Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

mercoledì, marzo 18, 2009

Gustav Leonhardt: il dono delle belle cose

Tranquillo, nel soggiorno aperto sul giardino sapientemente ordinato della sua casa d’Amsterdam, il maestro ricorda i suoi esordi e la morale interpretativa che l’ha sempre guidato.

Come scoperto il clavicembalo, da bambino, alla fine degli anni Trenta?
Grazie ai miei genitori. Facevamo musica da camera in famiglia quasi tutte le sere, spesso delle sonate barocche, e siccome occupavo la parte del continuo hanno acquistato un piccolo clavicembalo ‘moderno’. Avevo dieci anni. A dodici ero convinto che Bach fosse il non plus ultra.
E che bisognava suonarlo al clavicembalo…
Non ancora. Ma nel 1943 ho dovuto restare un anno intero in casa, quando la guerra ha paralizzato l’Olanda. Eravamo in campagna senza acqua né elettricità, le scuole erano chiuse e bisognava nascondersi dai soldati tedeschi, allora passavo le mie giornate a suonare, accordare e cercare di sistemare questo clavicembalo. Ero affascinato. E assai deciso a diventare musicista per dedicarmi a Bach. Era ingenuo, manicheo: Bach contro tutto il resto, il clavicembalo contro il pianoforte, Bach al clavicembalo. In realtà questo modello era spaventoso, ma mi colpiva. Vai a capire…
Conosceva le registrazioni della Landowska?
Era il mio idolo. Annotavo i suoi fraseggi, le sue registrazioni, le sue sfumature, i suoi staccati
stupefacenti… Bianco e nero, anche qui: la Landowska stava dal lato buono. In seguito ho fatto le mie ricerche, e ho dimenticato tutto ciò. Recentemente ho ascoltato uno dei suoi vecchi dischi… l’ho trovato tremendo. Così artificiale. Pensa soltanto a sé stessa. Come ho potuto amare ciò? Ma siamo giusti: è il suo formidabile lavoro di difesa e di valorizzazione del clavicembalo che ci ha aperto la via e permesso di passare ad altro.
Quindi nel 1947 parte per la Schola Cantorum di Basilea…
Era l’unico posto per studiare seriamente questo repertorio. Ho studiato tre anni con Eduard Müller che m’insegnava anche organo. Allora si suonavano clavicembali moderni.
Ed è ancora su un Neupert che comincia a registrare, all’inizio degli anni Cinquanta. Vanguard ha appena ristampato un recital Frescobaldi del 1952: il vostro primo disco?
Credo, ma non ne parli. Un peccato di gioventù, orribile.
Però è importante, un primo disco…
Come potrebbe essere importante una cosa che non è bella?
Certo… Ricorda il primo strumento storico che ha suonato?
In un primo tempo sono stati organi. Poi due clavicembali inglesi, in una collezione inglese: un Kirkmann e un Shudi. Una rivelazione, quelle sonorità, quella ‘curva’ nel suono. Nulla a che vedere con ciò che conoscevo. Ho cominciato a capire in quel momento quello che si può ottenere in modo abbastanza naturale da un clavicembalo. Diversi costruttori si lanciavano nella stessa epoca nella realizzazione di copie fedeli – più o meno. Skowroneck era uno dei primi, c’erano anche Hubbard e Dowd in America, e Schütze.
Nel 1954 registra quel celebre album Bach con Harnoncourt e Deller. Cosa ha imparato da Deller?
Il testo. Per lui, il canto era lì soltanto per aiutare il testo. Per intensificarlo. Era unico, ed è sempre rarissimo coi cantanti. «Music for a while…» Sento ancora Deller nella mia memoria, e non è la melodia che mi rimane, sono le parole che emergono. Formidabile! Anche Fischer-Dieskau aveva questo in Schubert.
È per vanità che gli altri danno più importanza al loro timbro, o alla linea vocale?
Boh, è stupido. E le critiche dicono «che voce meravigliosa». Sempre voce, voce, voce. La buona musica non è fatta per questo. È così raro poter capire tutto quello che si canta all’opera senza avere un libretto sott’occhio.
L’anno scorso ha registrato due delle sue cantate profane [BWV30a e 207]. Delle opere che alla fin fine si eseguono molto poco.
E non capisco proprio perché. La musica è tanto bella quanto quella delle cantate sacre.
La scrittura è la stessa?
Credo di sì. Per Bach la musica è la musica. Essa può servire il prossimo o Dio, procurare piacere o edificare; è sempre così impegnata. Ed è proprio questo che la rende così difficile da eseguire. Tutto è così presente, così determinato in lui.
È sconcertante, però, vederlo riprendere un’opera [BWV 30a] che glorifica il potere di un principe e la bellezza del suo castello per farne una cantata per San Giovanni Battista [BWV30]? C’è anche quell’aria per contralto che canta i piaceri… e nella seconda versione esorta i peccatori a rispondere alla chiamata del Salvatore!
Si resta spesso sorpresi con Bach. Non si può spiegare, si può soltanto constatare. Si deve accettare questo, e io l’accetto. È pericoloso voler spiegare tutto. Detto ciò, guardi come la sua scrittura è concentrata sul testo, sempre. Si tratta di dargli attraverso la musica un contorno ancora più nitido, eloquente. Per lui è più importante dell’atmosfera, ed è per questa ragione che ha potuto riprendere alcune opere plasmando delle nuove parole su quel ‘disegno’ molto preciso.
Precisione del testo, precisione del tratto dunque delle linee che si sovrappongono, trasparenza della polifonia, queste tre qualità vanno insieme?
Ma sì. E spero che tutti cerchino questa trasparenza. Le voci intermedie hanno una tale qualità in Bach! Lui stesso diceva che la sua musica è molto «intricat», intricata, compatta. Bisogna restituirle la sua leggibilità, non far sentire soltanto il soprano, il basso e un morbido ripieno in mezzo.
Il risultato è impressionante nel primo coro della Cantata BWV 207: l’organico è ben fornito ma nulla è opaco nella sua interpretazione, tutto è leggibile grazie ad un’articolazione che ‘parla’ parecchio, serrata, molto articolata. Nettamente di più che in quasi tutti i suoi colleghi…
Sono felice che lo apprezzi. Certo nessuno sa con precisione come suonasse Bach, ma indica spesso delle articolazioni dettagliate, per esempio tre semicrome legate e la quarta staccata, pa-ri-la-pa. pa-ri-la-pa ecc., e spesso, confesso, sento dei gruppi che trascurano un po’ questo, come se avessero paura di quelle piccole precisazioni che vanno contro un senso melodico e adulatorio. Bisogna leggere bene le partiture di Bach. Lei parlava dell’aria di contralto della BWV 30a: egli annota un’articolazione differente quando i violini suonano il tema principale e quando la voce lo riprende. Se non l’avesse fatto, avrei semplicemente ricalcato la frase dei violini su quella del canto. Si crede di capire Bach, ci si sbaglia. È sempre diverso.
Philippe Herreweghe, che conosce bene, ha un approccio sensibilmente diverso a Bach, cerca di fondere maggiormente la tessitura, ammorbidisce le frasi e dà più importanza alle atmosfere, cerca di ‘proiettare’ meno il testo perché ritiene che circoli in seno alla comunità dei credenti…
È vero. La Riforma della chiesa che è cominciata cinque secoli fa non è ancora finita. Constato molto spesso che i cattolici oggi sono molto diversi dai protestanti. Con noi, le cose devono essere piuttosto dirette: è hic et nunc, è per te, ascolta.
Ha anche dovuto ascoltare quei complessi che si sono fatti un nome suonando tutto molto veloce sotto una salsa di crescendo-diminuendo…
Sì, sì… È così. Ci sono contrasti in ogni epoca, gente che suona in modo magnifico e rapido, magnifico e lento, mediocre e rapido, mediocre e lento… Ed è vero, Carl Philipp ci ha detto che suo padre prendeva dei tempi piuttosto vivaci. Ma tutto è relativo in questo tipo di testimonianza: si può soltanto dedurne che non era né noioso né pesante. Non si sa. Non si sa nemmeno per gli italiani. Ascolto oggi delle letture molto sofisticate di Locatelli o Vivaldi: mi chiedo se questi grandi solisti non fossero al contrario dei bruti, che suonavano con tutte le forze per suscitare gli applausi. C'era un cultura alta o una cultura bassa destinata alle folle – già a quell’epoca.
Lei ha regolarmente condannato la schizofrenia dell’opera barocca, con i suoi registi insensibili al lavoro filologico sulla musica. Immagino che Il borghese gentiluomo di Benjamin Lazar l’abbia convinto…
Era meraviglioso. Spero che questo spettacolo abbia tutto il seguito che si merita. C’era una tale evidenza, un’unità per l’occhio e per l’orecchio. In fondo, è semplicemente ‘normale’. Se si sceglie di rappresentare un’opera concepita da un’artista, si deve rispettarla. È il minimo. Si possono anche commissionare delle opere nuove, persino volgari, perché no.
Ha spesso parlato della sua scarsa affezione per il secolo di Beethoven e di Berlioz, ma perché suonare così poco Mozart e Haydn?
Non ho quasi registrato la loro musica ma ho avuto regolarmente l’occasione di dirigere delle sinfonie con l’Orchestre of the Age of Enlightenment, per me è stata una grande fortuna! Che musica! Haydn mi sembra più debole, lasciamo stare. Ma come sa non ho orchestra, dipende
dunque dagli inviti. Il repertorio per tastiera è un altro problema: non amo il fortepiano.
Anche i fortepiani contemporanei di Bach? Penso alle bellissime copie da Cristofori e Silbermann che si cominciano a realizzare…
È il principio del fortepiano che mi disturba, la sua meccanica indiretta. Ho l’impressione di lanciare una palla contro un muro misurando l’effetto perché rimbalzi alla giusta distanza. Ciò permette delle cose assai belle ma sacrificando il contatto con la corda che si prova al clavicembalo. La si tocca quasi, è una meraviglia. Sa, sono molto fortunato, adoro la musica, ancora, e il mio strumento. E quando vedo che certe persone vogliono ascoltarci, sono molto felice.

Intervista tratta da Diapason (maggio 2008)

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