Pregi e difetti della più recente rivisitazione della «Passione secondo Matteo» diretta da Nikolaus Harnoncourt. Pur non avvicinandosi in modo 'autentico' alla pratica esecutiva propria di Bach, rimane indubbia l'incantevole esecuzione del Concentus Musicus; non impeccabile nelle parti corali, ma sbalorditiva nella caratterizzazione dei personaggi principali. Il posto d'onore all'intepretazione di Bernarda Fink nelle arie da contralto.
Recentemente ho avuto una serie di stimolanti scambi di opnioni con uno tra gli scrittori più percettivi, Bernard D. Sherman, circa le opere sacre di Bach. Sherman, il quale stava scrivendo un articolo sull'approccio cristiano di Masaaki Suzuki nei confronti di Bach, era interessato a quei problemi dovuti a ciò che egli definisce «nuovi problemi di autenticità». Essi gravitano attorno alla spinosa questione di come l'universalità della musica sacra di Bach possa essere riconciliata con la sua intrinseca filosofia cristiana luterana. Sherman è particolarmente infastidito dal fatto che affermazioni circa «i vantaggi per gli interpreti cristiani di Bach», (come ad esempio Suzuki ed Herreweghe), comportino una situazione di «disagio per molti di noi». Ho sfiorato questi argomenti allorché ho recensito una registrazione della Passione secondo Matteo diretta da Suzuki, forse anche causando involontariamente il disagio di Sherman (e di altri indubbiamente), poichè sostenevo che la cristianità di Suzuki nella sua registrazione è chiaramente formale. Dico inavvertitamente, in quanto sebbene il mio personale approccio alle opere sacre di Bach avvenga attraverso la stessa fede, non potrei affermare la loro esclusività cristiana più di quanto non lo faccia in effetti lo stesso Suzuki. Soprattutto, la Passione secondo Matteo, per quanto molti di noi credano ispirata dal divino, rimane (probabilmente) il monumento trascendente della civiltà occidentale. Dunque dove si colloca la nuova registrazione di Harnoncourt nello schema delle cose? Ad essere sincero, non so se egli affronti Bach dal punto di vista cristiano oppure no. Sospetto di sì, ma la stessa registrazione ci dice qualcosa sulla sua interpretazione, che è meno dichiaratamente «spirituale» e più drammatica di quella di Suzuki, proprio come quelle di Herreweghe. Indubbia è la devozione di Harnoncourt per Bach in generale, ed in particolare per la Passione secondo Matteo. Questa è la sua terza registrazione di quest'opera, dopo le versioni realizzate nel 1971 e nel 1985. Paradossalmente, in termini di «autenticità» musicale, è la registrazione più datata ad avvicinarsi di più alla pratica esecutiva propria di Bach (lasciando da parte per il momento l'acceso dibattito sui cori con una sola voce per sezione) mediante l'impiego di gruppi vocali esclusivamente maschili. A quel tempo essa veniva giustamente acclamata come una luce radicalmente nuova su quest'opera, oggi i limiti inerenti nell'usare fanciulli solisti molto più giovani di quelli voluti da Bach, per non parlare del suono che mostra i segni dell'età, la farebbe probabilmente cancellare dalla maggior parte delle liste di gradimento. Lo stesso si può dire della esecuzione del 1985, una registrazione dal vivo con la Concertgebouw Orchestra di Amsterdam, che soffre di una eterogenea prestazione da parte dei solisti e di un più acceso manierismo di Harnoncourt che solo i più ferventi devoti del direttore troverebbero forse accettabile.
Sebbene non impeccabile, la nuova versione mi colpisce per il considerevole passo avanti rispetto alle due esecuzioni precedenti. In effetti è una di quelle esecuzioni che mi piacerebbe tenere sul mio scaffale accanto a quelle dirette da Herreweghe e al cofanetto BIS di Suzuki, poiché contiene notevoli risorse ed intuizioni tali da renderle ad esse complementari e supplementari. In modo interessante, come nell'ultima registrazione di Herrewghe, Harnoncourt ha diminuito il tempo totale della esecuzione. Nel 1971 ha impiegato 175 minuti, riducendo ancora i tempi nel 1985 a 166 minuti, mentre nell'ultima registrazione il tempo totale si avvicina a quelli della seconda di Herreweghe (161') e di Suzuki (164'). E' un indice di come ci siamo gradualmente abituati ai tempi più veloci in Bach, il fatto che nessuna delle esecuzioni di Harnoncourt mi sembri esagerata. L'unica lamentela su questo fronte riguarda «Komm susses Kreuz» (No. 57), non tanto perché il tempo è troppo veloce, quanto perché esso sembri troppo lento. Infatti la velocità è quasi identica a quella sostenuta da Suzuki, che però non mi ha infastidito allo stesso modo. L'impressione è senza dubbio dovuta alla pesantezza enfatica e al manierismo della viola da gamba nell'obbligato. Parlando di manierismi: grazie al cielo sono ppochi, a parte la occasionale «ridondanza» di note; la mia unica altra riserva riguarda i ritmi eccessivamente decisi ed enfatici nel coro di apertura, che interrompono lo scorrere del movimento. Diversamente non c'è nulla se non un elogio nei confronti delle ultime riflessioni di Harnoncourt sull'opera, che non solo evincono un approccio enormemente toccante all'architettura di tutta l'opera, frutto di lunga esperienza e familiarità, ma anche molti, molti momenti di rivelazione. Ascoltate, ad esempio, la direzione superbamente tesa e risoluta nell'aria del basso «Gebt mir» (No.42), che mette in risalto le esigenze del testo in un modo non eguagliato dal virtuoso ma irrilevante cantato di Widmer, oppure l'ardente insistenza dell'incitamento prolungato in «Sehet, Jesus hat die Harid» (No. 60), in questo caso sostenuto pienamente da Bernarda Fink. Prima di passare all'aspetto vocale, lasciatemi aggiungere che una delle perle di questa nuova registrazione è l'esecuzione del Concentus Musicus, eccellente sia come ensemble, sia nelle numerose parti di obbligato, le fioriture attribuite agli archi sono indubbiamente dovute almeno in parte all'acustica eccellente della sede della registrazione, la Jesuit Church di Vienna. Sfortunatamente, quelle qualità acustiche non possono fare nulla per risolvere ciò che secondo me rappresenta il più grande difetto di questa registrazione, e cioè la dimensione del coro. Come sapranno gli assidui lettori, mi comporto da agnostico quando si parla di cori che impiegano una voce per sezione, ma qui il coro è semplicemente troppo grande. Oltre a nascondere i dettagli, esso risulta sostanzialmente più imponente dei cori impiegati da Herreweghe (nella seconda edizione) o da Suzuki, entrambi i quali si attengono strettamente al Bach ideale riscontrato nel famoso memorandum di Lipsia. Qui il semplice numero non funziona nella scrittura contrappuntistica di Bach, in cui la difficoltà ad articolare con precisione comporta un suono opaco e una dizione confusa. I corali (interpretati con un buon ritmo scorrevole) sono molto meglio, ma anche le cesure confuse minacciano in qualche modo le parti della turba, rendendo quindi fiacco l'impatto drammatico. Per quello bisogna ascoltare i recitativi della narrazione, eseguiti con una immediatezza e una forte intensità che li mettono al livello di quelli diretti da Herreweghe nella seconda edizione. Come anche in quella registrazione, c'è un cantante lirico di rilievo che sfodera tutta la sua formidabíle abilità eseguendo la parte dell'Evangelista che conduce la narrazione, seguito immediatamente dalla nobile dignità e autorità del Gesù mirabilmente interpretato da Goerne. Per sentire Goerne e Prégardien che insieme racchiudono una splendida esecuzione dall'inizio alla fine, ascoltate il recitativo nella narrazione che comprende il momento conclusivo della vita di Gesù, in cui il grido «Eli, Eli» diventa un momento di tensione seguito da uno sfogo velato di «Lama asabthani» (Perché mi hai abbandonato?) che trasmette la sua amarezza quasi insopportabile. Proprio poche pagine più avanti, il racconto dell'Evangelista delle donne davanti al crocifisso è presentato con tale tenera sensibilità che commuove ancora una volta nel profondo del cuore. Non dimentichiamo inoltre l'impegno attentamente osservato da Henschel nei ruoli di Giuda, Pietro, Pontefice I e Pilato: il suo Pontefice contrasta fortemente con un inusualmente simpatico Pila, il quale, quando chiede alla folla se rilasciare Barabba oppure Gesù, non lascia ombra di dubbio su quali siano le proprie preferenze. Nella Passione secondo Matteo eseguita con il Concertgebouw, Harnoncourt preferì voci femminili nelle parti soliste per contralto, una scelta che qui ha confermato, opponendosi dunque a quelle di Herreweghe e Suzuki. Ho già citato la Fink, con le sue arie che vince facilmente il posto d'onore, conseguendo una tra le migliori interpretazioni tra le sue registrazioni. Come verrà ricordato, le arie per contralto nella passione secondo matteo sono, fatta eccezione per «Sehet, Jesus», come ho detto sopra, una espressione profondamente penitenziale. La Fink trasmette a tutte le arie non soltanto la sua abituale intonatone riccamente luminosa, ma una profonda introspezione. Il suo triste «Ebarme dich» (No.39) è solo la punta di uno splendido iceberg. Nessuno degli altri solisti eguaglia la bravura della Fink, ma decisamente non ci sono difetti gravi. Si noterà sin dall'inizio, come Jeffrey Thomas nella sua ultima registrazione per la Koch, come Harnoncourt assegni a ciascuno dei «Cori» di Bach un distinto ruolo di solista. E' particolarmente piacevole elogiare Christine Schäfer nella parte del soprano I, nonostante si tratti di una cantante che non mi aveva mai colpito granchè prima d'ora. La sua voce si amalgama bene in «So ist mein Jesus» con la Fink (No. 27a), interpreta bene il testo, e si impone con grande effetto nell'impegnativo e doloroso «Aus liebe» (No.49), mantenendo un buon controllo della voce e una perfetta intonazione. Il suo omonimo Markus è eccellente nella sua violenta interpretazione di «Geduld!» (No.35), la cadenza sulla parola «stecheri» (spina), tipica di una interpretazione dell'aria che effettivamente mette in risalto il contrasto tra sopportazione e collera. Anche la Röschmann (forse il suo approccio è un po' troppo operistico) e la von Magnus danno un'impressione positiva in quelle piccole parti a loro assegnate, Schade e Widmer un po' meno. Henschel, che cantò tutte le arie del basso nella seconda edizione di Herreweghe, mette meno impegno nelle sue arie di quanto ne abbia profuso nei ruoli appena citati, dimenticando inoltre di lasciare un'impronta di vera autorità in «Mache dich» (No. 65). Comunque egli è eccellente nell'evocazione del pomeriggio del recitativo precedente, in cui l'accompagnamento morbido e ondeggiante degli archi rappresenta un altro esempio dell'incantevole esecuzione del Concentus Musicus. I lettori che hanno collezionato i vecchi cofanetti di LP Teldec contenenti la musica sacra di Bach ricorderanno che una delle loro caratteristiche era l'inclusione nel cofanetto della partitura manoscritta dallo stesso Bach. Bene, la tecnologia è andata avanti, e la casa discografica ha avuto la brillante idea di inserire la partitura nel terzo disco del cofanetto, accessibile dal un PC oppure da un Mac. Io ho provato per qualche minuto, ma dubito che molti riusciranno facilmente a seguire lo spartito da un monitor durante un ascolto, le parole dal mio PC sono indecifrabili. Chi è interessato al manoscritto, può trovare utile stamparne le pagine di interesse per una comoda lettura in un momento di maggiore tranquillità. La confezione è semplice, meno della metà della larghezza del cofanetto di Herreweghe, ma non mi preoccupo di una custodia che inevitabilmente causerà le abrasioni superficiali dei dischi. La mia prima personale scelta per una sola Passione di Matteo rimane la prima edizione di Herreweghe, ma ora non potrei vivere senza la seconda esecuzione di Herreweghe e quella di Suzuki, unite adesso alla versione emozionante e profondamente ponderata di Harnoncourt. La raccomando per i suoi molti aspetti introspettivi, la meravigliosa esecuzione strumentale, la sbalorditiva caratterizzazione dell'Evangelista e di Gesù, e, sicuramente non ultima, l'indimenticabile interpretazione della Fink nelle arie per contralto.
di Brian Robbins ("Orfeo", n.90, aprile 2005)
Sebbene non impeccabile, la nuova versione mi colpisce per il considerevole passo avanti rispetto alle due esecuzioni precedenti. In effetti è una di quelle esecuzioni che mi piacerebbe tenere sul mio scaffale accanto a quelle dirette da Herreweghe e al cofanetto BIS di Suzuki, poiché contiene notevoli risorse ed intuizioni tali da renderle ad esse complementari e supplementari. In modo interessante, come nell'ultima registrazione di Herrewghe, Harnoncourt ha diminuito il tempo totale della esecuzione. Nel 1971 ha impiegato 175 minuti, riducendo ancora i tempi nel 1985 a 166 minuti, mentre nell'ultima registrazione il tempo totale si avvicina a quelli della seconda di Herreweghe (161') e di Suzuki (164'). E' un indice di come ci siamo gradualmente abituati ai tempi più veloci in Bach, il fatto che nessuna delle esecuzioni di Harnoncourt mi sembri esagerata. L'unica lamentela su questo fronte riguarda «Komm susses Kreuz» (No. 57), non tanto perché il tempo è troppo veloce, quanto perché esso sembri troppo lento. Infatti la velocità è quasi identica a quella sostenuta da Suzuki, che però non mi ha infastidito allo stesso modo. L'impressione è senza dubbio dovuta alla pesantezza enfatica e al manierismo della viola da gamba nell'obbligato. Parlando di manierismi: grazie al cielo sono ppochi, a parte la occasionale «ridondanza» di note; la mia unica altra riserva riguarda i ritmi eccessivamente decisi ed enfatici nel coro di apertura, che interrompono lo scorrere del movimento. Diversamente non c'è nulla se non un elogio nei confronti delle ultime riflessioni di Harnoncourt sull'opera, che non solo evincono un approccio enormemente toccante all'architettura di tutta l'opera, frutto di lunga esperienza e familiarità, ma anche molti, molti momenti di rivelazione. Ascoltate, ad esempio, la direzione superbamente tesa e risoluta nell'aria del basso «Gebt mir» (No.42), che mette in risalto le esigenze del testo in un modo non eguagliato dal virtuoso ma irrilevante cantato di Widmer, oppure l'ardente insistenza dell'incitamento prolungato in «Sehet, Jesus hat die Harid» (No. 60), in questo caso sostenuto pienamente da Bernarda Fink. Prima di passare all'aspetto vocale, lasciatemi aggiungere che una delle perle di questa nuova registrazione è l'esecuzione del Concentus Musicus, eccellente sia come ensemble, sia nelle numerose parti di obbligato, le fioriture attribuite agli archi sono indubbiamente dovute almeno in parte all'acustica eccellente della sede della registrazione, la Jesuit Church di Vienna. Sfortunatamente, quelle qualità acustiche non possono fare nulla per risolvere ciò che secondo me rappresenta il più grande difetto di questa registrazione, e cioè la dimensione del coro. Come sapranno gli assidui lettori, mi comporto da agnostico quando si parla di cori che impiegano una voce per sezione, ma qui il coro è semplicemente troppo grande. Oltre a nascondere i dettagli, esso risulta sostanzialmente più imponente dei cori impiegati da Herreweghe (nella seconda edizione) o da Suzuki, entrambi i quali si attengono strettamente al Bach ideale riscontrato nel famoso memorandum di Lipsia. Qui il semplice numero non funziona nella scrittura contrappuntistica di Bach, in cui la difficoltà ad articolare con precisione comporta un suono opaco e una dizione confusa. I corali (interpretati con un buon ritmo scorrevole) sono molto meglio, ma anche le cesure confuse minacciano in qualche modo le parti della turba, rendendo quindi fiacco l'impatto drammatico. Per quello bisogna ascoltare i recitativi della narrazione, eseguiti con una immediatezza e una forte intensità che li mettono al livello di quelli diretti da Herreweghe nella seconda edizione. Come anche in quella registrazione, c'è un cantante lirico di rilievo che sfodera tutta la sua formidabíle abilità eseguendo la parte dell'Evangelista che conduce la narrazione, seguito immediatamente dalla nobile dignità e autorità del Gesù mirabilmente interpretato da Goerne. Per sentire Goerne e Prégardien che insieme racchiudono una splendida esecuzione dall'inizio alla fine, ascoltate il recitativo nella narrazione che comprende il momento conclusivo della vita di Gesù, in cui il grido «Eli, Eli» diventa un momento di tensione seguito da uno sfogo velato di «Lama asabthani» (Perché mi hai abbandonato?) che trasmette la sua amarezza quasi insopportabile. Proprio poche pagine più avanti, il racconto dell'Evangelista delle donne davanti al crocifisso è presentato con tale tenera sensibilità che commuove ancora una volta nel profondo del cuore. Non dimentichiamo inoltre l'impegno attentamente osservato da Henschel nei ruoli di Giuda, Pietro, Pontefice I e Pilato: il suo Pontefice contrasta fortemente con un inusualmente simpatico Pila, il quale, quando chiede alla folla se rilasciare Barabba oppure Gesù, non lascia ombra di dubbio su quali siano le proprie preferenze. Nella Passione secondo Matteo eseguita con il Concertgebouw, Harnoncourt preferì voci femminili nelle parti soliste per contralto, una scelta che qui ha confermato, opponendosi dunque a quelle di Herreweghe e Suzuki. Ho già citato la Fink, con le sue arie che vince facilmente il posto d'onore, conseguendo una tra le migliori interpretazioni tra le sue registrazioni. Come verrà ricordato, le arie per contralto nella passione secondo matteo sono, fatta eccezione per «Sehet, Jesus», come ho detto sopra, una espressione profondamente penitenziale. La Fink trasmette a tutte le arie non soltanto la sua abituale intonatone riccamente luminosa, ma una profonda introspezione. Il suo triste «Ebarme dich» (No.39) è solo la punta di uno splendido iceberg. Nessuno degli altri solisti eguaglia la bravura della Fink, ma decisamente non ci sono difetti gravi. Si noterà sin dall'inizio, come Jeffrey Thomas nella sua ultima registrazione per la Koch, come Harnoncourt assegni a ciascuno dei «Cori» di Bach un distinto ruolo di solista. E' particolarmente piacevole elogiare Christine Schäfer nella parte del soprano I, nonostante si tratti di una cantante che non mi aveva mai colpito granchè prima d'ora. La sua voce si amalgama bene in «So ist mein Jesus» con la Fink (No. 27a), interpreta bene il testo, e si impone con grande effetto nell'impegnativo e doloroso «Aus liebe» (No.49), mantenendo un buon controllo della voce e una perfetta intonazione. Il suo omonimo Markus è eccellente nella sua violenta interpretazione di «Geduld!» (No.35), la cadenza sulla parola «stecheri» (spina), tipica di una interpretazione dell'aria che effettivamente mette in risalto il contrasto tra sopportazione e collera. Anche la Röschmann (forse il suo approccio è un po' troppo operistico) e la von Magnus danno un'impressione positiva in quelle piccole parti a loro assegnate, Schade e Widmer un po' meno. Henschel, che cantò tutte le arie del basso nella seconda edizione di Herreweghe, mette meno impegno nelle sue arie di quanto ne abbia profuso nei ruoli appena citati, dimenticando inoltre di lasciare un'impronta di vera autorità in «Mache dich» (No. 65). Comunque egli è eccellente nell'evocazione del pomeriggio del recitativo precedente, in cui l'accompagnamento morbido e ondeggiante degli archi rappresenta un altro esempio dell'incantevole esecuzione del Concentus Musicus. I lettori che hanno collezionato i vecchi cofanetti di LP Teldec contenenti la musica sacra di Bach ricorderanno che una delle loro caratteristiche era l'inclusione nel cofanetto della partitura manoscritta dallo stesso Bach. Bene, la tecnologia è andata avanti, e la casa discografica ha avuto la brillante idea di inserire la partitura nel terzo disco del cofanetto, accessibile dal un PC oppure da un Mac. Io ho provato per qualche minuto, ma dubito che molti riusciranno facilmente a seguire lo spartito da un monitor durante un ascolto, le parole dal mio PC sono indecifrabili. Chi è interessato al manoscritto, può trovare utile stamparne le pagine di interesse per una comoda lettura in un momento di maggiore tranquillità. La confezione è semplice, meno della metà della larghezza del cofanetto di Herreweghe, ma non mi preoccupo di una custodia che inevitabilmente causerà le abrasioni superficiali dei dischi. La mia prima personale scelta per una sola Passione di Matteo rimane la prima edizione di Herreweghe, ma ora non potrei vivere senza la seconda esecuzione di Herreweghe e quella di Suzuki, unite adesso alla versione emozionante e profondamente ponderata di Harnoncourt. La raccomando per i suoi molti aspetti introspettivi, la meravigliosa esecuzione strumentale, la sbalorditiva caratterizzazione dell'Evangelista e di Gesù, e, sicuramente non ultima, l'indimenticabile interpretazione della Fink nelle arie per contralto.
di Brian Robbins ("Orfeo", n.90, aprile 2005)
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