Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

sabato, settembre 13, 2008

Anche gli dei muoiono:"Il crepuscolo" alla Scala

Il 7 dicembre 1998 dopo una assenza di 35 anni ritorna alla Scala "Il crepuscolo" di Wagner - Quest'opera che chiude il "Ring" ha in sé l'origine creativa dell' intera Tetralogia.

"Pensi", mi diceva qualche giorno fa un nuovo e attempato conoscente, "ho conosciuto direttamente Richard Strauss e Gabriele D'Annunzio". "Davvero? Incredibile!". Infatti si è colpiti da questo tendersi la mano nel tempo: dalla morte di D'Annunzio sono trascorsi sessant'anni, da quella di Strauss quarantanove. Basta che il nostro interlocutore abbia tra i settanta e gli ottant'anni, e che abbia avuto occasioni fortunate, ed è possibile. Comincia a diventare merce rara chi abbia conosciuto Furtwangler, morto nel 1954, e persino Stravinskij, scomparso nel 1971. Ma per i milanesi, un'ormai lontana esperienza è più rara dell'aver detto a Stravinskij: "Molto piacere, onoratissimo". É l'esperienza di chi narra: "Lo sai? Sono uno di quelli che hanno ascoltato alla Scala Il crepuscolo degli dei". Infatti, sono passati trentacinque anni. L'ultima Gotterdammerung scaligera, conclusiva dell'intero Ring rappresentato nella stagione 1962-63, andò in scena alla Scala, diretta da André Gluytens e con la regia di Heinz Tietjen, il 28 maggio 1963. Negli anni Settanta il ciclo nibelungico, scandito in annate successive, fu diretto da Wolfgang Sawallisch con la regia di Luca Ronconi, ma si arrestò a Siegfried (stagione 1974-75), per motivi ancora oggi alquanto misteriosi. Un brutto episodio nella storia della Scala. Un'intera generazione è stata privata della possibilità di vedere, a Milano, l'intero "Buhnenfestspiel" dalla vigilia (Das Rheingold) alla terza e ultima giornata in cui la peripezia drammatica si chiude, appunto, ad anello. Potrebbe anche nascere il sospetto che sotto il cielo di Milano gravi, su Gotterdammerung, una sorta di malaugurio, e il sospetto sarebbe giustificato dalle catastrofi che avvengono sulla scena. O forse è il diavolo, il vecchio diavolo armato di corna, coda e piede caprino, che sentendosi escluso dal mondo eddico e pagano-germanico malgrado la propria fisionomia nordica e gotica, e perciò ritenendosi offeso, si diverte ripetutamente a fare il suo mestiere di dia-bolos, ossia a tagliare la strada?.
Sciocche fantasie di malevoli. Riccardo Muti, che inaugurerà la stagione scaligera 1998-99 (ah, queste date che cominciano ad atterrirci con la loro fuga temporum!) dirigendo Gotterdammerung, è un direttore solare e vittorioso, e a lui tocca sfatare il maligno incantesimo. Certo, Gotterdammerung è un' opera che va maneggiata con ogni precauzione, più delle altre che con essa costituiscono il Ring. É qui che è custodito il segreto di fabbricazione. Un bel saggio di simbologia dei numeri, D'Artagnan und die Urteilstafel di Reinhard Brandt, uscito nel 1991 e ora tradotto in italiano da Feltrinelli, analizza un principio d'ordine della storia culturale d' Occidente, quello del numero tre cui si aggiunge un quarto elemento: potremmo definirlo una dialettizzazione della dialettica. Nel Ring wagneriano, detto anche "Tetralogia" con termine vulgato e impreciso, Gotterdammerung ha un apparente numero d'ordine: al quarto posto. In realtà, è la terza e ultima giornata (la prima è Die Walkure, la seconda Siegfried), poiché Das Rheingold è un prologo, anzi, come Wagner lo definì, una vigilia ("Vorabend"). Il quattro in superficie rivela il tre in profondità. Nelle tre giornate, lo schema che deriva dalla sequenza delle tre conclusioni (e quindi dei tre segni da attribuire alle rispettive trame - o, in senso aristotelico, "peripezie") è il seguente: tragedia con un barlume di speranza finale, vittoria, catastrofe. In termini astratti e formalizzati: negativo con possibilità di rovesciare il segno algebrico, affermativo, interamente negativo. Lo schema dialettico a sogni alternati è l'inverso di quello hegeliano: affermativo in cui si annida la negatività, negativo, negazione della negazione e quindi affermazione piena. La dialettica esattamente anti-hegeliana delle tre giornate nibelungiche entra a sua volta in dialettica con il vero quarto termine, che non è Gotterdammerung bensì la vigilia antecedente alle tre giornate, Das Rheingold. Il suggello anti-hegeliano (schopenhaueriano, per consapevole decisione di Wagner) delle tre giornate entra a sua volta in gioco dialettico con Das Rheingold: alla luce di quest' opera iniziale in un atto, ci si avvede che la conclusione di Gotterdammerung e dell'intero Ring è meno nihilistica di quanto apparirebbe se non prendessimo in esame il "Vorabend". Infatti, il rogo del Walhalla e del mondo non annienta tutto: intatto resta il fiume Reno, intatto e anzi restituito e riunificato in fulgente blocco l'oro già maledetto dal misfatto di Alberich e ora purificato e riconsacrato dalle fiamme, intatte le tre figlie del Reno con la loro maliziosa sensualità e le loro innocenti astuzie. Insomma, la natura si prende la rivincita sulla storia, e la peripezia dell'intero ciclo si chiude ad anello, poiché la realtà finale dell'esistente coincide con la realtà finale.
Tutto come in principio? Quasi. Resta una macchia, un graffio, una traccia della colpa e della corruzione che hanno condotto il mondo alla catastrofe, infettando anche l'innocenza dell' eroe Siegfried. Ne è simbolo musicale il rapporto di tonalità tra l'Alfa e l'Omega del Ring. L'introduzione orchestrale a Das Rheingold, e con essa quest'opera e l' intero ciclo tetralogico, si apre in Mi bemolle maggiore: è l'origine del cosmo, e il fluire dell'arpeggio in quella tonalità, con il Mi bemolle grave dei bassi in profondità, è il nascere della natura e delle sue forze primigenie. La tradizione battezzatrice, coltivata soprattutto da Hans von Wolzogen a partire dal 1876, definisce quell'arpeggio di Mi bemolle "Natur-Motiv". All'estremo opposto, Gotterdammerung si conclude in Re bemolle maggiore, dopo aver reiterato e ingigantito in immensa espansione il motivo della "Erlosung durch Liebe" (redenzione mediante amore). Questa discesa di un tono intero nell'adozione della tonalità ha un significato perentorio: il cosmo si è conservato nel suo nucleo aureo-acqueo-femminile, e forse potrebbe ricominciare in eterno ritorno (non volevamo alludere a Nietzsche, ma non ci dispiace averlo fatto: i dissidi tra uomini di genio vanno osservati con ironia), ma ricomincerebbe da un gradino più in basso. Il cosmo vive, muore e rinasce infinite volte, ma ogni volta il nuovo ciclo d'esistenza è impercettibilmente degradato, immiserito e umiliato. Nel teatro wagneriano il numero tre non soltanto è una costante presenza dialettica, ma si trasforma in urgenza estetica. I tre atti in cui, dopo Rienzi, ogni opera wagneriana si articola, sono una cifra, un contrassegno d'autore, di fronte alla consuetudine verdiana dei quattro atti, cui nell'ultimo Verdi soltanto il lavoro estremo, Falstaff, si sottrae. Ma proprio Gotterdammerung ha in sé il segreto di fabbricazione, la legge del tre più uno cui Reinhard Brandt ha dedicato il suo libro. Il paradosso numerico-estetico, la struttura "tetralogica" delle tre giornate precedute dalla vigilia, genera all'interno un processo imitativo a scatola cinese o a "matrioska", in cui la microstruttura riproduce la macrostruttura. Gotterdammerung è a sua volta, naturalmente, in tre atti, ma prima dei tre atti veri e propri c'è il Prologo ("Vorspiel"), costituito dalla scena delle tre Norne e dalla scena d'amore tra Siegfried e Brunnhilde: unica, per loro, poiché da allora in poi essi non si diranno mai più, entrambi viventi, parole d'amore. Ancora una volta, tre più uno. Così la peripezia di Gotterdammerung ripete in dimensioni concentrate l'arcata dell'intero Ring, e ciò è sottolineato da due connotati artistici. Il primo è la tonalità con cui Gotterdammerung (e perciò il Prologo) si apre, Mi bemolle minore: è il Mi bemolle maggiore che apre l'intero Ring e qui ritorna, tonalità aurorale, come ricomparsa più ombrosa, oscurata, nel modo minore, da una nebbia triste, minacciosa, appunto crepuscolare. Il secondo è il carattere di "nuovo inizio" (tristemente illusorio) che si insinua nel Prologo di Gotterdammerung. I due accordi iniziali, Mi bemolle minore e Do bemolle maggiore, costituiscono ciò che per tradizione i custodi del canone leitmotivico chiamano "motivo del risveglio". Insomma, Gotterdammerung è un Ring in miniatura ma dai colori immiseriti e rattristati. Il risveglio, se ascoltiamo l' ultima parte del Prologo ossia il dialogo tra Siegried e Brunnhilde, è in apparenza fresco, vitale e pieno di speranza; ma la scena delle Norne e della fune del destino spezzata, che precede la scena d'amore, esclude già a priori ogni illusione. Non basta: la serie di scatole cinesi ci invita a scendere ancora di un grado dimensionale. Il terzo e ultimo atto di Gotterdammerung è a sua volta una riproduzione in miniatura della miniatura: tre scene, precedute da un preludio. Anche qui, il quarto elemento che precede gli altri tre è contrassegnato da tre figure femminili: Woglinde, Wellgunde, Frosshilde, le figlie del Reno ora lamentose ma sempre pronte, all'occasione, a civettare con un uomo bello e forte com'è Siegfried. Esse rovesciano esteticamente le tre Norne che si associano al Prologo dell'intera opera, cioè della struttura immediatamente sovraordinata. La relazione si rivela perfetta, tanto da sorprendere, se ricordiamo che nella gigantesca struttura a sua volta sovraordinata a tutto, ossia il Ring, ancora tre figure femminili, le figlie del Reno non ancora lamentose se non dopo il furto dell'oro da parte di Alberich, inaugurano tutta la serie di monumentali personaggi. Se badiamo a questo modello archetipico, "le tre dell' inizio". Così il gioco di riapparizioni e di rovesciamenti estetici è davvero mirabile: le tre luminose, aggraziate e prive di conoscenza si collocano alternamente nella prima e nella terza delle presenze femminili ternarie, le tre oscure, solenni, tristi e dotate di fatale conoscenza si collocano al centro.
C'è un' altra, importantissima ragione per cui Gotterdammerung ha nel Ring una funzione speciale. La quarta opera è in realtà la prima, l'origine creativa. Wagner conobbe i miti nibelungici grazie all'opera, ancora recente quando egli era giovane, di due sommi germanisti cui si deve la reviviscenza di quei miti nella cultura tedesca dopo lungo oblio. Friedrich Heinrich von der Hagen (1780-1856) pubblicò l'edizione critica del poema tedesco medioevale Das Nibelungenlied tre anni prima della nascita di Wagner, e ancor prima, al pricipio del secolo, aveva scritto il saggio filologico preliminare zur Geschichte der Nibelungen ("per la storia dei Nibelunghi", 1800). Karl Simrock (1802-1876) pubblicò, quando Wagner era quattordicenne, una nuova edizione critica del Nibelungenlied (1827), emendata rispetto a quella di Hagen. Più tardi il compositore ebbe modo, grazie ad altri lavori di Simrock, di avvicinare le fonti eddiche. Delle due versioni dell'Edda, quella antica in versi, anonima, e quella del XIII secolo scritta da Snorri Sturluson in prosa, Simrock pubblicò una prima edizione a Stoccarda nel 1851. Da quell'arcaico e roccioso poema in lingua norrena (l'islandese antico in fase intermedia), Wagner utilizzò soprattutto la parte intitolata Volupsá ("La profezia della veggente"), in cui si parla dell'origine e della fine degli dèi e del mondo e si preannuncia il ragna rok, ossia, appunto, il "triste e crepuscolare fato" degli Asa, gli dèi luminosi del Walhalla, e dei mortali. Ciò che prima affascinò Wagner fu il nucleo narrativo-drammatico della morte di Siegfried (Sigurdhr nell'Edda, Sifrit nel Nibelungenlied). Il primissimo progetto preliminare, un canovaccio in prosa intitolato Die Nibelungensage e terminato il 4 ottobre 1848 con un nuovo titolo, Der Nibelungen-Mythus, si limitava alla vicenda di Siegfried alla corte dei Chibicunghi e all'uccisione dell'eroe da parte di Hagen. Ne nacque l'abbozzo in prosa del vero e proprio dramma, Siegfrieds Tod ("La morte di Siegfried"), scritto tra l'8 e il 20 ottobre 1848, e, come poema in versi, tra il 12 e il 28 novembre di quell'anno. Il dramma corrispondeva più o meno a ciò che poi fu Gotterdammerung. Poi, com'è noto, Wagner procedette quasi esattamente a ritroso nell' ideazione e nella sceneggiatura degli "antefatti", divenuti poi le altre tre opere del Ring. Solo un tratto della sequenza, la successione Der Raub des Rheingoldes ("Il furto dell'oro del Reno", poi intitolato Das Rheingold) e Die Walkure, seguì la cadenza cronologica degli eventi mitici. La composizione della musica seguì invece in tutto l'ordine delle quattro trame, dal Mi bemolle che apre il Ring sino al Re bemolle che conclude Gotterdammerung.
É ferrea, in quest' ultima opera più che nelle tre precedenti, l'immanenza del destino. Il cupo e strisciante Schicksalsmotiv ("motivo del destino"), più volte preannunciato sin dal Rheingold, qui assume un'urgenza minacciosa, che riempie ogni vuoto e ci preme da vicino. Già nel prologo, prima e durante la scena delle Norne, esso appare, a interrompere il "motivo del risveglio". Striscia tenebroso a metà della potente marcia funebre, durante il corteo di guerrieri che sollevano la salma dell'eroe ucciso. Destino e decadenza: tutti i personaggi, più volte apparsi nelle opere precedenti, sono in Gotterdammerung intristiti, oscurati o corrotti da qualcosa che prima non c'era, invecchiati. L'aura senile è onnipresente. In questo clima, tutto ciò che avviene per volontà dell'inconoscibile destino senza volto, del quale dèi e giganti e nibelunghi e uomini e le stesse Norne parlano con un brivido di sgomento, ha sempre il significato delle cose ultime. Quando, nel Prologo, la Norna più carica d'anni (di migliaia di secoli?) narra alle più "giovani" gli eventi sepolti nell' abissale passato e quelli tremendi fissati irrevocabilmente per il futuro (poi, dopo l'incendio universale, non ci sarà più né il futuro né il tempo), tuttavia, non si è ancora giunti all'irrevocabile, così come quando in Die Walkure Brunnhilde spera ancora, malgrado l'ineluttabile già scritto nelle rune, di salvare Siegmund. Nel momento in cui la fune d'oro si spezza nelle mani delle Norne, ed esse ripetono a catena: "Spezzata... spezzata... spezzata!", in quel momento si passa dall'ancora minimamente revocabile all'irrevocabile.

di Quirino Principe (Il Sole 24 Ore, 29/11/1998)

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