Il seguito? Una vita da emigrati fra emigrati. I Mann, gli Schönberg, Bruno Walter, Erich Maria Remarque, molti altri meno conosciuti... Vivono fra di loro, si aiutano reciprocamente... I Werfel, per quanto li riguarda, hanno scelto di abitare in California. Almeno il clima è buono.
Si stabiliscono in una piccola casa a Los Angeles dove Franz si mette immediatamente al lavoro. Non hanno problemi finanziari urgenti perché Alma ha sempre lasciato a New York una parte dei dollari che Mahler aveva depositato alla banca Lazard. E poi, se si può osare dirlo, si compie il miracolo di Lourdes. Coerente con il suo voto, Franz ha scritto Bernadette e, appena pubblicato, il libro conosce un successo enorme. Viene acquistato da «Book of the month», comperato da Hollywood... Da un momento all'altro Franz diviene negli Stati Uniti un autore quotato.
Il poveretto ne ha proprio bisogno, perché sopporta male, anzi malissimo, l'emigrazione. Nessuno è più intimamente europeo e in particolare viennese di lui.
In seguito scrive una commedia brillante, Jakobowsky e il colonnello, sullo sfondo della sconfitta francese. Non se la passano male nel sole, in una casa nuova a Beverly Hills, dove hanno a disposizione quello che per loro è essenziale, vale a dire dei libri, un pianoforte e un cuoco nero. Ma nello stesso tempo: «Franz è stanco», scrive Alma. «Non desidera lavorare, è chiuso, come morto. Gli farebbe bene un nuovo amore. Per me sarebbe una grave sofferenza, perché io sono completamente perduta in lui e non desidero niente altro - né posso volere nient'altro».
No, non ha più la possibilità di volere qualche cosa d'altro. Ci sono dei limiti, perfino per Alma. Sarebbe proprio una grande novità nella sua vita, se fosse Franz a innamorarsi di qualche giovane dama di Hollywood invece di essere sempre lei nella parte della traditrice, dell'infedele, del carnefice come di solito. Ma questa prova le verrà risparmiata. Il suo affettuoso, piccolo marito non ha questa inclinazione, anche se talvolta recalcitra sotto la bacchetta di Alma e allora succedono delle scenate fragorose dalle quali lei esce, come di solito avviene dopo un bagno di mare, tutta rinvigorita e di nuovo in forma. Werfel fuma troppo, beve troppo. Per sopportare la tensione dell'esilio gli manca la forza particolare che mantiene Alma tutta d'un pezzo, sempre certa che il centro del mondo è esattamente là dove si trova lei.
Franz ha una crisi cardiaca, poi un'altra, questa volta seria, che lo costringe a letto proprio la sera in cui il film tratto dal suo Bernadette viene presentato, con grande pompa, a Hollywood. Ascoltano la registrazione della serata alla radio. Alma scrive: «Ho una disperata paura di perdere Franz Werfel». Ma, coerente con se stessa, scrive anche: «La sera è stanco e di mattina ha un cattivo odore, una situazione alla quale una moglie non dovrebbe mai essere esposta».
Sempre impietosa con i deboli. Ma non ha più né l'età né il desiderio di cambiare uomo. Questa volta sa che Werfel sarà l'ultimo. E allora, senza compassione ma con efficienza, se ne prende cura.
La malattia ha reso Franz momentaneamente incontinente, ma guarisce e torna a lavorare a un romanzo, La stella di quelli che non sono nati. Il 25 agosto 1945 siede nel suo studio, dopo il pranzo. Verso le cinque, Alma vuole andare da lui per proporgli un tè. Bussa, lui non risponde, entra. Lo trova morto. Prima di morire, a cinquantasei anni, ha avuto la gioia di sapere che la Germania hitleriana e stata sconfitta.
Viene sepolto, come l'eroe del suo ultimo romanzo, in smoking, con una camicia di seta e un'altra di ricambio, gli occhiali nel taschino.
Per tenere compagnia alla sua salma, in una di quelle sinistre sale funerarie dell'America, avrà un salotto di persone veramente scelte: i Mann, Otto Klemperer, Igor Stravinskij, Otto Preminger, Bruno Walter - che suonerà al piano un brano di Schubert... Alma non si fa ' vedere.
Trent'anni o quasi di vita in comune, e poi questa lacerazione... Ma Alma supererà anche questo. Manon non si è sbagliata nel giudicare sua madre.
Ha sessantasei anni, il suo udito si indebolisce ogni giorno di più, si beve una bottiglia di Benédictine al giorno, ha avuto tre mariti, quattro bambini e adesso è sola. Sola: è duro.
La sorella maggiore di Franz Werfel impugna il testamento che nomina Alma crede di tutti i diritti d'autore di Franz: il ricorso viene respinto. Senza essere ricca nel senso più proprio del termine, Alma non si troverà mai in ristrettezze.
Un giorno la radio annuncia che la vedova di Franz Werfel sta per risposarsi con Bruno Walter: lei smentisce in modo sprezzante questo «scherzo di pessimo gusto». Bruno Walter attraversa il prato che separa le loro due case a Beverly Hills e, tutto divertito, le dice: «E allora! Sarebbe dunque cosi terribile?». Alma lo fulmina.
Una volta si ferisce la mano destra. Un'amica le fa avere le musiche di Skrjabin per la mano sinistra, e lei si mette a suonarle con passione.
Riceve, da Londra, una richiesta di aiuto per il direttore d'orchestra olandese Willem Mengelberg: questi possiede i manoscritti della Quarta Sinfonia e del movimento finale del Canto della terra di Mahler e ha bisogno di venderli. Alma si oppone vigorosamente, del tutto indifferente alla situazione di Mengelberg.
Infine, divenuta cittadina americana, prende l'aeroplano per l'Europa, con Platone in una tasca e una bottiglia di Bénédictine nell'altra.
Fa scalo a Londra per incontrare Anna - che non tarderà a lasciare il suo quarto marito -; la trova prematuramente invecchiata, la sua nipotina le sembra brutta, e riparte. Non ha mai amato, nel senso di quello che si chiama amare, i suoi figli, salvo Manon che lusingava la sua vanità. E vuole ancora meno bene ai nipotini. Essere nonna non è certamente la sua vocazione.
Lascia quindi Londra per Vienna. E' Vienna che vuole rivedere. E la assale l'orrore. L'Opera, il Burgtheater, la cattedrale sono rovine. Nella città non conosce più nessuno, se non una vecchia cameriera e la vedova di Alban Berg, Helene, che ormai si interessa solo di occultismo.
L'ultimo piano della casa della Hohe Warte è stato distrutto dalle bombe americane, con il tavolo di lavoro di Mahler, quello di Werfel. La casa del Semmering, venduta ai sovietici, è stata «ridecorata», e sull'affresco di Kokoschka è stata passata una mano di calce.
Karl Moll ha venduto tutto quello che lei gli aveva affidato, compreso il famoso quadro di Munch, Il sole di mezzanotte, prima di suicidarsi con la figlia e il genero, il giorno dell'ingresso a Vienna dei sovietici.
Quello che irrita Alma è l'atteggiamento dei funzionari e dei giuristi cui si rivolge per tentare di recuperare i suoi beni. Sono tutti - siamo nel 1947 - nazisti. Ai loro occhi il colpevole non è Karl Moll, ma lei, Alma, perché ha sposato due ebrei.
Allora riparte, indignata. Un avvocato americano si incaricherà di recuperare il possibile.
Per Alma, Vienna è cancellata dalla carta geografica. Più tardi tornerà ancora in Europa, a Parigi, a Roma. Ma a Vienna mai.
Nonostante la solitudine nella quale Alma ha trascorso la sua vita dopo la morte di Franz sembra che, in certo modo, si sia sentita liberata. Non più mariti, non più amanti, non più creazioni artistiche da alimentare, questi piccoli animali feroci che succhiano il sangue, non più costrizioni, libera, finalmente!
Allora, adesso può mettersi a comporre? E' troppo tardi. Spesso, da qualche anno a questa parte siede al pianoforte e improvvisa, arte nella quale eccelle. Ma comporre è un'altra cosa, un lavoro, una tecnica, una disciplina. Alma non riprenderà mai più il suo sogno interrotto. Si è affermata, e con quale forza, ma attraverso il dominio che ha esercitato su alcuni uomini, piuttosto che per mezzo della propria creatività. Avrà avuto il diritto di coltivare soltanto un'arte: quella di farsi amare. Qualcuno, da qualche parte, è stato assassinato, e il suo sangue ha irrorato opere che non gli appartengono. Concluderà i suoi giorni con una nobile parte, quella della Vedova.
Adesso abita a New York, in uno dei tre appartamenti di cui è divenuta proprietaria - è una padrona di casa particolarmente esosa -, servita dalla fedele Ida, che ha fatto venire dall'Austria, e vi ha ricostruito il suo mondo: una biblioteca, una stanza per la musica, il suo ritratto di Kokoschka, il ritratto di Mahler sul pianoforte, una gran massa di opere d'arte. Ne ha tante che non sa dove metterle, e allora le regala. In questo modo Stravinskij riceverà un Klee, che a quel tempo non vale niente.
Sempre vestita di nero, ma ricoperta di gioielli, l'irriducibile vecchia signora è tornata ad assumere l'ufficio di «Vedova di Mahler», visto che la musica dei suo primo marito comincia a diventare di moda, mentre progressivamente abbandona quello di «vedova di Werfel», dato che la fama del suo terzo marito va declinando. Certi impertinenti le daranno il soprannome di «vedova delle quattro arti».
A questo punto classifica la sua corrispondenza, ricopia le lettere di Franz, corregge e censura il suo diario, brucia, distrugge, scrive memorie. Sua figlia Anna vive negli Stati Uniti, adesso, ma in California: vale a dire che sono separate da tanti chilometri quanti se vivesse in Europa.
Alma continua a svolgere un certo ruolo all'interno della comunità musicale. Nel 1959 Benjamin Britten le chiede il permesso di dedicarle il suo Notturno per tenore e piccola orchestra. E' l'invitata d'onore a tutti i concerti nel cui programma c'è musica di Mahler, assiste alle prove, cena con Leonard Bernstein, riceve Georg Solti e la moglie... E' diventata una specie di istituzione.
Ha sempre delle persone che la vanno a trovare, alle quali intima l'ordine di visitarla. E che lo fanno.
Gropius passa da casa sua ogni volta che si trova a New York. E un giorno arrivano anche due righe da Kokoschka: è in città e vorrebbe vederla. Lei esita. Ma poi dice di no. E ha ragione: non può mostrare il proprio viso distrutto a un uomo che l'ha amata nel fulgore della sua bellezza.
Allora Kokoschka le manda questo telegramma, l'ultimo: «Cara Alma, siamo eternamente uniti nella mia Fidanzata del vento».
E' stata più che l'amore della sua vita: la sua luce, la sua passione, il suo sole.
Quanto a lei... In una sera di solitudine si é posta delle domande su questo piccolo mucchio di uomini caduti ai suoi piedi, concludendo: «Io non ho mai veramente amato la musica di Mahler, non mi sono mai veramente interessata a ciò che scriveva Werfel - e non ha mai capito che cosa veramente facesse Gropius - ma Kokoschka si, Kokoschka mi ha sempre colpita».
L'asso di cuori di questo poker d'assi è senza dubbio lui, se si può parlare di cuore a proposito di questa donna. Ma le cose sono andate in modo tale che, per l'eternità, sarà sempre Alma Mahler.
La sirena dagli occhi blu è morta a ottantacinque anni, l'11 dicembre 1964, di una polmonite, con la mano stretta a quella della figlia.
Da un anno la sua mente non era più limpida e soffriva di un diabete che rifiutava di curare con il pretesto che si trattava di una «malattia ebraica» che, di conseguenza, non poteva colpirla.
Si doveva seppellirla in California con Franz Werfel? O in Austria con Gustav Mahler? Secondo i suoi desideri, riferiti dalla cameriera, Alma divide con Manon la pace dell'eternità nel cimitero di Grinzing.
Là, nella sua prigione di pietra, non vi è più spazio per l'arroganza.
Françoise Giraud (da "Alma Mahler o l'arte di essere amata", Garzanti, 1989)
Si stabiliscono in una piccola casa a Los Angeles dove Franz si mette immediatamente al lavoro. Non hanno problemi finanziari urgenti perché Alma ha sempre lasciato a New York una parte dei dollari che Mahler aveva depositato alla banca Lazard. E poi, se si può osare dirlo, si compie il miracolo di Lourdes. Coerente con il suo voto, Franz ha scritto Bernadette e, appena pubblicato, il libro conosce un successo enorme. Viene acquistato da «Book of the month», comperato da Hollywood... Da un momento all'altro Franz diviene negli Stati Uniti un autore quotato.
Il poveretto ne ha proprio bisogno, perché sopporta male, anzi malissimo, l'emigrazione. Nessuno è più intimamente europeo e in particolare viennese di lui.
In seguito scrive una commedia brillante, Jakobowsky e il colonnello, sullo sfondo della sconfitta francese. Non se la passano male nel sole, in una casa nuova a Beverly Hills, dove hanno a disposizione quello che per loro è essenziale, vale a dire dei libri, un pianoforte e un cuoco nero. Ma nello stesso tempo: «Franz è stanco», scrive Alma. «Non desidera lavorare, è chiuso, come morto. Gli farebbe bene un nuovo amore. Per me sarebbe una grave sofferenza, perché io sono completamente perduta in lui e non desidero niente altro - né posso volere nient'altro».
No, non ha più la possibilità di volere qualche cosa d'altro. Ci sono dei limiti, perfino per Alma. Sarebbe proprio una grande novità nella sua vita, se fosse Franz a innamorarsi di qualche giovane dama di Hollywood invece di essere sempre lei nella parte della traditrice, dell'infedele, del carnefice come di solito. Ma questa prova le verrà risparmiata. Il suo affettuoso, piccolo marito non ha questa inclinazione, anche se talvolta recalcitra sotto la bacchetta di Alma e allora succedono delle scenate fragorose dalle quali lei esce, come di solito avviene dopo un bagno di mare, tutta rinvigorita e di nuovo in forma. Werfel fuma troppo, beve troppo. Per sopportare la tensione dell'esilio gli manca la forza particolare che mantiene Alma tutta d'un pezzo, sempre certa che il centro del mondo è esattamente là dove si trova lei.
Franz ha una crisi cardiaca, poi un'altra, questa volta seria, che lo costringe a letto proprio la sera in cui il film tratto dal suo Bernadette viene presentato, con grande pompa, a Hollywood. Ascoltano la registrazione della serata alla radio. Alma scrive: «Ho una disperata paura di perdere Franz Werfel». Ma, coerente con se stessa, scrive anche: «La sera è stanco e di mattina ha un cattivo odore, una situazione alla quale una moglie non dovrebbe mai essere esposta».
Sempre impietosa con i deboli. Ma non ha più né l'età né il desiderio di cambiare uomo. Questa volta sa che Werfel sarà l'ultimo. E allora, senza compassione ma con efficienza, se ne prende cura.
La malattia ha reso Franz momentaneamente incontinente, ma guarisce e torna a lavorare a un romanzo, La stella di quelli che non sono nati. Il 25 agosto 1945 siede nel suo studio, dopo il pranzo. Verso le cinque, Alma vuole andare da lui per proporgli un tè. Bussa, lui non risponde, entra. Lo trova morto. Prima di morire, a cinquantasei anni, ha avuto la gioia di sapere che la Germania hitleriana e stata sconfitta.
Viene sepolto, come l'eroe del suo ultimo romanzo, in smoking, con una camicia di seta e un'altra di ricambio, gli occhiali nel taschino.
Per tenere compagnia alla sua salma, in una di quelle sinistre sale funerarie dell'America, avrà un salotto di persone veramente scelte: i Mann, Otto Klemperer, Igor Stravinskij, Otto Preminger, Bruno Walter - che suonerà al piano un brano di Schubert... Alma non si fa ' vedere.
Trent'anni o quasi di vita in comune, e poi questa lacerazione... Ma Alma supererà anche questo. Manon non si è sbagliata nel giudicare sua madre.
Ha sessantasei anni, il suo udito si indebolisce ogni giorno di più, si beve una bottiglia di Benédictine al giorno, ha avuto tre mariti, quattro bambini e adesso è sola. Sola: è duro.
La sorella maggiore di Franz Werfel impugna il testamento che nomina Alma crede di tutti i diritti d'autore di Franz: il ricorso viene respinto. Senza essere ricca nel senso più proprio del termine, Alma non si troverà mai in ristrettezze.
Un giorno la radio annuncia che la vedova di Franz Werfel sta per risposarsi con Bruno Walter: lei smentisce in modo sprezzante questo «scherzo di pessimo gusto». Bruno Walter attraversa il prato che separa le loro due case a Beverly Hills e, tutto divertito, le dice: «E allora! Sarebbe dunque cosi terribile?». Alma lo fulmina.
Una volta si ferisce la mano destra. Un'amica le fa avere le musiche di Skrjabin per la mano sinistra, e lei si mette a suonarle con passione.
Riceve, da Londra, una richiesta di aiuto per il direttore d'orchestra olandese Willem Mengelberg: questi possiede i manoscritti della Quarta Sinfonia e del movimento finale del Canto della terra di Mahler e ha bisogno di venderli. Alma si oppone vigorosamente, del tutto indifferente alla situazione di Mengelberg.
Infine, divenuta cittadina americana, prende l'aeroplano per l'Europa, con Platone in una tasca e una bottiglia di Bénédictine nell'altra.
Fa scalo a Londra per incontrare Anna - che non tarderà a lasciare il suo quarto marito -; la trova prematuramente invecchiata, la sua nipotina le sembra brutta, e riparte. Non ha mai amato, nel senso di quello che si chiama amare, i suoi figli, salvo Manon che lusingava la sua vanità. E vuole ancora meno bene ai nipotini. Essere nonna non è certamente la sua vocazione.
Lascia quindi Londra per Vienna. E' Vienna che vuole rivedere. E la assale l'orrore. L'Opera, il Burgtheater, la cattedrale sono rovine. Nella città non conosce più nessuno, se non una vecchia cameriera e la vedova di Alban Berg, Helene, che ormai si interessa solo di occultismo.
L'ultimo piano della casa della Hohe Warte è stato distrutto dalle bombe americane, con il tavolo di lavoro di Mahler, quello di Werfel. La casa del Semmering, venduta ai sovietici, è stata «ridecorata», e sull'affresco di Kokoschka è stata passata una mano di calce.
Karl Moll ha venduto tutto quello che lei gli aveva affidato, compreso il famoso quadro di Munch, Il sole di mezzanotte, prima di suicidarsi con la figlia e il genero, il giorno dell'ingresso a Vienna dei sovietici.
Quello che irrita Alma è l'atteggiamento dei funzionari e dei giuristi cui si rivolge per tentare di recuperare i suoi beni. Sono tutti - siamo nel 1947 - nazisti. Ai loro occhi il colpevole non è Karl Moll, ma lei, Alma, perché ha sposato due ebrei.
Allora riparte, indignata. Un avvocato americano si incaricherà di recuperare il possibile.
Per Alma, Vienna è cancellata dalla carta geografica. Più tardi tornerà ancora in Europa, a Parigi, a Roma. Ma a Vienna mai.
Nonostante la solitudine nella quale Alma ha trascorso la sua vita dopo la morte di Franz sembra che, in certo modo, si sia sentita liberata. Non più mariti, non più amanti, non più creazioni artistiche da alimentare, questi piccoli animali feroci che succhiano il sangue, non più costrizioni, libera, finalmente!
Allora, adesso può mettersi a comporre? E' troppo tardi. Spesso, da qualche anno a questa parte siede al pianoforte e improvvisa, arte nella quale eccelle. Ma comporre è un'altra cosa, un lavoro, una tecnica, una disciplina. Alma non riprenderà mai più il suo sogno interrotto. Si è affermata, e con quale forza, ma attraverso il dominio che ha esercitato su alcuni uomini, piuttosto che per mezzo della propria creatività. Avrà avuto il diritto di coltivare soltanto un'arte: quella di farsi amare. Qualcuno, da qualche parte, è stato assassinato, e il suo sangue ha irrorato opere che non gli appartengono. Concluderà i suoi giorni con una nobile parte, quella della Vedova.
Adesso abita a New York, in uno dei tre appartamenti di cui è divenuta proprietaria - è una padrona di casa particolarmente esosa -, servita dalla fedele Ida, che ha fatto venire dall'Austria, e vi ha ricostruito il suo mondo: una biblioteca, una stanza per la musica, il suo ritratto di Kokoschka, il ritratto di Mahler sul pianoforte, una gran massa di opere d'arte. Ne ha tante che non sa dove metterle, e allora le regala. In questo modo Stravinskij riceverà un Klee, che a quel tempo non vale niente.
Sempre vestita di nero, ma ricoperta di gioielli, l'irriducibile vecchia signora è tornata ad assumere l'ufficio di «Vedova di Mahler», visto che la musica dei suo primo marito comincia a diventare di moda, mentre progressivamente abbandona quello di «vedova di Werfel», dato che la fama del suo terzo marito va declinando. Certi impertinenti le daranno il soprannome di «vedova delle quattro arti».
A questo punto classifica la sua corrispondenza, ricopia le lettere di Franz, corregge e censura il suo diario, brucia, distrugge, scrive memorie. Sua figlia Anna vive negli Stati Uniti, adesso, ma in California: vale a dire che sono separate da tanti chilometri quanti se vivesse in Europa.
Alma continua a svolgere un certo ruolo all'interno della comunità musicale. Nel 1959 Benjamin Britten le chiede il permesso di dedicarle il suo Notturno per tenore e piccola orchestra. E' l'invitata d'onore a tutti i concerti nel cui programma c'è musica di Mahler, assiste alle prove, cena con Leonard Bernstein, riceve Georg Solti e la moglie... E' diventata una specie di istituzione.
Ha sempre delle persone che la vanno a trovare, alle quali intima l'ordine di visitarla. E che lo fanno.
Gropius passa da casa sua ogni volta che si trova a New York. E un giorno arrivano anche due righe da Kokoschka: è in città e vorrebbe vederla. Lei esita. Ma poi dice di no. E ha ragione: non può mostrare il proprio viso distrutto a un uomo che l'ha amata nel fulgore della sua bellezza.
Allora Kokoschka le manda questo telegramma, l'ultimo: «Cara Alma, siamo eternamente uniti nella mia Fidanzata del vento».
E' stata più che l'amore della sua vita: la sua luce, la sua passione, il suo sole.
Quanto a lei... In una sera di solitudine si é posta delle domande su questo piccolo mucchio di uomini caduti ai suoi piedi, concludendo: «Io non ho mai veramente amato la musica di Mahler, non mi sono mai veramente interessata a ciò che scriveva Werfel - e non ha mai capito che cosa veramente facesse Gropius - ma Kokoschka si, Kokoschka mi ha sempre colpita».
L'asso di cuori di questo poker d'assi è senza dubbio lui, se si può parlare di cuore a proposito di questa donna. Ma le cose sono andate in modo tale che, per l'eternità, sarà sempre Alma Mahler.
La sirena dagli occhi blu è morta a ottantacinque anni, l'11 dicembre 1964, di una polmonite, con la mano stretta a quella della figlia.
Da un anno la sua mente non era più limpida e soffriva di un diabete che rifiutava di curare con il pretesto che si trattava di una «malattia ebraica» che, di conseguenza, non poteva colpirla.
Si doveva seppellirla in California con Franz Werfel? O in Austria con Gustav Mahler? Secondo i suoi desideri, riferiti dalla cameriera, Alma divide con Manon la pace dell'eternità nel cimitero di Grinzing.
Là, nella sua prigione di pietra, non vi è più spazio per l'arroganza.
Françoise Giraud (da "Alma Mahler o l'arte di essere amata", Garzanti, 1989)
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