Che cosa hanno in comune un quartetto d'archi e un quartetto di elicotteri? Chi vuole conoscere la risposta oitrà partecipare a quello che si propone come l'evento più spettacolare della stagione di musica contemporanea dell'Auditorium di Roma: l'esecuzione da parte del Quartetto Arditti di Helicopter Quartet, uno dei lavori forse più provocatori e visionari di Karlheinz Stockhausen.
"Visionario" è proprio la parola giusta, visto il compositore tedesco, scomparso nel dicembre del 2007, ha spiegato che l'origine di questo quartetto sta in un sogno fatto nel 1991. Stockhausen aveva ricevuto ripetutamente la richiesta di comporre un quartetto per archi da Irvine Arditti, fondatore dell'omonimo ensemble londinese, che desiderava avere una composizione dedicata da portare nelle sale da concerto di tutto il mondo. Ma il rifiuto del maestro era stato chiaro: Stockhausen non aveva mai creato una composizione che rispondesse ad una forma classica, quartetto, sinfonia o concerto e non vedeva proprio il motivo per farlo, dal momento che nella sua musica forma, contenuto e performance erano elementi che si combinavano molto strettamente e che erano nuovi e specifici per ogni composizione. Irvine Arditti non si era arreso così facilmente e nel novembre del 1990 aveva chiesto al Salzburg Festival di commissionare un quartetto a Stockhausen, riservando all'Arditti la prima esecuzione, che sarebbe avvenuta nel 1994. La richiesta era stata accolta e l'opera era stata commissionata all'inizio del 1991. E a questo punto, probabilmente nei giorni in cui rifletteva se accettare o no la proposta, Stockhausen aveva avuto un sogno: quattro elicotteri si alzavano in volo, ciascuno con uno strumentista che suonava, mentre della gente guardava e ascoltava lo spettacolo in una sala, attraverso quattro torri dotate di altoparlanti e televisori. Limpressione del sogno e in particolare di come il suono degli archi si amalgamava con i rotori degli elicotteri, fu talmente forte che Stockhausen decise di realizzare il singolare quartetto e ne fece la terza scena dell'opera che andava componendo dal 1977 A Wednesday from light. L'HeIicopter String Quartet venne coraggiosamente accettato dal festival di Salisburgo ma l'opposizione del partito politico dei verdi e il costo esorbitante dell'operazione non resero possibile la prima, programmata per il 1994. Solo l'anno seguente, grazie all'interesse per il progetto dell'Holland Festival e del suo direttore Jan van Vlijmen, la composizione fu messa in scena ad Amsterdam per un totale di tre repliche consecutive, il 26 giugno.
Maestro Arditti, Lei ha lavorato con Karlheinz Stockhausen ed ha avuto una parte importante nell'avvio della composizione di questa suggestiva opera. Come ricorda il maestro e come lo descriverebbe, come uomo e come artista?
«Stockhausen era un uomo incredibile e la sua personalità, così imprevedibile e vitale, è stata importantissima nella formazione del mio interesse per la musica contemporanea. Ha dedicato la sua vita alla composizione con estrema dedizione ed era sempre intimamente coinvolto in quello che scriveva; pensi che alla prima prova dell'Helicopter String Quartet, quella in sala senza elicotteri, mi resi conto che conosceva perfettamente la partitura che aveva scritto circa un anno e mezzo prima».
La storia del sogno da cui sarebbe derivata l'idea di questa composizione, è una leggenda o ha avuto modo di parlarne con il maestro?
«Penso proprio che sia vera, perché me l'ha raccontata lui stesso con grande gusto. Avevo chiesto più di una volta al maestro di comporre un quartetto per il nostro ensemble, sin dagli anni Ottanta; ma la risposta era sempre stata no. Stockhausen non si riconosceva in forme 'antiche' come il quartetto, la sinfonia e il concerto».
Secondo Lei, qual è il messaggio estetico che questo lavoro vuole comunicare? Superare i limiti di una performance concertistica? Mostrare il legame tra la musica e il cielo/cosmo?
«Secondo Stockhausen questo è un altro dei suoi lavori legati alla rappresentazione del movimento della musica nello spazio, me lo spiegò lui stesso. Mi disse anche che era uno fra i primi compositori dopo centinaia di anni ad interessarsi di questo aspetto della musica e che lo aveva fatto sin dalle sue prime composizioni. Non sono d'accordo con lui: infatti anche se noi ci muoviamo nello spazio, il pubblico non sente realmente quel movimento nella sala da concerto. Lavori come Gruppen sono un altro discorso. Credo che il messaggio fondamentale sia: non chiedete a Stockhausen di scrivere un quartetto d'archi normale... E' ovvio che Stockhausen ha creato un pezzo di anti-musica da camera: non esiste un altro pezzo al mondo in cui i musicisti suonano senza potersi ascoltare l'uno con l'altro. Questo non è nuovo nella sua musica: è lui (ora ovviamente il regista del suono) a controllare davvero il risultato finale, dalla consolle dove i segnali dei vari microfoni arrivano».
"Visionario" è proprio la parola giusta, visto il compositore tedesco, scomparso nel dicembre del 2007, ha spiegato che l'origine di questo quartetto sta in un sogno fatto nel 1991. Stockhausen aveva ricevuto ripetutamente la richiesta di comporre un quartetto per archi da Irvine Arditti, fondatore dell'omonimo ensemble londinese, che desiderava avere una composizione dedicata da portare nelle sale da concerto di tutto il mondo. Ma il rifiuto del maestro era stato chiaro: Stockhausen non aveva mai creato una composizione che rispondesse ad una forma classica, quartetto, sinfonia o concerto e non vedeva proprio il motivo per farlo, dal momento che nella sua musica forma, contenuto e performance erano elementi che si combinavano molto strettamente e che erano nuovi e specifici per ogni composizione. Irvine Arditti non si era arreso così facilmente e nel novembre del 1990 aveva chiesto al Salzburg Festival di commissionare un quartetto a Stockhausen, riservando all'Arditti la prima esecuzione, che sarebbe avvenuta nel 1994. La richiesta era stata accolta e l'opera era stata commissionata all'inizio del 1991. E a questo punto, probabilmente nei giorni in cui rifletteva se accettare o no la proposta, Stockhausen aveva avuto un sogno: quattro elicotteri si alzavano in volo, ciascuno con uno strumentista che suonava, mentre della gente guardava e ascoltava lo spettacolo in una sala, attraverso quattro torri dotate di altoparlanti e televisori. Limpressione del sogno e in particolare di come il suono degli archi si amalgamava con i rotori degli elicotteri, fu talmente forte che Stockhausen decise di realizzare il singolare quartetto e ne fece la terza scena dell'opera che andava componendo dal 1977 A Wednesday from light. L'HeIicopter String Quartet venne coraggiosamente accettato dal festival di Salisburgo ma l'opposizione del partito politico dei verdi e il costo esorbitante dell'operazione non resero possibile la prima, programmata per il 1994. Solo l'anno seguente, grazie all'interesse per il progetto dell'Holland Festival e del suo direttore Jan van Vlijmen, la composizione fu messa in scena ad Amsterdam per un totale di tre repliche consecutive, il 26 giugno.
Maestro Arditti, Lei ha lavorato con Karlheinz Stockhausen ed ha avuto una parte importante nell'avvio della composizione di questa suggestiva opera. Come ricorda il maestro e come lo descriverebbe, come uomo e come artista?
«Stockhausen era un uomo incredibile e la sua personalità, così imprevedibile e vitale, è stata importantissima nella formazione del mio interesse per la musica contemporanea. Ha dedicato la sua vita alla composizione con estrema dedizione ed era sempre intimamente coinvolto in quello che scriveva; pensi che alla prima prova dell'Helicopter String Quartet, quella in sala senza elicotteri, mi resi conto che conosceva perfettamente la partitura che aveva scritto circa un anno e mezzo prima».
La storia del sogno da cui sarebbe derivata l'idea di questa composizione, è una leggenda o ha avuto modo di parlarne con il maestro?
«Penso proprio che sia vera, perché me l'ha raccontata lui stesso con grande gusto. Avevo chiesto più di una volta al maestro di comporre un quartetto per il nostro ensemble, sin dagli anni Ottanta; ma la risposta era sempre stata no. Stockhausen non si riconosceva in forme 'antiche' come il quartetto, la sinfonia e il concerto».
Secondo Lei, qual è il messaggio estetico che questo lavoro vuole comunicare? Superare i limiti di una performance concertistica? Mostrare il legame tra la musica e il cielo/cosmo?
«Secondo Stockhausen questo è un altro dei suoi lavori legati alla rappresentazione del movimento della musica nello spazio, me lo spiegò lui stesso. Mi disse anche che era uno fra i primi compositori dopo centinaia di anni ad interessarsi di questo aspetto della musica e che lo aveva fatto sin dalle sue prime composizioni. Non sono d'accordo con lui: infatti anche se noi ci muoviamo nello spazio, il pubblico non sente realmente quel movimento nella sala da concerto. Lavori come Gruppen sono un altro discorso. Credo che il messaggio fondamentale sia: non chiedete a Stockhausen di scrivere un quartetto d'archi normale... E' ovvio che Stockhausen ha creato un pezzo di anti-musica da camera: non esiste un altro pezzo al mondo in cui i musicisti suonano senza potersi ascoltare l'uno con l'altro. Questo non è nuovo nella sua musica: è lui (ora ovviamente il regista del suono) a controllare davvero il risultato finale, dalla consolle dove i segnali dei vari microfoni arrivano».
Cosa prova suonando su un elicottero e non in una sala da concerto? Quali sono le principali sfide che questa composizione pone all'esecutore?
«Ovviamente è una cosa totalmente diversa dal suonare in una sala da concerto. Richiede un'enorme quantità di concentrazione suonare nello spazio ristretto di un elicottero rumoroso, leggendo da una partitura che deve riuscire a rimanere ferma per tutto il tempo, senza avere la possibilità di ascoltare gli altri tre colleghi. Sì, direi che le difficoltà principali sono proprio queste: la concentrazione in un luogo difficile e la sincronia con gli altri».
Come ha reagito il pubblico nelle precedenti, rappresentazioni di questo quartetto?«Penso proprio di poter dire che il pubblico sia rimasto totalmente sconcertato».
di Daniela Gangale ("il giornale della musica", Anno XXV, n.255, gennaio 2009)
Nessun commento:
Posta un commento