Reggio Emilia. Abbiamo rilevato recentemente che il teatro handeliano, nonostante la struttura rigida dell'opera, riesce qualche volta a definire caratteri precisi, e abbiamo citato il caso di Rinaldo. Come può succedere che si definisca un carattere se l'opera rimane anche in questo caso una struttura paratattica di recitativi e arie, se i personaggi raramente si trovano a dialogare tra loro e se isolatamente espongono sempre e soltanto i propri momentanei affetti? Non sarà un caso se in quest'opera si dibattono questioni di magia (amatissima questione per il barocco letterario e musicale). In Rinaldo è proprio l'elemento magico, e dunque quello più astratto, che paradossalmente porta al carattere. Armida è una maga, come è mago Argante; ma Armida, aspirando agli amori di Rinaldo, si trasforma nell'amata di lui Almirena, poi torna maga, infine, vinta da Rinaldo e Goffredo, si fa cristiana e rinuncia alle pratiche magiche. Armida insomma entra e esce dal suo personaggio di maga e assume ogni volta i connotati che il ruolo sempre nuovo le impone: restando, comunque, sempre devota all'inganno. Ma Armida, con i suoi inganni, trascina sulla sua strada anche gli altri personaggi: Rinaldo sta (per effetto di magia) e non sta (per tenace deliberazione) al gioco di Armida e anche lui diventa un personaggio articolato. Ma a uno sguardo complessivo, la prima opera hndeliana per Londra (1711) è in ogni senso eccezionale: davvero Handel si presentava al pubblico britannico con un biglietto da visita formidabile. La straordinaria varietà delle arie, la bellezza della strumentazione inchiodano lo spettatore a un teatro di qualità che verrà superato solo da Mozart. Si pensi all'uso degli strumenti concertanti: oboe e fagotto, violino e fagotto, cembalo solo, quattro trombe, contrabbasso, flauti. E si pensi alla varietà delle forme che rompono la monotonia dell'aria italiana introducendo sarabande, gavotte, ariosi; o all'adozione impropria della forma col da capo ottenuta separando la ripresa con episodi diversi e insospettati (l'aria di battaglia di Rinaldo, spezzata appunto dalla battaglia). Insomma, un'opera bellissima, che giustifica l'impegno indubbiamente rilevante dell'allestimento dell'Ater in coproduzione con lo Chtelet di Parigi. L'esecuzione musicale ha un po' sofferto dell'appiattimento dinamico imposto dal direttore Charles Frederik Farncombe (che è anche il revisore della partitura). Per fortuna Farncombe ha vivissimo il senso dei tempi, e questo certamente contribuisce a superare l'imbarazzo dell'esecuzione. Una lode va comunque all'orchestra Toscanini non solo dotata di strumentisti di prim'ordine, come s'è avvertito nelle arie con strumenti obbligati, ma tutto sommato attendibile pur nella tecnica moderna dell'approccio. In palcoscenico si facevano apprezzare soprattutto la tenera Almirena di Benita Valente e il Rinaldo di Cynthia Clarey, impeccabili anche nelle fioriture. James Bowman era il controtenore preciso ma stucchevole incaricato del ruolo di Goffredo. Elizabeth Pruett era una colorita Armida. Simone Alaimo era Argante, ma in tale ruolo non aggiunge nulla alla sua notorietà. Ma c'era un vero grande avvenimento, ed era quello scenico. Pierluigi Pizzi parte da una parete barocca che sostituisce il sipario, con porta centrale e nicchie laterali. Come comincia l'opera le nicchie svelano le statue di Rinaldo e Goffredo, la parte si sposta verso il fondo e apre spazi variabili di lucidi neri e decorazioni dorate. I personaggi sono visti e realizzati secondo un concetto marmoreo di statua barocca: non si muovono mai ma vengono mossi. Ognuno sta su una pedana mobile sospinta da mimi vestiti di nero. Ormai la capacità di Pizzi nel costruire macchine teatrali è diventata virtuosismo. Gli spostamenti sono continui e danno veramente il senso di una continua macchina barocca. Se anche i personaggi non si spostano, i grandissimi mantelli screziati vengono agitati e riempiti d'aria (che è poi un altro modo per rendere la vaporosità e l'artificiosità del teatro barocco). C'è anche il mare con i flutti bianchi e "l'orrido sasso" sul quale vive Armida ed è un monte luciferino di nera pece. Campaiono cavalli, draghi, barche, sirene e si muovono con assoluta precisione come in un balletto. Se il momento più spettacolare viene raggiunto nella scena della battaglia, con le gabbie che sorreggono cavalli e cavalieri che si intersecano e si inseguono velocemente, altri momenti strappano, giustamente, l'applauso a scena aperta. E i bravissimi mimi che agiscono lo spettacolo sono sempre in vista, realizzando così il meraviglioso con tutti i suoi trucchi. Che è poi un modo moderno e intelligente per riproporre un teatro vivissimo altrimenti incomprensibile. Successo clamoroso.
Michelangelo Zurletti (Repubblica, 7 febbraio 1985)
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