«Intervista» sa tanto di domande preparate: cos'avrei mai potuto chiedere ad uno dei massimi guru della musica antica a livello mondiale come Sir Christopher Hogwood? Cos'avrei potuto dirgli di nuovo, di non banale o scontato? Trovavo e ancora trovo difficile rispondere a queste domande. Dunque, non mi pento di avere acceso il registratore al centro del tavolo di un bar, dove ho incontrato il Maestro in una pausa durante il suo masterclass di clavicordo, tenutosi lo scorso agosto nell'ambito dei corsi dell' «Accadernia Europea di Musica Antica» di Bolzano, che qui si svolgono durante il parallelo «Festival Internazionale di Musica Antica» (direzione artistica di Claudio Astronio), ormai giunto alla sua tredicesima edizione. «Intervista» non mi sembrava e non mi sembra il termine adatto. Ecco perché ho intitolato questo pezzo «conversazione», proprio perché di questa si è trattato. Da parte mia c'era un foglio striminzito con tre appunti buttati giù in matita, scritti di getto poco prima di incontrarlo, un tavolino rotondo, due sedie, un registratore. Da parte sua, la pazienza squisita e la serena lucidità di chi conosce la vita prima ancora che la musica, di chi sa essere grande e umile insieme, l'ironia tipica di chi è serio davvero (e non soltanto serioso), la competenza e la profondità di chi abbina le anime del musicista praticante, del musicologo, dell'umanista. Inizio la conversazione senza avere in mente una precisa scaletta, per pure associazioni mentali, lasciandomi trasportare dalla musicalità e dal ritmo di un accento britannico perfetto. Cos'hanno in comune il canto ambrosiano e Stravinsky, la musica contemporanea e gli strumenti originali, la filologia e i libri di cucina, il direttore d'orchestra e il grande chef, gli orari delle biblioteche italiane e la Maremma, la coerenza incrollabile dei grandi musicisti e l'altrettanto incrollabile ignoranza di certi critici? Buona lettura.
Sempre più spesso si ascolta musica per film eseguita su strumenti originali. Non ultimo, Marcel Ponseele poco tempo fa ha registrato "Oblivion" di Astor Piazzolla eseguendolo all'oboe barocco...
Credo si tratti di una tendenza superficiale (inglese: cosmetic", ndr), sebbene non vi sia una legge che la impedisca. Personalmente non amo l'idea del pastiche. Piuttosto, con l'Academy of Ancient Music abbiamo eseguito molti lavori di compositori contemporanei quali John Tavener, David Bedford, John Woolrich, che hanno scritto dei pezzi in stile moderno esplicitamente dedicati agli strumenti originali. Questi strumenti sono del tutto normali, fanno ormai parte del paesaggio musicale moderno.
Ma allora, cosa significa per lei oggi il termine «storicamente informato»?
Usare la storia per aiutare l'esecuzione. Significa essere in sintonia con lo stile nel quale la musica che stai suonando è stata scritta, ma non è solo questo. Sono spiaciuto soprattutto per le persone anti storiche. Credo infatti che la storia sia la base per suonare qualsiasi tipo di musica. A maggior ragione, per quanto riguarda la musica antica, abbiamo l'obbligo di sapere cosa fosse richiesto al musicista prima che certe abitudini esecutive venissero abbandonate in nome di altre.
Dal Medio Evo al Romanticismo?
Puoi estendere il ragionamento fino a Stravinsky. Perché no?
La storia è profondamente connessa con la filologia. Spesso si parla di esecuzioni filologicamente corrette. Che senso ha per un musicista essere "fiologico"?
La filologia è la base del linguaggio. Filologia significa imparare a leggere la musica, perché per suonare bisogna saper leggere cosa è scritto sulla partitura. Se per esempio non sei italiano, devi imparare cosa vuol dire "pianissimo", oppure "ritardando", perché per te non sono concetti abituali. Bisogna studiare un po' per suonare, tutto qui.
Quindi la filologia è utile per eseguire un pezzo musicale?
Più che altro, si tratta di un modo di capire: proprio quando capisci cosa vuol dire "fortissimo", forse puoi decidere di non suonare fortissimo. Oppure, se vedi "poco ritardando", una volta che capisci cosa vuol dire, puoi decidere anche di non farlo. E' un fenomeno simile a quello che si verifica nei libri di cucina. In una ricetta, hai delle informazioni in colonna, una sotto l'altra. Se c'è scritto di prendere lo zucchero, puoi decidere di prendere il sale. C'è però una sola "piccola" controindicazione: devi tenere conto che, se cambi gli ingredienti, il risultato sarà diverso da quello che la ricetta esigeva. Allo stesso modo, se leggi una partitura, hai informazioni musicali. Se ne comprendi il periodo storico, hai informazioni storiche. Se capisci cosa significa "fermata" per Mozart, cioè una piccola cadenza, vedi che è diverso da quello che Ciaikovski intendeva per "fermata". Solo usando nel modo corretto tutti gli «ingredienti» che la storia ti mette a disposizione, puoi dare senso alla musica. Altrimenti, si cade in errore.
Dunque la storia, per prima?
No. La musica resta comunque il primo argomento di studio. Il discorso è piuttosto sottile, mi spiego meglio: cos'è Beethoven? Non è contemporaneo, quindi è storico.
Il mondo della musica antica oggi è cambiato. Da un ristretto gruppo di accoliti animati dal sacro fuoco, alla competività e all'alto livello richiesto ai musicisti, spesso freneticamente assorti in un vortice di virtuosismo senza fondo. Possibile che un musicista oggi non possa avere altri interessi che il triplo staccato?
Certi musicisti potrebbero anche dedicare buona parte del loro tempo in modo più proficuo, magari gustandosi una buona cena, dormendo serenamente. L'atteggiamento arrivista e competitivo al parossismo è pericoloso, specialmente se il fatto di suonare diventa una specie di mania. Ma chi lo sa, potrebbe anche essere giusto. Io comunque, non condivido.
Forse il pubblico italiano non conosce i suoi molteplici interessi...
Si, è vero, ne ho molti, comunque tutti in un modo o nell'altro legati alla musica. Ultimamente, mi dedico alla musica del '900 non faccio più tanta musica antica come un tempo - mi occupo di musicologia, curando edizioni critiche e scrivendo saggi. Mi piace collezionare quadri, caricature, ceramiche, leggo molti libri di storia per approfondire il background musicale. mi interesso anche di cucina storica, non perché sia un gran cuoco, ma perché mi interessa il processo di ricezione dei libri di ricette, cosa la gente facesse con quei libri. (Una ricetta gastronomica non fa altro che fornire informazioni, proprio come una partitura. Quando la gente segue le indicazioni di una ricetta, fa in modo di esserle fedele nel modo più esatto possibile. Sarebbe bello che capitasse così anche nella musica: se un pezzo è previsto per clavicembalo, è opportuno non usare uno Steinway. Se è previsto un organo, non usare un sassofono. Se un'arpa, non un ottavino.) Mi piace molto l'architettura, l'arredamento, la lettura dei diari d'epoca, per sapere le storie relative alle vite di chi h ha scritti. E poi, una serie di altre cose: il buon vino, la Toscana, le storie della Maremma...
A proposito d'Italia, come si trova a lavorare nel Bel Paese? O meglio, uno che avesse detestato il "politically correct" le avrebbe chiesto: come trova lo stato della musica antica in Italia nell'anno del Signore 2004?
All'inizio dello studio dell'esecuzione su strumenti originali, in Italia c'erano ben poche persone ad occuparsene, anche se, a rigore di logica (è il luogo dove nasce la cantata, la sonata, ecc ... ), l'Italia avrebbe dovuto essere una delle nazioni leader di questo fenomeno culturale. Cominciarono invece l'Olanda, l'lrighilterra, L'Austria con Vienna. Tuttavia, in questi ultimi tempi ho visto gruppi italiani emergere con un buon senso del carattere. Io stesso suono talvolta con l'Arte dell'Arco di Federico Guglielmo, con cui ho registrato alcuni CD con musiche di Vivaldi. E' un gruppo molto energico, ha un modo di suonare molto vitale. L'unica cosa che mi meraviglia un po' in Italia sono le biblioteche. Ci sono ancora oggi innumerevoli informazioni custodite a Parma, Napoli, in Sicilia: si può trovare del materiale davvero interessante, quando lo si può vedere...
Spesso, a causa di orari impossibili (perché molte volte interrotti all'ora di pranzo), un musicologo non riesce ad organizzarsi un lavoro di ampio respiro...
Beh, in nessuna parte del mondo credo si possano trovare biblioteche con materiale d'archivio aperte fino a tarda sera con orario continuato, per motivi di protezione. La British Library, la Library of the Congress, la Bibliothèque National hanno un orario del tipo 9 - 18. Alle sei di sera devi andare a cena, non c'è scampo! Ci sono cataloghi, microfilm. Però è vero che in Italia spesso sembra piuttosto complesso...
Capita di dover lavorare molto in poco tempo a causa di orari che magari variano a seconda degli «impegni» del bibliotecario di turno...
Mi è capitato di stare in alcune biblioteche che chiudevano all'ora di pranzo per un'ora e mezza. Ho perfino chiesto all'addetto di chiudermi dentro durante l'orario di chiusura. Pensa che bello poter lavorare in totale solitudine quando tutti se ne sono andati via ... Ho persino pensato che le biblioteche che chiudono all'ora di pranzo abbiano una convenzione con alcuni ristoranti, dato che ad un certo punto sembrano volere che tutti vadano a mangiare per due ore come minimo! E' una abitudine italiana piuttosto primitiva. Così come è primitiva l'idiosincrasia per le fotocopie. Se vivi a Mosca, non puoi recarti in Italia ogni fine settimana. Puoi chiedere microfilm o fotocopie, pagandoli, e lavorare da casa. E' possibile, si fa in altre zone del mondo. Non capisco perché in certi ambienti debba essere un problema.
Alcuni critici identificano la categoria del "British" in musica, come qualcosa di freddo e inespressivo. Io al contrario credo che un inglese possa suonare con brio, freschezza ed entusiasmo. In una mia recensione alle Trio Sonata di Händel eseguite da Monica Huggett, ho parlato del suo modo di porgere come di un qualcosa di "Brightish" (e non "British", facendo un gioco diparole sulla vivacità ed il colore luminoso di questa violinista...
«Brightish»? Sembra una parola utile, grazie per aver allargato il vocabolario! Vedi, è una questione che riguarda i critici conservatori, cioè quelli che riconoscono profondità e serietà alla musica soltanto se vi identificanotre fattori: il vibrato, il suono forte, la lentezza. In realtà non è così semplice. Chi non capisce l'esecuzione storica, è portato a cercare e si aspetta la gravitas anche dove non c'è. Per esempio, in una cantata per soprano, forse non ho bisogno di tutto questo vibrato, e neppure di tanti tromboni e percussioni. Quando parlo di critica conservatrice mi riferisco a quelle persone che definiscono leggera la voce di Emma Kirkby. Nel valutarla, dovrebbero considerare molti altri fattori oltre al vibrato, che rimane invece l'unico segno in base al quale riconoscono la profondità e l'emozione. Un grande errore.
di Gregorio Carraro ("Orfeo", n.87, gennaio 2005)
1 commento:
molto interessante; amo in particolare Beethoven, gli ultimi quartetti.
Grazie Alessandra
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