È il 1974. Lucio Battisti è reduce da due dei dischi più importanti della sua discografia, "Il mio canto libero" del 1972 e "Il nostro caro angelo" del 1973, contenenti classici della musica italiana quali "Io vorrei... non vorrei... ma se vuoi", "La collina dei ciliegi" e le due rispettive title track, brani all'epoca molto gettonati e ancora oggi amati anche dai più giovani. Ma il Battisti di quell'anno è un artista nuovo e inedito, intento a mettere in crisi l'idea che una parte del pubblico e della critica si era fatta di lui. In "Anima latina", infatti, si perdono le tracce del Battisti nazional-popolare e si scopre un musicista impegnato a rifuggire la melodia semplice e immediata che aveva contraddistinto la sua produzione precedente e che lo aveva reso uno dei cantanti più amati d'Italia, ma nel contempo anche detestato da quelle frange estremiste della critica militante che coglievano nella semplicità delle canzoni d'amore a firma Mogol-Battisti un disimpegno reazionario rispetto alla canzone di protesta e di denuncia sociale proposta dai cantautori "impegnati". Tutte cazzate, ovviamente, sparate da chi allora si ostinava a politicizzare la musica: ogni grande artista ha delle sue peculiarità, e se la poesia anarchica di De André e Claudio Lolli conserva ancora il suo fascino ribelle, le "canzonette" di Lucio Battisti e Mogol hanno la capacità di toccare le corde più sensibili dell'uomo comune. In "Anima latina", però, le melodie diventano più complesse e meno immediate, la ritmica si complica (concedendosi in alcuni casi anche tempi dispari) e gli arrangiamenti stratificati offrono la possibilità a Battisti e alla sua band di entrare e uscire ripetutamente dal formato-canzone. Praticamente una rivoluzione per il pop italiano dell'epoca. Rivoluzione che coinvolge anche i testi di Mogol, i quali, a parere di chi scrive, raggiungono qui il loro apice di intensità: già nei dischi precedenti Giulio Rapetti (vero nome del paroliere italiano) era riuscito a limitare le cadute di stile e le banalità in cui spesso incappava, ma è in "Anima latina" che le sue composizioni liriche emergono in tutto il loro splendore evocativo, immaginifico e icastico.
"Anima latina" mostra, dunque, un'altra faccia di Lucio Battisti, quella dello sperimentatore che, dopo un viaggio in Brasile e Argentina, accoglie le influenze delle musiche tradizionali sudamericane declinandole alle dinamiche non solo della canzone d'autore, ma anche della musica prog italiana. Una via mediterranea al progressive rock: questo è il significato musicale ultimo del titolo "Anima latina".
I musicisti coinvolti nel progetto sono molteplici: Bob Callero e Ares Tavolazzi ad alternarsi al basso; Gianni Dell'Aglio, Franco Lo Previte e Karl Potter tra batteria e percussioni; Claudio Maioli alle tastiere e Claudio Pascoli ai fiati; i camei tra i cori di Mario Lavezzi e Alberto Radius. In pratica, una sorta di band allargata a sostegno del disco battistiano più ricco dal punto di vista strumentale.
Un primo saggio di prog latino viene subito offerto dalla fatata "Abbracciala abbracciali abbracciati", che inizia sorniona con batteria e rarefazioni elettroniche, si scatena nel tripudio festante delle trombe e si trasforma poi in una jam bulimica che centrifuga di tutto (un vivace basso funk, percussioni latine, disturbi sintetici, un flauto filtrato e un breve assolo di sax!). "Due mondi", cantata in coppia con Mara Cubeddu dei Flora Fauna Cemento, e "Gli uomini celesti" sono i pezzi nei quali gli influssi della musica latino-americana sono più evidenti: la prima è una sorta di flamenco impuro, arricchito da una sezione fiati stratosferica e dagli orgasmi delle tastiere; la seconda è una samba avvolta nelle atmosfere oniriche del sintetizzatore e squarciata da un breve intermezzo percussivo quasi "concreto". Qui la voce di Battisti è effettata e giunge all'ascoltatore come fosse remota; un espediente, questo, a cui il musicista di Poggio Bustone ricorre spesso nel disco con lo scopo di stimolare l'attenzione di chi ascolta.
L'incipit di "Anonimo" si sublima in un luccichio sommesso di suoni sintetizzati, accompagnati dalla melodia bucolica intonata da Battisti. Ben presto, però, il brano si dipana in una nuova jam pastorale per basso, batteria, flauto e vibrafono alla quale si aggrega poi anche il canto di Battisti. Nel finale il brano diventa prima un fandango sinistro e poi scema nell'appendice ironica che ripropone in chiave bandistica il motivo de "I giardini di marzo".
Dopo le brevi riprese di "Gli uomini celesti" e "Due mondi", arriva il capolavoro "Anima latina", che prende avvio da una introduzione strumentale (affidata all'intreccio incantato di sintetizzatore, piano, chitarra acustica e percussioni) propedeutica all'attacco melodico di Battisti, la cui voce diventa strumento supremo: flebile, si contorce al limite della stonatura col suo timbro fioco e inusuale eppure familiare ed elegante. Il brano evolve, infine, in una danza carioca sfrenata e liberatoria.
La canzone più complessa del lotto è "Macchina del tempo", pezzo in cui la band pare lavorare per accumuli di materiale musicale: concatena diverse linee melodiche, varia pervicacemente il ritmo, confonde i registri. Battisti non poteva realizzare brano più distante dalla semplicità (che resta magnifica, sia chiaro) de "La canzone del sole" tanto bistrattata dai suoi detrattori.
Restano ancora da approfondire alcuni aspetti delle liriche, che hanno come tema principale l'erotismo: da una parte ci sono quelle che raccontano, in modo delicato e voluttuoso, la scoperta del sesso in età puberale ("Anonimo", "Il salame"); dall'altra quelle che celebrano il momento dell'unione carnale come tripudio dei sensi ("Abbracciala abbracciali abbracciati", "Due mondi"). Le soluzioni poetiche adottate da Mogol, inoltre, sembrano ricollegarsi tanto alla poesia crepuscolare (nell'adozione di un linguaggio colloquiale e quotidiano) quanto alla poesia ermetica (nella semplificazione sintattica e nella criptica inafferrabilità del significato).
Variegate sono anche le tipologie di rima a cui il re dei parolieri italiani fa ricorso; non solo quella baciata, ma anche la rima interna ("se tu confondi i mondi: amore e proprietà" da "Macchina del tempo"), la rima inclusiva ("Allontaniamoci verso / il centro dell'universo" da "Abbracciala abbracciali abbracciati") e la consonanza ("L'universo che respira / e sospinge la tua sfera/ e la luce che ti sfiora" da "Due mondi").
Nonostante il suo carattere ostico, soprattutto per i fan che probabilmente reclamavano da Battisti l'ennesima hit, "Anima latina" rimase in classifica ben sessantacinque settimane, sebbene ancora oggi tutte le canzoni presenti in scaletta sono pressoché sconosciute al grande pubblico.
di Salvatore Setola (www.ondarock.it)
"Anima latina" mostra, dunque, un'altra faccia di Lucio Battisti, quella dello sperimentatore che, dopo un viaggio in Brasile e Argentina, accoglie le influenze delle musiche tradizionali sudamericane declinandole alle dinamiche non solo della canzone d'autore, ma anche della musica prog italiana. Una via mediterranea al progressive rock: questo è il significato musicale ultimo del titolo "Anima latina".
I musicisti coinvolti nel progetto sono molteplici: Bob Callero e Ares Tavolazzi ad alternarsi al basso; Gianni Dell'Aglio, Franco Lo Previte e Karl Potter tra batteria e percussioni; Claudio Maioli alle tastiere e Claudio Pascoli ai fiati; i camei tra i cori di Mario Lavezzi e Alberto Radius. In pratica, una sorta di band allargata a sostegno del disco battistiano più ricco dal punto di vista strumentale.
Un primo saggio di prog latino viene subito offerto dalla fatata "Abbracciala abbracciali abbracciati", che inizia sorniona con batteria e rarefazioni elettroniche, si scatena nel tripudio festante delle trombe e si trasforma poi in una jam bulimica che centrifuga di tutto (un vivace basso funk, percussioni latine, disturbi sintetici, un flauto filtrato e un breve assolo di sax!). "Due mondi", cantata in coppia con Mara Cubeddu dei Flora Fauna Cemento, e "Gli uomini celesti" sono i pezzi nei quali gli influssi della musica latino-americana sono più evidenti: la prima è una sorta di flamenco impuro, arricchito da una sezione fiati stratosferica e dagli orgasmi delle tastiere; la seconda è una samba avvolta nelle atmosfere oniriche del sintetizzatore e squarciata da un breve intermezzo percussivo quasi "concreto". Qui la voce di Battisti è effettata e giunge all'ascoltatore come fosse remota; un espediente, questo, a cui il musicista di Poggio Bustone ricorre spesso nel disco con lo scopo di stimolare l'attenzione di chi ascolta.
L'incipit di "Anonimo" si sublima in un luccichio sommesso di suoni sintetizzati, accompagnati dalla melodia bucolica intonata da Battisti. Ben presto, però, il brano si dipana in una nuova jam pastorale per basso, batteria, flauto e vibrafono alla quale si aggrega poi anche il canto di Battisti. Nel finale il brano diventa prima un fandango sinistro e poi scema nell'appendice ironica che ripropone in chiave bandistica il motivo de "I giardini di marzo".
Dopo le brevi riprese di "Gli uomini celesti" e "Due mondi", arriva il capolavoro "Anima latina", che prende avvio da una introduzione strumentale (affidata all'intreccio incantato di sintetizzatore, piano, chitarra acustica e percussioni) propedeutica all'attacco melodico di Battisti, la cui voce diventa strumento supremo: flebile, si contorce al limite della stonatura col suo timbro fioco e inusuale eppure familiare ed elegante. Il brano evolve, infine, in una danza carioca sfrenata e liberatoria.
La canzone più complessa del lotto è "Macchina del tempo", pezzo in cui la band pare lavorare per accumuli di materiale musicale: concatena diverse linee melodiche, varia pervicacemente il ritmo, confonde i registri. Battisti non poteva realizzare brano più distante dalla semplicità (che resta magnifica, sia chiaro) de "La canzone del sole" tanto bistrattata dai suoi detrattori.
Restano ancora da approfondire alcuni aspetti delle liriche, che hanno come tema principale l'erotismo: da una parte ci sono quelle che raccontano, in modo delicato e voluttuoso, la scoperta del sesso in età puberale ("Anonimo", "Il salame"); dall'altra quelle che celebrano il momento dell'unione carnale come tripudio dei sensi ("Abbracciala abbracciali abbracciati", "Due mondi"). Le soluzioni poetiche adottate da Mogol, inoltre, sembrano ricollegarsi tanto alla poesia crepuscolare (nell'adozione di un linguaggio colloquiale e quotidiano) quanto alla poesia ermetica (nella semplificazione sintattica e nella criptica inafferrabilità del significato).
Variegate sono anche le tipologie di rima a cui il re dei parolieri italiani fa ricorso; non solo quella baciata, ma anche la rima interna ("se tu confondi i mondi: amore e proprietà" da "Macchina del tempo"), la rima inclusiva ("Allontaniamoci verso / il centro dell'universo" da "Abbracciala abbracciali abbracciati") e la consonanza ("L'universo che respira / e sospinge la tua sfera/ e la luce che ti sfiora" da "Due mondi").
Nonostante il suo carattere ostico, soprattutto per i fan che probabilmente reclamavano da Battisti l'ennesima hit, "Anima latina" rimase in classifica ben sessantacinque settimane, sebbene ancora oggi tutte le canzoni presenti in scaletta sono pressoché sconosciute al grande pubblico.
di Salvatore Setola (www.ondarock.it)
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