E’ in questo modo che gli archivi municipali di Lipsia raccontano questo sorprendente aneddoto della vita di Johann Sebastian Bach. Siamo alla fine dell’anno 1717, esattamente il 2 dicembre. Bach ha appena finito di passare quattro settimane agli arresti. Il suo signore, il duca di Weimar, non aveva sopportato che il suo brillante musicista avesse potuto immaginare di abbandonare il suo servizio e, per farlo riflettere, l’aveva messo in prigione!
Sarà dunque durante questo periodo che Bach dedicherà il suo tempo a questo “piccolo libro d’organo, nel quale l’organista principiante è iniziato ad eseguire in ogni modo un corale, oltre che a perfezionarsi nello studio del pedale….”
Tutto Bach è in questo progetto che, a dire il vero, rimane incompiuto. Incompiuto perché il manoscritto contiene lo spazio (ed i titoli) deli centosessantaquattro corali disposti nell'ordine dell’anno liturgico, come erano nella pratica religiosa della Turingia. Solo quarantacinque corali saranno scritti. Pedagogico? Evidentemente, il titolo lo indica chiaramente. A chi pensava, lui che si trovava lontano dalla famiglia? Senza dubbio ai suoi figli Wilhelm Friedman e Carl Philip Emanuel, ma quest’ultimi erano ancora troppo piccoli per arrivare con i piedi ai pedali dell’organo… Rigoroso. Certo, ogni corale è scritto a quattro voci, ogni corale
contiene una sola volta la citazione del “cantus firmus”. Il piccolo libro prevede di contenere tutti i corali necessari all’anno liturgico.
E perchè questo lavoro rimane incompiuto? Vedremo in seguito la cura con la quale Bach metterà il punto finale a diverse raccolte, quella del Clavierübng, quella delle Suites, delle Partite, delle Sonate. Qui tutto si ferma, lasciando il piccolo libro nel suo stato imperfetto. Aveva la sensazione di aver detto tutto? Impossibile. Bach non ha mai detto tutto, non cessa mai di stupirci, di emozionarci. Le ragioni sono forse più semplici. Lasciava il servizio del dica di Weimar nell’idea di diventare musicista di corte a Coethen. Mette a semplicemente a profitto questo periodo d’isolamento per immergersi dentro una riflessione profonda su quei testi e quei corali che sono la base del suo nutrimento spirituale. Sa bene che a Coethen, al prezzo di una situazione che spera economicamente più confortante, non avrà più nessuna responsabilità nell'ambiente della musica religiosa, poiché il suo signore è calvinista. Se a Weimar la sua produzione organistica è principalmente quella dei grandi brani virtuosi eredi dello “stylus fantasticus” imparato da Buxtehude a Lubecca, è adesso con questo rigore, con questa intimità, che mette il punto finale al suo lavoro di musicista di chiesa, almeno per il momento. E curiosamente, quando diventa Kantor della chiesa di San Tommaso a Lipsia nel 1723, non si interessa più a questa raccolta.
Mai le melodie di un corale sono state trattate con tanta sensibilità. Ogni melodia è situata in uno scrigno unico, sempre nuovo, sempre immaginativo. Non vi è ombra di dubbio che se avesse continuato, Bach avrebbe trovato la soluzione per variare le 119 altre possibilità offerte dagli altri corali previsti. La melodia del corale è presente in ogni brano, passeggia di voce in voce, è lì, a volte semplicissima, a volte ornamentata con quel significato così importante che Bach accorda ai suoi abbellimenti, che non sono mai aggiunti al discorso musicale, ma sempre ben integrati.
Quando poco tempo dopo scriverà per il suo primogenito Wilhelm Friedman un “piccolo libro per tastiera”, il primo brano non ha forse ha uno scopo pedagogico di sviluppare nelle dita (e nella testa) dell’allievo l’importanza di questi ornamenti che costituiscono l’essenza stessa del discorso?
Ed è senza dubbio nell’Orgelbüchlein, che colpisce di più. Certo l’arte del contrappunto è rigorosa, perfetta, esemplare. Certo le figure retoriche e le allusioni quasi descrittive sono evidenti come le imponenti settime discendenti del pedale che evocano con tanta forza la “Caduta d’Adamo”…
Ma ciò che tocca più profondamente l’anima e il cuore sono quei corali dove tutto sembra fermarsi all’improvviso per lasciare spazio a questa nostalgia, a questo canto sublime che solo Bach ha potuto trovare per far parlare il cuore del credente. Ich ruf zu dir, O Mensch bewein dein Sünde groß , Wenn wir in höchsten Nöten sein, quei corali dove il credente si ritrova solo nel punto della vita dove solo Dio gli può portare conforto, consolazione, compassione…
E infine, Das Alte Jahr vergangen ist: non si è mai vista espressione più esatta per evocare il sentimento indicibile proprio di quello strano momento dell’anno nuovo, questo passaggio che porta sempre con sé la sensazione di lasciare dietro di sé un passato pieno di ricordi tristi e felici, un passato irrimediabilmente perduto. Là dove altri si accontenterebbero di cantare superficialmente lo spirito del futuro, Bach si lascia andare a questo sogno sublime sul tempo passato.
Jerôme Lejeune (traduzione di Andrea De Carlo)
Nessun commento:
Posta un commento