Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

giovedì, novembre 06, 2008

La "Missa Solemnis" secondo Harnoncourt

L'intera Messa è una preghiera per la pace.
Un'intervista con Nikolaus Hornoncourt.


Con la Missa solemnis Lei ha inaugurato il Festival di Solisburgo del 1992. Ha mai considerato l'eventualità di eseguire la Messa non al Festspielhaus, bensì in una chiesa?
No, sebbene io credo che Beethoven abbia scritto l'opera per l'uso liturgico. La funzione della musica sacra vale a dire l'attiva portecipazione alla solennità della messa, non è più conciliabile con un'odierna esecuzione in un festival. Ciò vorrebbe significare infatti che ciascun cantante, ciascun membro dell'orchestra, si venga o trovare per così dire a prendere porte consapevolmente alla liturgia. Ritengo che al giorno d'oggi sia problematico eseguire una simile composizione all'interno della messa. Al tempo di Beethoven era diverso. Allora per tutti i musicisti la messa domenicale in latino rappresentava una componente normale della
loro attività professionale e della loro religione.
Eppure già lo stesso Beethoven ha fatto sì che parti della Messa fossero eseguite nelle sale da concetto, ad esempio il giorno della prima esecuzione della sua Nona Sinfonia.
Per Beethoven ciò che contava era di presentare a Vienna l'opera, o quanto meno parti di essa. Ma poiché era severamente vietato eseguire anche solo delle parti della messa in un ambiente laico, Beethoven ha dovuto corredare queste parti di un testo in tedesco. Se si rispetta veramente il servizio divino, non è possibile semplicemente «presentare» queste forme, intrinsecamente religiose, dentro un'istituzione religiosa. Mi sembrerebbe infatti di fare come un turista che va nell'Africa centrale e che osservi i riti sacri delle popolazioni locali come una manifestazione folkloristica. Oggi si ha un rapporto completamente diverso con tutte le cose della religione.
Questa messa è stato scritta per l'uso all'interno della chiesa. L'occasione della composizione è venuta o Beethoven dalla cerimonia di insediamento a cardinale e arcivescovo di Olmütz del suo amico Arciduca Rodolfo. «Il giorno in cui una mia messa solenne dovesse venire eseguita per le festività di Sua Altezza Imperiale, sarà per me il più bello dello mia vita - scrive Beethoven all'inizio del 1819 - e Dio mi illuminerà, così che le mie deboli forze siano in grado di contribuire alla glorificazione di questo giorno solenne ... »
Finora il contesto liturgico della Missa solemnis è stato rodicalmente messo in discussione. Beethoven infatti tocca così velocemente le parole «Credo in unam sanctam, catholicam et apostolicam ecclesiam», che questo fatto è stato interpretato come una prova dell'atteggiamento di critica di Beethoven nei confronti del cattolicesimo o addirittura come un'espressione di dubbio verso la chiesa in generale.
Beethoven scrive molte parti della messa dilatando oltre modo la durata del testo, ma nel caso di passaggi porticolarmente intensi, dove evidentemente voleva una trasposizione altrettanto intensa della comprensione del testo, fa pronunciare le parole molto velocemente, perché solo in questo modo è possibile capire effettivamente queste frasi.
«Credo in unam sanctam catholicam et apostolicam ecclesiam». Il tenore conta il testo in un registro vocale nel quale può pronunciare le parole in maniera molto chiara. Le altre voci commentano nel frattempo: credo, credo, credo. Beethoven conosceva assai bene il significato dei testi e sapeva anche che in questo caso «catholicam» non significa la chiesa di Roma, ma la chiesa «universale», come del resto è anche il caso della Messa in si minore di Bach. Beethoven inoltre ha scritto nella partituro del Credo: «Dio sopra tutto - Dio non mi ha mai abbandonato». Nessun ateo parlerebbe in questa maniera. Questo voler distinguere a ogni costo se Beethoven era o non era fedele alla chiesa, mi sembra veramente privo di senso. Il problema non è infatti se l'autorità del papa venga riconosciuto da Beethoven oppure no, il problema è piuttosto se un ateo possa scrivere una messa. Sappiamo troppo poco della religiosità di Beethoven. Conosciamo molte sue dichiarazioni in proposito della sua fede in Dio, che deve essere stata molto forte. Beethoven ha espresso una grande fiducia e una sorta di amore in Dio quasi infantile. Quanto ciò fosse conforme alla dottrina della chiesa, non è però dato di saperlo.
Beethoven ha scritto: «Dal cuore Posso nuovamente - Tornare al cuore!». A Salisburgo abbiamo visto come Lei, con la suo esecuzione, sia riuscito a parlare direttamente agli uomini.
E' difficile parlare di ciò. Beethoven utilizza un linguaggio musicale che ci tocca da vicino, non gira intorno ai vocaboli, alle parole. Tuttavia cercare di esprimere questo fenomeno usando una terminologia scientifica, secondo la mia impressione, non renderebbe ragione della magia della cosa.
Può farci degli esempi?
Ci sono dei passaggi evidentissimi, in cui improvvisamente una contante rallenta o accelera il tempo o addirittura lo abbandona completamente, mettendosi a gridare; in quel punto si percepisce veramente come gli orrori della guerra siano presenti. E come un grido di pace in forma di recitativo, poi il tutto si ricompone e si ritorno alla preghiera. Ciò è di una tale forza retorica, che la stessa parola retorica mi sembra giò troppo concettuale.
Un punto cruciale della composizione è rappresentato dal recitativo nell'Agnus Dei (da battuta 164). All'inizio la musica tace del tutto, poi si sentono unicamente dei secchi colpi di timpano. Nessuno ha più dubbi: siamo in guerra. Siamo in un luogo di orrore. Subito dopo le trombe eseguono un richiamo, sottovoce e minaccioso, mentre gli archi suonano una figura sfuggente, che non riesco di tradurre altrimenti che come pelle d'oca, pelle d'oca tradotta in musica. Dopo di ciò il contralto grida («timidamente», scrive Beethoven nella sua partitura): «Agnus Dei - miserere nobis». Questo grido percorre tutte le voci soliste e si risolve finalmente in una calma assoluto, in una musica ben ordinata: «dona nobis pacem». Questo passaggio è uno dei più stroordinari di tutto la Missa. Esso imprime timore e nell'esecuzione di Salisburgo è stato sentito esattamente in questa moniera, quasi tutti hanno dovuto infatti pensare in quel momento agli orrori attuali. L'intera Missa è una preghiera per la pace.
Già all'inizio della messa, nel «Christe eleison», mi sembra di cogliere ciò e percepisco esattamente dove tutto ciò vad a poarare. «Miserere nobis» ed «eleison» significano infatti la stessa cosa: abbi pietà di noi, aiutaci. Già nel «Christe eleison» quindi posso trarre degli spunti: chi prega in questa maniera, può essere sicuro che la montagna che fino a ieri stava davanti a lui domani si sarà spostato a sinistra, un chilometro più in là. La preghiera, la fede, possono muovere infatti le montagne.
Successivamente ritorna ancora un passaggio simile: è il più veloce in assoluto della messa, dopo il «Dona nobis pocem» nell'Agnus Dei (b. 266). Si tratto di uno di quelle sezioni, per via delle quali la Misso solemnis è stata erroneamente tacciata di essere un'opera profana. Alla fine questo passo (si tratto quasi di una musica di battaglia) il coro grida disperato, velocissimo, «Agnus, agnus Dei». Di solito nella musica sacra l'Agnus Dei non viene gridato, ma piuttosto eseguito con un tono semplice e compunto. Questo grido si riferisce dunque, come già era nell'aria, alla guerra e alla musica di guerra. Agnello di Dio, dona o noi la pace! Il grido si trasforma direttamente in preghiera: Dona pacem. Beethoven ha scritto alla battuta 96 dell'Agnus Dei: «Preghiera per la pace interiore ed esteriore.» La pace esteriore significa l'assenza di guerra. Io credo che in questo primo passaggio delle trombe e dei timpani (Agnus Dei, da battuta 164) si tratti della pace esteriore. All'orizzonte si vede una città in fiamme, o qualcosa del genere. La pace interiore significa invece sicuramente la libertà dai conflitti interiori e viene rappresentata dal secondo passaggio (Agnus Dei, battuta 266 e segg.) come un dissidio interiore, che spinge a pregare per la pace interiore.
Il passo che Lei ha definito il più veloce dell'intero pezzo, rappresenta un punto cruciale anche per lo scelto dei tempi?
In un certo senso sì. Beethoven ho impiegato in questa composizione molti tempi differenti, poco meno di quanti ne usa Mozart in un'opera intera. In Mozart però, in quasi tutte le grandi composizioni, c'è una drammaturgia temporale costruita su un tempo base, al quale Mozart ritorna continuamente. Nella Missa solemnis invece quasi ogni tempo compare solo una volta in un solo pezzo.
Beethoven si è sforzato al massimo di descrivere esattamente i tempi. «Mit Andocht (con raccoglimento), assai sostenuto; Allegro ma non troppo e ben marcato; Andante molto contabile e non troppo mosso». Uno solo parola dunque non gli basta, bisogno dare un'indicazione ancora più precisa: non troppo veloce e non troppo lento, ciononostante continua ad avere paura che anche questo non sia abbastanza esplicito. La chiarezza delle indicazioni metronomiche, di cui Beethoven ha fatto uso nelle sinfonie, sembra non interessarlo invece nella Missa solemnis; forse perché gli apparivano troppo rigide, troppo inespressive?
Nelle mie esecuzioni i tempi possono essere giudicati solamente nel loro complesso. Modificare il tempo di una singola sezione non sarebbe affatto possibile. Ciò trascinerebbe con sé immediatamente anche tutto ciò che viene prima e dopo. E' come in un soffitto a volto, dove i mattoni vengono disposti esattamente con uno leggera forma conica. Se si toglie un solo mattone, la volta crolla giù.
Spesso si rimprovera a Beethoven di aver strumentato male e per questo non di rado lo si è voluto «correggere».
In Mozart la strumentozione può essere lasciata così com'è, in Haydn pure, si dice generalmente. Per quale motivo allora il povero Beethoven, solo perché era sordo, viene rimproverato di aver strumentato in maniera insoddisfacente, questo proprio non riesco o capirlo. Beethoven ha avuto un orecchio dotato di una capacità immoginativa favolosa. Me ne rendo conto ad ogni prova d'orchestra.
E' molto difficile eseguire la sua strumentazione; ma sarebbe assai meglio evitare di aggirare le difficoltà che si incontrano modificando la strumentazione, di solito non si tratta affatto di miglioramenti, bensì di peggioramenti. Personalmente ritengo che quanto sta scritto in partitura sia anche in assoluto la cosa migliore; queste «correzioni», che hanno sempre un che di scolastico, vengono generalmente giustificate col fatto che se Beethoven avesse avuto a disposizione le possibilità degli strumenti moderni (come ad esempio 'i corni a pistoni), avrebbe scritto sicuramente in maniera differente. Personalmente credo che se egli avesse avuto a disposizione gli strumenti moderni, la Missa avrebbe un aspetto totalmente differente.
Allora anche nelle parti vocali avrebbe potuto fare qualcosa di diverso, come ad esempio evitare di scrivere nel coro note così acute. Quanto meno avrebbe potuto scrivere delle parti un poco più in basso, oppure avrebbe potuto scegliere altre tonalità, così che tutto sarebbe risultato eseguibile senza fatica e scorrevolmente. La fatica che si percepisce, lo sforzo e persino il fallimento costituiscono un elemento essenziale della maniera di comporre beethoveniona.
Beethoven quindi richiede che ci si spinga fino all'estremo?
Sì, e richiede persino di superare i propri limiti, di mostrare che più di così non si può. Lo sforzo, la tensione estremo, tutto ciò ha un effetto incredibile. Non capisco perché oggi tutto ciò non venga affatto compreso, nonostante si sappia perfettamente che tutto, persino la gestualità, è parte integrante dell'arte. Il mostrare i miei limiti non significa affatto che io arrivo solamente fino a dove posso. Posso riconoscere il mio limite solamente se lo oltrepasso.
I musicisti devono comprendere questo fatto e cercare di tradurlo in musica.
Devono volerlo, così come devono volerlo gli ascoltatori. Tutti questi messaggi, veramente beethoveniani e che sono ciò che sta alla base dell'assoluta immediatezza dell'opera, vanno totalmente perduti se li si cerca di levigare e se, per fare un esempio, si cercano per il coro solamente contanti in grado di eseguire con facilità le note acute, Certamente a quel punto l'ascoltatore non percepisce più lo sforzo, ma anche il significato della fatica, dello sforzo, vanno perduti. Si può pulire, lucidare e levigare quanto si vuole, ma così si finisce anche per trasformare la composizione. Proprio l'elemento conflittuale, il carattere essenzialmente di opposizione dell'arte di Beethoven verrebbe ad essere offuscata in tale maniera.
La Missa solemnis è conosciuta come un'opera piuttosto fragorosa e monumentale. Nella sua interpretazione compaiono anche molti piano, ad esempio Lei per ampi tratti fa cantare il Sanctus non dal coro, ma dai solisti.
Si può costruire il pezzo anche partendo dal silenzio. A mio avviso lo Missa solemnis non è affatto un pezzo che deve fare fracasso, ma al contrario un'opera con dei gradi d'intensità assai differenziati. Ai solisti, al coro e all'orchestra viene continuamente richiesto di forsi da parte e di lasciar trasparire la tessitura musicale. La partitura è assai complicata; se io faccio cantare più forte tutti coloro che devono essere sentiti, alla fine ottengo unicamente un gran fracasso generale, nel quale non si riesce a distinguere più nulla. Devo invece lasciare col loro grado di intensità quelle voci che sono in primo piano e mettere tutto il resto in relazione ad esse.
Il «Pleni sunt coeli» nel Sanctus viene cantato dai solisti, come prescrive Beethoven. Il testo dice: «I cieli sono pieni della Tua gloria» e per «pieni» si pensa a cento o duecento persone che cantano, immaginandosi per così dire un esercito celeste. L'effetto è invece particolarmente forte se a cantare sono solamente i solisti, come se fossero degli osservatori stupiti, accompagnati da un'orchestra quasi di stampo borocco-bachiano.
La Chamber Orchestra of Europe suono solitamente con strumenti moderni, ma qui Lei ha sostituito alcuni strumenti con strumenti «storici».
Tra gli strumenti che si usano oggi, le trombe, i timpani e i tromboni sono particolarmente controindicati per la musica del periodo classico. I tromboni moderni esistono da più o meno 140 anni; Wagner ad esempio li riteneva inadeguati per le sue prime opere. Come possono allora essere buoni per Beethoven? Il loro suono ho troppo spessore e inoltre suonano troppo lentamente per poter lasciare trasparire la tessitura musicale. Per questo motivo abbiamo preferito usare dei tromboni di dimensioni più ridotte,
I timpani che si usano oggi solitamente nell'orchestra hanno invece una risonanza interna troppo grande e per quanto si cerchi di smorzarli, essi continuano sempre a risuonare troppo a lungo. La chiarezza dei colpi, qui assolutamente necessario, non si riesce ad ottenere con i timpani moderni. Per questo motivo siamo ricorsi o dei timpani più antichi e di dimensioni minori.
Inoltre abbiamo usato al posto delle trombe a pistoni le trombe naturali. Le trombe naturali non devono essere suonate con tanto energia per emettere un suono squillante. La tromba ha la sua propria retorica e le figure simili a fanfare devono pertanto essere squillanti. Ma le trombe moderne devono essere suonate molto forte per ottenere un timbro squillante. Con le trombe antiche invece basta già un mezzoforte, non bisogno mai suonare più forte di quello che sta scritto nella partitura e si ha inoltre la precisione negli attacchi.
Una volta Lei ha definito le partiture di Beethoven come dei «selvaggi quaderni di lavoro». Anche nel caso della Missa solemnis, Beethoven ha fatto continuamente delle correzioni. Quale fonte Lei ha utilizzato allora?
La mia fonte principale è stata una copia manoscritta della partitura autograta corretta da Beethoven. Le persone in grado di leggere le partiture scritte da Beethoven erano sempre poche. Beethoven stesso preferiva portare avanti il lavoro su delle copie pulite. Questo significa che alcune correzioni fondamentali fatte da Beethoven non si trovano nell'autografo, bensì nelle copie o nelle prime edizioni.
Oltre a ciò un ruolo fondamentale ha avuto anche tutto quanto io stesso sono riuscito a sapere sulla Missa solemnis. Ad esempio ho trovato nei quaderni di conversazione, che per me rappresentano in assoluto la lettura più appassionante che si possa fare su Beethoven, una serie di annotazioni risalenti al periodo delle prove. Da ciò che vi si legge posso ricostruire esattamente le sue conversazioni. Rinasce allora sotto i miei occhi, con una concretezza incredibile, l'atmosfera del lavoro e l'atmosfera delle prove; inoltre ottengo così delle informazioni sulla musica di altissimo valore. Tutto ciò è molto interessante, quasi come se venissi catapultato nel bel mezzo del lavoro di prova dell'ambiente che stava intorno a Beethoven.
intervista di Margarete Zander (traduzione di Marco Marica)

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