Un aneddoto, una facezia e una riflessione, nell’ordine.
Dunque, Johannes Brahms e un Gustav Mahler giovincello passeggiano per un paese alpino. Quadro bucolico. Ponte di legno e un ruscello che scorre. Probabili armenti in lontananza, qualche nuovola a incappucciare le vette. I due si parlano guardando l’acqua, elemento musicalissimo del resto. “Vedete – dice più o meno Brahms, riprendendo la marcia - come il ruscello va verso il fiume, che poi a sua volta va al mare così anche la musica deve concludersi da qualche parte, si incammina verso il suo mare.” Mahler però non lo segue, rimane incantato a fissare il liquido elemento. “Che, fate? Non proseguite?” “E’ che sto aspettando la prossima onda – conclude Gustav”.
Aneddoto paradigmatico. Da un lato il conservatore, piuttosto rassegnato e apocalittico, dall’altro il giovane ed esuberante progressista che di lì a poco inonderà davvero torrenzialmente il mondo musicale. Simbolo di un fine secolo dove già si parlava di fine anche della musica.
La facezia. Commentando la questione plagio di un brano sanremese, un giornalista attribuisce ad Ennio Morricone la seguente affermazione. “Le combinazioni melodiche e armoniche sono esaurite. E’ inevitabile che ogni canzone ne richiami un’altra”. E giù paragoni a non finire e addirittura microascolti guidati di presunte scopiazzature.
La riflessione: forse con un’altra facezia, o almeno tale sembrerà ai professionisti del settore e ai colleghi frettolosi in cerca dello sfrigiolante clamore del pezzo da tg.
Solo in bocca a Brahms l’affermazione sulla fine della musica può essere plausibile, perché probabilmente alla sua morte, quel tipo di musica, di rigore etico, di compiutezza formale, di profondità umana, insomma quel mondo sonoro si è chiuso per sempre, lasciando un pertugio a qualche passante occasionale in serata di particolare vena. Ma quella musica lì, davvero è finita perché un altro Brahms non è più, ahinoi, nato.
Ma per fare musica le combinazioni sono realmente infinite. Non c’è matematica o calcolo infinitesimale che tenga. Le note sono dodici e in una disposizione verticale e nello spazio di una battuta le combinazioni che possono creare generano numeri vertiginosi perfino per l’animale che ha concepito la Matthäus-Passion, l’Eroica, la Sinfonia dei Mille e giù giù fino a Yesterday.
Non cerchiamo scuse per mascherare l’afasia e la dittatura delle playlist. Mancano le idee non le combinazioni. E che dire poi delle ulteriori immense varianti date dal ritmo, dal timbro, dall’espressione? Ecco comunque, per concludere, la facezia. Lo ricordate il motivetto lanciato dai tifosi della Roma e poi divenuto inno semiserio dei campioni del mondo, il famigerato po-po-po? Riascoltatevelo e poi andate a sentirvi il primo tema della quinta sinfonia di Anton Bruckner, immenso e da noi quasi misconosciuto musicista austriaco di fine Ottocento. Le note, gli intrevalli, la frase quasi nella sua interezza è identica. E io sfido qualasiasi filolgo, musicologo, audiologo o radiologo a dimostrarmi che il concetto musicale espresso lì è simile e che gli White Stripes hanno Bruckner nel loro i-pod. Delle due l’una: o basta un accento, un timbro, un atteggiamento espressivo a cambiare radicalmente la percezione anche della stessa catena di note oppure gli White Stripes hanno di nasacosto un palchetto alla Musikverein di Vienna con tanto di macchina del tempo. Voi che ne dite?
Dunque, Johannes Brahms e un Gustav Mahler giovincello passeggiano per un paese alpino. Quadro bucolico. Ponte di legno e un ruscello che scorre. Probabili armenti in lontananza, qualche nuovola a incappucciare le vette. I due si parlano guardando l’acqua, elemento musicalissimo del resto. “Vedete – dice più o meno Brahms, riprendendo la marcia - come il ruscello va verso il fiume, che poi a sua volta va al mare così anche la musica deve concludersi da qualche parte, si incammina verso il suo mare.” Mahler però non lo segue, rimane incantato a fissare il liquido elemento. “Che, fate? Non proseguite?” “E’ che sto aspettando la prossima onda – conclude Gustav”.
Aneddoto paradigmatico. Da un lato il conservatore, piuttosto rassegnato e apocalittico, dall’altro il giovane ed esuberante progressista che di lì a poco inonderà davvero torrenzialmente il mondo musicale. Simbolo di un fine secolo dove già si parlava di fine anche della musica.
La facezia. Commentando la questione plagio di un brano sanremese, un giornalista attribuisce ad Ennio Morricone la seguente affermazione. “Le combinazioni melodiche e armoniche sono esaurite. E’ inevitabile che ogni canzone ne richiami un’altra”. E giù paragoni a non finire e addirittura microascolti guidati di presunte scopiazzature.
La riflessione: forse con un’altra facezia, o almeno tale sembrerà ai professionisti del settore e ai colleghi frettolosi in cerca dello sfrigiolante clamore del pezzo da tg.
Solo in bocca a Brahms l’affermazione sulla fine della musica può essere plausibile, perché probabilmente alla sua morte, quel tipo di musica, di rigore etico, di compiutezza formale, di profondità umana, insomma quel mondo sonoro si è chiuso per sempre, lasciando un pertugio a qualche passante occasionale in serata di particolare vena. Ma quella musica lì, davvero è finita perché un altro Brahms non è più, ahinoi, nato.
Ma per fare musica le combinazioni sono realmente infinite. Non c’è matematica o calcolo infinitesimale che tenga. Le note sono dodici e in una disposizione verticale e nello spazio di una battuta le combinazioni che possono creare generano numeri vertiginosi perfino per l’animale che ha concepito la Matthäus-Passion, l’Eroica, la Sinfonia dei Mille e giù giù fino a Yesterday.
Non cerchiamo scuse per mascherare l’afasia e la dittatura delle playlist. Mancano le idee non le combinazioni. E che dire poi delle ulteriori immense varianti date dal ritmo, dal timbro, dall’espressione? Ecco comunque, per concludere, la facezia. Lo ricordate il motivetto lanciato dai tifosi della Roma e poi divenuto inno semiserio dei campioni del mondo, il famigerato po-po-po? Riascoltatevelo e poi andate a sentirvi il primo tema della quinta sinfonia di Anton Bruckner, immenso e da noi quasi misconosciuto musicista austriaco di fine Ottocento. Le note, gli intrevalli, la frase quasi nella sua interezza è identica. E io sfido qualasiasi filolgo, musicologo, audiologo o radiologo a dimostrarmi che il concetto musicale espresso lì è simile e che gli White Stripes hanno Bruckner nel loro i-pod. Delle due l’una: o basta un accento, un timbro, un atteggiamento espressivo a cambiare radicalmente la percezione anche della stessa catena di note oppure gli White Stripes hanno di nasacosto un palchetto alla Musikverein di Vienna con tanto di macchina del tempo. Voi che ne dite?
di Saverio Simonelli (http://www.altafedelta.tv)
1 commento:
Alcuni di noi sono tuoi affezionati lettori: grazie delle belle cose che scrivi!
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