La Seconda Sinfonia di Bruckner, la più ardente e per certi aspetti la più profetica delle sue prime Sinfonie, fu iniziata nell'autunno del 1871, un mese circa dopo il quarantasettesimo compleanno del compositore. Bruckner aveva passato l'agosto del 1871 a Londra, dove era stato molto festeggiato per le sue maestose improvvisazioni sull'organo della nuova Royal Albert Hall. Uno scandalo concernente una baruffa con alcune insegnanti del Collegio di S. Anna, a Vienna, aveva temporaneamente offuscato il suo ritorno nella città dove stava prendendo forma la sua carriera, ma sarebbe imprudente supporre che la nota angosciosa che contraddistingue l'ampia esposizione della Sinfonia abbia un'origine così immediata e parrocchiale.
La Sinfonia è, per la più gran parte, meravigliosamente serena e fiduciosa, con uno slancio suo particolare che le deriva, in modo tipicamente bruckneriano, dalla capacità che hanno i suoi temi di germogliare, fiorire e dar frutti. Lo struggente primo tema, enunciato in modo eloquente dai violoncelli nel registro acuto, è, da questo punto di vista, in tutto tipico del genio di Bruckner: il ritmo, l'armonia e la lunghezza variabile delle frasi contribuiscono insieme a un esteso sviluppo. I metri misti, un altro accorgimento caro a Bruckner, sono anch'essi in prima linea in questa esposizione, e si sentono per la prima volta nelle trombe, alla ventesima battuta. Il primo Gesangsperiode (passaggio cantabile) di rilievo è affidato di nuovo all'eloquenza dei violoncelli, questa volta in mi bemolle maggiore, ma la figura d'ostinato che segue è tutta anapesti geniali e rustici trilli, finché l'oboe e il corno non ricavano ulteriori ricchezze melodiche alla fine dell'esposizione. Qui, dopo un inizio meditabondo in minore, la musica si volge a zone più aperte. I temi vengono trattati in nuovi registri e in nuove tonalità, con uno humour secco e impassibile. Di fatto, Bruckner non mette quasi mai un piede in fallo, fino a quando non equivoca sull'arrivo della coda. Fra il 1873 (l'anno in cui la Sinfonia fu eseguita per la prima volta con successo) e il 1877, il lavoro fu sottoposto a revisioni da parte di Bruckner e del direttore musicale di corte di Vienna, Johann Herbeck. Forse nella revisione la ricaduta nella tonica è un tantino brusca; ma un'esecuzione intelligente del testo del 1877 può evitare il senso di un indebito iato a questo punto.
Il secondo movimento, che è in gran parte in la bemolle maggiore, è memorabile per la sua serenità (nella prima parte, ad esempio, manca un tutti conclusivo) e per i primi indizi che ci dà della speciale abilità di Bruckner nel raccogliere le forze intorno a momenti culminanti che sono tanto estatici quanto splendidi. Nel principale di essi, i violini creano un trasparente velo di suono attraverso il quale si sentono espandersi maestosamente legni e ottoni. Difficile da realizzare, questo passaggio fa nondimeno un effetto straordinario nelle mani di abili esecutori, al pari del seguito, profondamente immaginoso. In tutto il movimento, la parte delle viole è particolarmente ricca. E' forse un peccato che Bruckner abbia eliminato l'assolo di corno nella pagina finale, ma il taglio della ripresa ornata dei primo tema (edizione di Nowak: "vi-de" cfr. da C a E) è un raro esempio, in Bruckner, di un taglio che migliora il senso, invece di storpiarlo.
Lo Scherzo, haydniano nello spirito benchè orchestrato con formidabile ostentazione, è integrato da un Trio vistosamente indolente, nel quale le viole hanno di nuovo un ruolo dominante, e il Finale ha un carattere magnificamente impetuoso. Si osservi come la stridente entrata degli ottoni alla trentatreesima battuta venga trasformata in modo da assumere carattere motorio. Tutta questa attività viene controbilanciata ma metà del pezzo da un mirabile e precoce esempio di quel genere di enorme cadenza centrale (che qui ci trasporta verso mi bemolle) in cui sembra che Bruckner rivaluti il concetto stesso di tempo, trasformando il fare in essere, il chronos in kairos. Il materiale della cadenza, che è imparentato con il Kyrie della Messa in fa minore, ritorna nella coda - gratificante per gli archi, ed uno dei momenti migliori di tutta la Sinfonia - insieme ad una reminiscenza del tema di apertura della Sinfonia. Anche questo passaggio fu tagliato nella revisione del 1877, un taglio infelice, che viene restaurato nella presente esecuzione, e dà così alla Sinfonia quella fine estatica ed esuberante che ben merita.
Richard Osborne (Traduzione: Silvia Gaddini, note al CD DGG 415 988-2)
La Sinfonia è, per la più gran parte, meravigliosamente serena e fiduciosa, con uno slancio suo particolare che le deriva, in modo tipicamente bruckneriano, dalla capacità che hanno i suoi temi di germogliare, fiorire e dar frutti. Lo struggente primo tema, enunciato in modo eloquente dai violoncelli nel registro acuto, è, da questo punto di vista, in tutto tipico del genio di Bruckner: il ritmo, l'armonia e la lunghezza variabile delle frasi contribuiscono insieme a un esteso sviluppo. I metri misti, un altro accorgimento caro a Bruckner, sono anch'essi in prima linea in questa esposizione, e si sentono per la prima volta nelle trombe, alla ventesima battuta. Il primo Gesangsperiode (passaggio cantabile) di rilievo è affidato di nuovo all'eloquenza dei violoncelli, questa volta in mi bemolle maggiore, ma la figura d'ostinato che segue è tutta anapesti geniali e rustici trilli, finché l'oboe e il corno non ricavano ulteriori ricchezze melodiche alla fine dell'esposizione. Qui, dopo un inizio meditabondo in minore, la musica si volge a zone più aperte. I temi vengono trattati in nuovi registri e in nuove tonalità, con uno humour secco e impassibile. Di fatto, Bruckner non mette quasi mai un piede in fallo, fino a quando non equivoca sull'arrivo della coda. Fra il 1873 (l'anno in cui la Sinfonia fu eseguita per la prima volta con successo) e il 1877, il lavoro fu sottoposto a revisioni da parte di Bruckner e del direttore musicale di corte di Vienna, Johann Herbeck. Forse nella revisione la ricaduta nella tonica è un tantino brusca; ma un'esecuzione intelligente del testo del 1877 può evitare il senso di un indebito iato a questo punto.
Il secondo movimento, che è in gran parte in la bemolle maggiore, è memorabile per la sua serenità (nella prima parte, ad esempio, manca un tutti conclusivo) e per i primi indizi che ci dà della speciale abilità di Bruckner nel raccogliere le forze intorno a momenti culminanti che sono tanto estatici quanto splendidi. Nel principale di essi, i violini creano un trasparente velo di suono attraverso il quale si sentono espandersi maestosamente legni e ottoni. Difficile da realizzare, questo passaggio fa nondimeno un effetto straordinario nelle mani di abili esecutori, al pari del seguito, profondamente immaginoso. In tutto il movimento, la parte delle viole è particolarmente ricca. E' forse un peccato che Bruckner abbia eliminato l'assolo di corno nella pagina finale, ma il taglio della ripresa ornata dei primo tema (edizione di Nowak: "vi-de" cfr. da C a E) è un raro esempio, in Bruckner, di un taglio che migliora il senso, invece di storpiarlo.
Lo Scherzo, haydniano nello spirito benchè orchestrato con formidabile ostentazione, è integrato da un Trio vistosamente indolente, nel quale le viole hanno di nuovo un ruolo dominante, e il Finale ha un carattere magnificamente impetuoso. Si osservi come la stridente entrata degli ottoni alla trentatreesima battuta venga trasformata in modo da assumere carattere motorio. Tutta questa attività viene controbilanciata ma metà del pezzo da un mirabile e precoce esempio di quel genere di enorme cadenza centrale (che qui ci trasporta verso mi bemolle) in cui sembra che Bruckner rivaluti il concetto stesso di tempo, trasformando il fare in essere, il chronos in kairos. Il materiale della cadenza, che è imparentato con il Kyrie della Messa in fa minore, ritorna nella coda - gratificante per gli archi, ed uno dei momenti migliori di tutta la Sinfonia - insieme ad una reminiscenza del tema di apertura della Sinfonia. Anche questo passaggio fu tagliato nella revisione del 1877, un taglio infelice, che viene restaurato nella presente esecuzione, e dà così alla Sinfonia quella fine estatica ed esuberante che ben merita.
Richard Osborne (Traduzione: Silvia Gaddini, note al CD DGG 415 988-2)
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