacco, il dottor Cincirra, che sta lavorando con me per tradurre in immagini e musica Mozo: quando, grazie al disco avrò fama e, spero, soldi, Mozo diventera realta".
Da Mozo al disco... "L'ho registrato negli States perchè là i musicisti sono più rilassati: in Inghilterra son tutti nervosi e tendono ad anticipare le battute, ad essere secchi, come Bruford... i negri invece conoscono proprio la rilassatezza del lasciarsi andare nel ritmo. Gli europei quando suonano cercano di piacere a se stessi, gli americani badano al feeling: sono tutte distinzioni sottili ma importanti.
Lavorare con un gruppo é molto diverso: vai in sala e lavori su cose discusse da mesi. con personalità e suoni abituali; in session tutto cambia, è più difficile. Personalmente sono più favorevole al lavoro collettivo, di gruppo".
"Cos'è cambiato da quando hai incominciato. e quali novità ci sono nel rock da quando hai lasciato i .Genesis?".
"Oggi i grandi del rock sembrano attori di Hollywood: io ti invito nel mio disco, tu mi chiami nel tuo show, tu incidi per la mia etichetta. io ti scrivo una canzone... e il pubblico rimane in disparte, la comunicativa è uccisa. Allora nasce il Punk, allora i giovani d’oggi, non ne vogliono più sapere degli idoli dei fratelli maggiori. Cos'è successo in un anno? Mah, il rock tedesco ha avuto un certo successo... e basta".
"Anche i Genesis hanno avuto successo. A proposito, com'è possibile che due persone, tu e Phil, cantino in maniera così uguale?".
"Mah, me lo sono chiesto anch'io... la verità è che da quando ho cominciato a cantare io mi sforzo di farlo come Phil; anche quando ero nel gruppo avevo la sua foto appesa in camera".
"Che differenza c'è tra i Genesis di oggi e quelli di prima?".
"Mi è piaciuto molto il loro ultimo album, mentre il concerto non tanto, li preferivo l'altr'anno...".
"Guarda che non ti ho chiesto la differenza tra i nuovi e i vecchi...".
"Insomma, la musica continua a piacermi, mentre i testi no: loro quattro non hanno mai amato i testi, solo Tony Phillips, il vecchio chitarrista era in grado di scrivere bellissime storie".
"Hai cercato tecnicamente di cambiare molte cose per staccarti dai Genesis?".
"Non ce n‘è stato bisogno: i musicisti erano diversi, ogni canzone, poi andava eseguita in maniera totalmente diversa. Eco, phasing e microfoni sono gli stessi di prima".
"E in te cos'è cambiato in questo periodo?".
Peter, incomincia a ficcare la testa dentro il maglione e a scrutarsi dentro: infine. rosso, la tira fuori: "Il dottore non ha scoperto nulla".
Marco Ferranti
("Ciao 2001", 30 Gennaio 1977, N. 4, Anno IX)
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