La clavicembalista di Montreal ci racconta con grande emozione come è avvenuta la sua riscoperta della musica di Christoph Graupner, esaltando il linguaggio e lo spirito innovativo di una musica paragonabile a quella dei grandi compositori del suo tempo.
Nel 1683, due anni prima che Eisenach, città di origine della famiglia Bach, desse i natali a Johann Sebastian, la famiglia Graupner di Hartmannsdorf dava il benvenuto al piccolo Christoph. Gli storici odierni sono concordi nell'affermare che nonostante egli sia sopravvissuto per dieci anni a Bach, quest'ultimo abbia comunque avuto una vita produttiva migliore di quella di Graupner.
Geneviève Soly non ha motivo di contraddirli, concedendo volentieri a Bach l'appellativo di gigante della musica. Ciò di cui risentono i clavicembalisti e musicologi di Montreal è il fatto che la storia abbia trascurato un compositore di cui la Soly parla con lo stesso trasporto normalmente riservato a Rameau e Telemann.
Lei non è sempre stata di questo parere. Bach era il suo idolo, il compositore la cui musica l'aveva ispirata nello studio dell'organo, dapprima con suo padre, in seguito in Europa, dove venne influenzata dal clavicembalista Kenneth Gilbert.
Non solo Gilbert la invogliò a studiare il clavicembalo, ma la contagiò nello zelo con cui andava a caccia di fonti musicali originali. Ritornata a Montreal, dove incontrò uno dei più intraprendenti gruppi di esecutori su strumenti originali, l'Ensemble des ldees Heureuses, nel 1987, divenne famosa per aver rispolverato spartiti di musica antica dalle biblioteche. Per riuscire a trovare più spartiti possibile tra quelli che cercava, ottenne una borsa di studio ed iniziò ad aggirarsi furtivamente fra i tesori del Beinecke Rare Book dell'Università di Yale e la Manuscript Library.
Dopo aver trascorso il giorno precedente a selezionare i titoli da esaminare, la Soly arrivò in biblioteca la mattina presto del giorno del suo 43esimo compleanno, il 14 Novembre del 2000.
«Me lo ricordo ancora. Mi misi a sedere e iniziai a leggere la prefazione scritta sul lato sinistro della prima pagina, in cui era descritta la diteggiatura e tutte le cose che si devono sapere quando si suona la musica. Subito dopo iniziai a leggere la prima pagina della prima partita (per clavicembalo), pensando tra me e me, questa è una musica bellissima. Andando avanti nella lettura, rimasi sbalordita. Non riuscivo a capire cosa stesse accadendo. Chi era questo Graupner? E come avrebbe potuto scrivere tali cose? Ad un certo punto qualcuno mi fece un cenno toccandomi il gomito. Stavano chiudendo. Non mi ero resa conto che era già mezzogiorno».
E' così che tutto ebbe inizio.
Durante i mesi e gli anni successivi, la Soly cercò di trovare tutto quello che poteva su Christoph Graupner, mettendosi in contatto con la biblioteca di Darmstadt in cui erano custoditi i suoi manoscritti, ordinando copie degli spartiti e suonandoli in continuazione nel tentativo di comprendere i processi mentali del compositore. Non esistevano registrazioni che la potessero aiutare. Non vi era alcuna musica, ad eccezione delle quattro partite, che fosse stata pubblicata prima del ventesimo secolo. I libri di riferimento trascuravano i suoi argomenti di interesse («il Grove è pieno di errori») oppure ignoravano del tutto il compositore.
«Continuavo a fare scoperte interessanti,» ricorda la Soly, «in una sua prefazione, Rameau sostiene di essere stato il primo ad alternare l'uso delle mani nell'esecuzione di un'ampia scala. Ma Graupner lo aveva già fatto sei anni prima, senza affermare di essere stato il primo. Era un uomo modesto.» «In seguito trovai, in uno spartito del 1718, una cadenza scritta per clavicembalo che somigliava ad un pezzo virtuosistico scritto da Bach nel Quinto Concerto Brandeburghese, e si pensava che fosse stato proprio lo stesso Bach a scrivere per primo una tale cadenza. Inoltre, molte sarabande ed arie scritte da Graupner rappresentano musica operistica trascritta per clavicembalo, e si pensava che Händel fosse stato l'unico compositore ad averlo fatto. Non possiamo ancora dire se Graupner influenzò Rameau oppure Händel, o Bach. Ma l'alta qualità di questa inventiva è già chiara.»
Geneviève Soly prevede che le ci vorranno altri tre o quattro anni di ricerca prima di poter scrivere un libro sulla musica per clavicembalo di Graupner, per la maggior parte riscoperta da lei. Ma vi è anche una gran quantità di altra musica strumentale e sacra in attesa di qualcuno che se ne occupi.
Come può una tale quantità di musica, presumibilmente di qualità, rimanere nelle ombre dell'oscurità? La risposta più ovvia è che Graupner trascorse gli ultimi cinquant'anni della sua vita al servizio dei langravi di Hesse-Darmstadt, rendendosi poco visibile, e che alla sua morte la sua musica venne prontamente archiviata.
«Non sono sicura di poter affermare che inizialmente il mio interesse avesse una giustificazione» ammette la Soly, «così nel mio appuntamento annuale di recital sofistico a Montreal nel maggio 2001 decisi di eseguire una partita di Graupner senza dire nulla a nessuno. Dissi tra me, se piacerà al pubblico, allora andrò avanti. In caso contrario, chiuderò lo spartito. Per me si trattava di un test. Ebbene, ci fu un'ovazione. Così il giorno dopo sentii di poter andare da Mario Labbé alla Analekta Records per proporgli qualcosa. Egli ascoltò, dopo disse: «Partiamo!».
L'esito? Non una, bensì due serie dedicate a Graupner sull'etichetta di Montreal, una sulle partite per clavicembalo, l'altra sulla musica vocale, entrambe dirette dalla Soly.
«Graupner adesso è la mia passione», dice.
«Ciò che di più adoro fare è chiudere la porta, aprire uno spartito di musica e mettermi a sedere con Graupner. Egli è veramente un grande uomo. La musica è gradevole fisicamente, in maniera estrema. A volte richiama il passato, a volte sembra così nuova. Egli apre la porta della musica classica con la sua galanteria. Non ho idea se così anticamente venisse scritto stile galante. Graupner è l'unico compositore che io conosca con un grande senso del passato e del futuro, ed inoltre con un suo proprio linguaggio.»
di William Littler ("Orfeo", n.87, gennaio 2005)
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