Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

domenica, gennaio 31, 2016

Ivo Pogorelich: l'ultimo romantico

Ivo Pogorelich (20 ottobre 1958)
Figlio di un contrabbassista, Ivo Pogorelich è nato a Belgrado il 20 ottobre 1958. A sette anni inizia a studiare il pianoforte, a 12 si trasferisce in Russia dove completa gli studi al Conservatorio di Mosca. A vent'anni vince il Concorso "Casagrande" di Terni e due anni dopo trionfa all'International music competition di Montreal, Canada. Ma è la partecipazione al Concorso "Chopin" di Varsavia, nel 1980, a dare una svolta alla sua carriera. La commissione decide di non ammetterlo in finale. Marta Argerich, che è membro di giuria, in segno di protesta si dimette. E il nome di Pogorelich fa subito il giro del mondo. Nel frattempo sposa Aliza Kezeradze, la sua maestra di pianoforte. È molto più anziana di lui: per i benpensanti è uno scandalo. Debutta a Londra, Parigi, New York, Zurigo, Madrid, Bruxelles, Amsterdam, Roma, Milano, Tel Aviv, Tokio. Nel 1981 esce il suo primo disco con la Deutsche Grammophon con la quale firma un contratto in esclusiva. Lavora con le maggiori orchestre sinfoniche. Conosce Herbert von Karajan. Tra il leggendario direttore d'orchestra e il giovane artista jugoslavo il clima è teso. Alla fine il capo dei Berliner gli dice: «Si cerchi un altro direttore». E lui sceglie Claudio Abbado con il quale registra il 2°concerto di Chopin e il 1° di Ciakovski. Nel 1993 fonda in California il concorso pianistico "Ivo Pogorelich" per aiutare i giovani artisti di talento. Il montepremi è di 150 mila dollari, circa 200 milioni di lire. Per il suo impegno a raccogliere fondi per l'ex-jugoslavia l'Unesco lo nomina "Ambasciatore di buona volontà". Sulla sua arte il mondo pianistico è diviso in due: chi lo considera l'ultimo grande virtuoso del Novecento e chi trova insopportabili le sue interpretazioni. Ma ogni volta che tiene un concerto fa il tutto esaurito. Oggi ha 38 anni, la moglie Aliza è morta, e lui è rimasto solo nella grande casa alle porte di Londra. Nel 1980 venne criticata la sua eliminazione al concorso "Chopin" di Varsavia. Adesso è impegnato in prima persona al Concorso "Pogorelich" in California. Non è una contraddizione? No, sono due cose diverse. Lo "Chopin" di Varsavia era organizzato dallo stato, con implicazioni politiche. Il mio concorso non ha niente a che fare con la politica. Ha delle regole diverse da quelle solite. Per esempio i concorsi impongono un limite d'età massimo, di solito 30-35 anni. In questo caso invece c'è stato soltanto un limite d'età minimo (22 anni). Non c'è orchestra, e per la seconda e terza prova il programma è a scelta. La prima edizione è stata nel 1993, hanno vinto a pari merito un cinese e un australiano, che si sono divisi un monte premi di 150 mila dollari (circa 200 milioni di lire). Ho insistito per avere un premio molto alto, perché potesse essere d'aiuto per dei giovani all'inizio della carriera. Il pubblico femminile l'adora. Per come suona e per la sua avvenenza. Quanto importante la bellezza per un artista? Non me ne sono mai curato tanto, sono troppo concentrato sul mio lavoro. A volte trovo che gli aspetti più frivoli di una carriera di successo, anche commerciale, siano in realtà controproducenti per il lavoro più serio e accademico. Ho deciso di tornare a studiare, in un certo senso per me è importante considerarmi ancora uno studente. Mi affascina imparare e non tengo in grande considerazione questi aspetti di marketing. Le donne si interessano di me? Non ho niente in contrario. Quanti concerti tiene in un anno? Cinquanta, sessanta al massimo. La maggior parte come solista, il resto con l'orchestra. Ha studiato per molti anni al Conservatorio di Mosca; la scuola pianistica russa è ancora la più forte del mondo? In realtà i miei studi non hanno niente a che fare con la cosiddetta scuola russa. Mi sono rifatto a una tradizione che affonda le sue radici più indietro, partendo da Franz Liszt. Per quanto riguarda la situazione attuale non posso dare nessun giudizio perché il panorama musicale mondiale è molto cambiato. Non esiste più nessun posto che si possa definire "il" centro musicale per eccellenza. Motivi economici e sociali hanno reso la società odierna dispersiva. I musicisti viaggiano di più, accumulano esperienze e ci sono tanti centri di gravità. Prima ha detto che si sente ancora studente; che cosa intendeva dire? Tanto per essere chiari: ho sempre studiato il mio strumento. Intendevo dire che adesso studio anche aspetti più generali di cultura musicale. Per esempio sto approfondendo il concetto di musica etnica. Perchè nei suoi programmi non suona quasi mai musica contemporanea? Tutta la musica è contemporanea. D'accordo, allora diciamo che suona poca musica composta negli ultimi cinquant'anni. Prima di tutto perché non ho abbastanza informazioni su questo tipo di musica. E poi nel mio repertorio c'è della musica scritta esattamente in quel periodo, come Prokofiev. Non intendo dire che non mi piace la musica contemporanea, solo che non la conosco bene. Suonare senza convinzione non mi interessa. Devo trovare degli stimoli per fare qualcosa. La maggioranza degli artisti vuole primeggiare in quello che fa. In certi momenti della vita si sente il desidero di fare nuove esperienze, di approfondire le proprie conoscenze, di affrontare altre aree di attività. Per adesso aspetto. Ha mai provato a comporre, o anche solo a improvvisare alla tastiera? Per queste cose ci vuole un speciale talento. No, credo che ognuno debba stare al proprio posto. Negli ultimi tempi molti pianisti si sono messi a dirigere orchestre, per esempio, Vladimir Ashkenazy. Lei ha mai avuto questa tentazione? Non ho niente contro questa moda. Dopotutto, nel passato, c'erano dei musicisti che suonavano più di uno strumento, e c'erano solisti che dirigevano l'orchestra che li accompagnava. Però va anche tenuto presente che essere un buon direttore d'orchestra richiede la stessa esperienza e studio necessari per suonare uno strumento. È una questione di scelta: ognuno deve decidere quale attività tenere come un hobby e quale come professione. Molti anni fa Glenn Gould decise di non suonare più dal vivo e di dedicarsi esclusivamente alle incisioni. Lei che rapporto ha con il disco? Il caso di Gould è speciale. All'epoca, il progresso tecnologico della riproduzione sonora era stato sbalorditivo. Da un anno all'altro venivano scoperte nuove invenzioni, basta pensare alla stereofonia, all'alta fedeltà, ai long playing. Era comprensibile che un musicista potesse convincersi che l'esibizione dal vivo fosse una cosa superata e venisse tentato di abbandonarla. Credo tuttavia che per un artista sarebbe una restrizione eccessiva limitarsi a una delle due forme di espressione, altrimenti prima o poi ne dovrà pagare le conseguenze. Spesso si scoprono nuove sfumature grazie all'interazione col pubblico che può soltanto avvenire in sala da concerto. Perciò la cosa migliore è considerare sala d'incisione e recital come due modi completamente diversi di fare musica, ognuno dei quali segue le proprie regole. Non mi piacciono, invece, i dischi registrati dal vivo, perché è impossibile soddisfare allo stesso tempo le richieste dei microfoni e quelle del pubblico in sala. A proposito di CD, quali sono i suoi prossimi impegni discografici? Verso marzo dovrebbe uscire un'incisione per la Deutsche Grammophon con i Quadri di Mussorgsky e i Valses nobles di Ravel. Poi dovrei registrare Chopin, probabilmente una sonata di Rachmaninov e due concerti di Sciostakovic. Ci sarà spazio anche per la musica da camera? Non mi è mai interessata, perché, come per la direzione d'orchestra, è un'attività che richiede molta partecipazione e un impegno a tempo pieno. I musicisti che suonano insieme dovrebbero avere, se non la stessa scuola, almeno la stessa estetica musicale, la stessa educazione, lo stesso background culturale. E anche questo non basta. È necessario un tempo molto lungo per affiatarsi. Una curiosità: le è mai capitato di ascoltare un collega e di pensare «diavolo, suona meglio di me!» Mi sforzo di non pensare mai in termini di confronti. La questione principale è dare il massimo. È importante studiare sempre a fondo, porsi continuamente in discussione, anche durante un concerto. Un'interpretazione deve essere onesta, genuina. Non ci si deve accontentare di conoscere superficialmente un pezzo. In questo senso non sono mai veramente soddisfatto di me stesso. A 38 anni lei è un virtuoso della tastiera. Ha paura di invecchiare? In realtà il dominio più profondo dello strumento si sviluppa con l'età, non il contrario. Ed è giusto che sia così. Di recente mi sono impegnato in un programma di esercizio fisico studiato appositamente per chi non può fare sforzi troppo impegnativi per le braccia. Mi sono rivolto a un dottore che è stato così colpito dalla mia richiesta che ora ci sta scrivendo un libro. È la prima volta che faccio ginnastica seriamente! I risultati sono ottimi, pensi che riesco a stare per ore seduto al pianoforte senza il minimo mal di schiena. È proprio vero il proverbio latino mens sana in corpore sano. Qual è stato il complimento più bello che ha ricevuto? No, no... non è il caso. Glielo dico dopo, a intervista terminata. Ascolta mai le esecuzioni di altri pianisti? Mi affascinano le esecuzioni dei grandi maestri del passato, e ascolto le registrazioni storiche dei pianisti dell'inizio del secolo. Rachmaninov, Hoffman... Mi interessa quell'epoca perché i canoni estetici sono cambiati, il modo di affrontare il fraseggio è cambiato, ma non la loro profonda musicalità. Mi piace molto ascoltare la lirica e musica vocale. Adoro Montserrat Caballé. A proposito di bel canto, negli ultimi anni la lirica è diventata più spettacolare, basti pensare ai tre tenori. Non crede che anche i pianisti dovrebbero aprirsi a un pubblico più ampio? Credo che il fenomeno dei tre tenori sia collegato, soprattutto, alla televisione. È un'ottima cosa che la lirica sia così popolare, ma non sono sicuro che guardare un pianista alla tastiera sia altrettanto interessante per il pubblico televisivo. Inoltre, sono convinto che la diffusione della musica dipenda più da un'istruzione capillare. Purtroppo c'è un trend mondiale per cui i governi stanno tagliando i fondi alla cultura. Più che a una presentazione commerciale della musica per pianoforte bisognerebbe investire nell'educazione. Ascolta mai musica leggera? Durante il mio ultimo viaggio in Sud America sono stato colpito dalla musica popolare brasiliana. Tutte le volte che avevo un momento libero cercavo di andare a sentirla. Mi piace la loro musica tradizionale, ma anche il rock. Una sera a Rio sono andato a sentire uno famoso gruppo locale. I musicisti della band mi hanno riconosciuto e la sera dopo sono venuti al mio concerto e la cosa naturalmente ha fatto sensazione. Erano veramente di talento, tanto che chiesi se avevano studiato composizione, le loro armonie erano così complesse. Mi hanno risposto di no, ma ho avuto l'impressione che l'intera nazione sia molto musicale; in Brasile si fa musica dappertutto. Perché la musica di Chopin si dice classica e non leggera? Non bisogna dimenticare che Chopin era un musicista molto colto, aveva viaggiato, e i suoi soggiorni avevano arricchito la sua formazione musicale. Per esempio in Spagna venne a contatto con la musica folk di quella nazione, ci sono delle influenze evidenti in alcune delle sue mazurche. Tuttavia la sua musica appartiene a un mondo esclusivo, aristocratico, raffinato, e perciò difficilmente popolare. Lei è un grande interprete di Chopin. Se fosse ancora vivo che cosa vorrebbe chiedergli? È una cosa a cui non ho mai pensato. Per me é importante che la musica rimanga enigmatica. Ci sono stati casi di interpreti che conoscevano i compositori di cui suonavano la musica. Ma anche allora non era davvero importante che il compositore sviscerasse tutte le sue intenzioni con l'interprete. Anzi, deve restare sempre una parte d'ombra e di mistero per il pianista che entra, tramite la musica, nell'animo di un altro essere umano. Ha mai suonato un pianoforte digitale? Che cos'é? Non li conosco. Forse ne ho visto qualcuno in Giappone. Comunque, tutti gli strumenti sono una buona cosa. La musica va diffusa, le scuole di musica non sono mai abbastanza, e se i pianoforti digitali permettono a più persone di avvicinarsi alla musica, perché no? Un solista è spesso in tournée da solo. Come affronta questa situazione? Le pesa, è faticosa? Chiunque viaggi molto deve trovare una propria routine che va osservata. La cosa più importante è di riposare abbastanza, intendo proprio dormire un numero sufficiente di ore. Una delle cose che mi disturba di più è il continuo cambiamento di clima, e l'imprevedibilità. Sono in Italia da una settimana, e non ho visto ancora il sole una volta. È importante avere cura della propria forma fisica, fare passeggiate. C'è qualcosa di intensamente impersonale in questo stile di vita. Cambio letto ogni sera, e anche se scelgo hotel confortevoli, è qualcosa a cui non mi sono mai abituato. Ogni volta è diversa l'acqua, cambia la cultura, i paesi, i continenti. Certo, è una vita che ha il suo fascino, ma l’uomo non è fatto per questi ritmi. Bisogna essere forti sia fisicamente sia psicologicamente. Io cerco di concentrarmi solo sul lavoro. L'importante è che ci sia sempre un pianoforte. Oggi dove vive? A Londra, ma fuori città, quasi in campagna. Lei è originario di Belgrado. Finalmente sembra che la guerra in Jugoslavia sia finita. Era davvero necessaria? È una questione troppo complicata, preferisco non discuterne. Vorrei restare completamente estraneo a simili discussioni. L'intervista finisce qui. Il maestro accende il sottile sigaro che ha tenuto tra le labbra per tutto il tempo. Mi guarda in faccia e dice sottovoce: mi aveva chiesto il complimento più bello? Quando Herbert von Karajan ha detto che il mio pianoforte sembrava un'orchestra.
 
Filippo Michelangeli, 1996  (in collaborazione con Cecilia Rivers)

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