Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

mercoledì, giugno 11, 2025

Rai-Programmazione brani... ci pensa il... computer

Il numero di volte che un brano viene trasmesso ogni settimana dalla RAI viene controllato adesso da un computer il cui terminale è direttamente collegato con Roma. I limiti e le possibilità del nuovo diretto controllo in una intervista con Pierluigi Tabasso, dirigente dell'ente radiotelevisivo.

Quando si parla di «computer» in campo musicale, viene naturale pensare alle ultimissime elaborazioni in musica contemporanea dove viene programmato a schede... un intero concerto, Ma qui si tratta invece di un tipo di controllo effettuato dalla Rai sul numero di volte che uno stesso brano viene trasmesso settimanalmente.
Il centro elettronico di controllo non è stato creato in questi giorni. è in funzione già da alcuni anni; la novità sta nel fatto che i dati elaborati vengono, in questi giorni, rigorosamente tenuti presente per la regolamentazione dei passaggi di ogni brano.
Ho chiesto ad un dirigente della Rai. Pierluigi Tabasso, capo del «Servizio dischi» da cui, tra l'altro, dipendono direttamente alcuni tra i più popolari programmi di musica come «Supersonic», «Folk-jockey», «Cararai» e «L'uomo della notte», in cosa consistessero le novità circa questi rigorosissimi controlli. Alcuni discografici parlano di pugno di ferro, di guerra al 45 giri, di eccessive limitazioni persino nelle visite dei discografici ai funzionari e programmatori (un programmatore dipendente dall'ufficio promozioni di una casa discografica non può accedere più di due volte la settimana nel palazzone di Viale Mazzini dove ha sede la Rai per proporre nuovi brani all'ascolto).
«In effetti - ha iniziato Tabasso - già da tempo, per distribuire equamente la programmazione dei vari dischi, consultavamo il centro elettronico, solo che, per conoscere i dati elaborati a Torino, dovevamo attenderne l'arrivo materiale, a mezzo posta. Ritardi postali. giorni festivi ecc. ci rendevano impossibile un tempestivo intervento per modificare scalette (successione di dischi da mandare in onda) dove un pezzo risultasse ultratrasmesso ed un altro meno di quanto fosse giusto. Perché, come saprai. i dischi in Rai sono scelti da programmatori, quasi tutti collaboratori esterni che,  non essendo in contatto tra loro, potrebbero al limite presentare in uno stesso giorno una scaletta con gli stessi dischi degli altri. creando cosi trasmissioni identiche tra loro e presentando uno stesso brano un numero eccessivo di volte.
Il controllo, che operiamo Zivelli ed io, si rende indispensabile, sia per questo motivo sia per evitare che qualche programmatore programmi qualche disco più del dovuto creando una situazione di privilegio di un disco, magari mediocre, nei confronti di un altro più meritevole. Per compiere meglio e con maggiore tempestività tale controllo abbiamo fatto installare a Roma un terminale del computer in maniera da avere a giro di ore in qualsiasi momento la situazione sotto controllo».
- Cosa intendi per provvedere? Cambiate a vostro giudizio le scalette dei programmatori sostituendo il brano - che «eccede» con uno meno programmato, a vostra scelta?
«Non lo facciamo arbitrariamente: invitiamo lo stesso programmatore a sostituire il brano in questione con uno che, sempre a suo avviso, abbia più o meno caratteristiche analoghe e che quindi non alteri la composizione ritmica della successione».
- Quanti «passaggi» al massimo, sono consentiti per ogni brano?
«Quattro».
- Al giorno?
«No. quattro la settimana; ma in qualche caso particolare possono essere portati a cinque».
- Ma non vi sembra troppo limitativo e non vi sembra di fare troppo «d'un erba un fascio»? Se capita un pezzo particolarmente buono, che finisca addirittura primo in classifica, che sia realmente gradito agli ascoltatori, voi dandogli un massimo di 5 passaggi settimanali non pensate di «bloccarlo» o comunque di andare contro il gusto del pubblico?
«In genere se un pezzo deve andar bene va bene lo stesso, comunque, anche se vi sono questi limiti, il provvedimento è essenzialmente mirante ad evitare gonfiature di pezzi "fasulli"; il discorso inverso a quello del brano decente che viene "limitato" è quello del brano inesistente, squalificato, ultracommerciale che viene gonfiato e che, tramite proprio il plagio quotidiano, riesce ad imporsi malgrado tutto. Noi pensiamo che questo sistema rappresenti realmente una garanzia per tutti: c'è più spazio per tutti, ora che non viene accaparrato in esclusiva da dieci o venti pezzi al giorno; oltretutto miriamo anche a presentare musica migliore, la vostra musica, ad esempio, che prima era alquanto sacrificata  da quella più commerciale».
- Culturalmente, quindi, il controllo più rigoroso dovrebbe risultare più vantaggioso; se fosse cosi ci sarebbe davvero, finalmente, da fare un elogio alla Rai. Ma c'è un altro problema, ed è quello che ogni casa discografica, anche quelle produttrici di dischi scadenti e squalificati, si affretterà a  sottoporre una gran massa di dischi assurdi, fidando sul turno dei quattro, cinque a settimana che spettano ad ogni  disco.
«Questo rischio viene annullato dal fatto che i nostri programmatori restano comunque e sempre arbitri della «scelta» e poiché si tratta di gente preparata, qualificata, senza dubbio eviterà i prodotti squalificati. Piuttosto, ora che la manna dei dischi ultraprogrammati è finita, può darsi che i discografici si decidano a produrre cose sempre migliori e  che affidino la vendita del prodotto alle sue qualità piuttosto che al numero di passaggi che in un modo o nell'altro cercano di ottenere».
- Venivano corrotti i programmatori? E' questo che vuoidire?
«Non sto assolutamente affermando questo, ma poteva essere carpita la buona fede di qualcuno. questo sì. In tutti i modi ora c'è il computer».
- E' il caso di dire che ora «la ...programmazione è uguale per tutti», grazie a mister cervellone. Noi ci auguriamo che questo maggior spazio che si è creato venga riempito con buona musica e non con altre canzonette che non attendono altro che di raggiungere il record di ben cinque passaggi a settimana.
Renato Marengo
("Ciao 2001", 28 Aprile 1974, N. 17, Anno VI)

martedì, giugno 03, 2025

Erik Satie secondo Alberto Savinio

Al nome di Erik Satie, si suole premettere la parola «ca
so». Si dice: il caso Erik Satie. Segno che in questo musicista è qualcosa di singolare. Infatti. Ma il caso Satie, meglio che dai musicologi, sarà risolto da uno psicologo. La condizione di Erik Satie è una condizione misteriosa e tragica. Frequente in tutte le attività umane, ma grave soprattutto nelle attività dell'arte, ossia nelle attività che implicano il miracolo della creazione. Condizione di colui che vuole ma non può. Se qualcuno fosse riuscito a far confessare a Erik Satie il suo segreto, egli avrebbe detto: «Voglio ma non posso». Ma questo segreto, un artista, un creatore, non lo confessa per nessuna ragione al mondo. Piuttosto morire. Perché questo segreto va di là dalle «confessate vergogne» di un Jean-Jacques Rousseau, queste furbesche civetterie. È un segreto «mortale». Il caso Satie è il caso di un uomo che voleva essere creatore di musica, ma non riuscendo a possedere i mezzi di una creazione musicale che lo soddisfacesse, si adoprò per reazione a distruggere la musica nella sua forma più vistosa. In altre parole, Erik Satie è un amante di Euterpe che, non corrisposto da lei, tenta di uccidere l'ingrata.
Ho delineato così i due aspetti di Erik Satie e diversissimi: dell'aspirante creatore, del distruttore. Sono dell'aspirante creatore le Sarabandes, il Socrate, ecc., del distruttore i Trois morceaux en forme de poire, le Pièces ƒroides, i Véritables Préludes flasques (pour un cbien), ecc.
Le qualità più schiettamente musicali di Erik Satie dovrebbero meglio apparire nella sua opera di aspirante creatore. E infatti così è. Ma questa opera è continuamente oppressa dal «voglio ma non posso». La musica «normale» di Satie ha il passo breve. È una musica prigioniera. Una musica in cella. Essa mi ricorda un particolare delle memorie di Kropotkin, in cui questo precursore della rivoluzione russa dice che, quando era prigioniero nella fortezza Pietro e Paolo di Pietroburgo, ogni giorno, per mesi e anni, a fine di neutralizzare gli effetti dell'inerzia corporale, durò a fare tanti passi avanti e indietro nella sua cella lunga cinque metri e larga tre, quanti ci vogliono a colmare una distanza di otto chilometri. Come abbia fatto Kropotkin a non uscire matto da quella marcia «schiacciata», io non so capire; penso tuttavia che non sfuggirebbe alla pazzia colui che ogni giorno continuasse a sognarsi le musiche «normali» di Erik Satie, nelle quali i suoni, ogni tre passi, sbattono sulle pareti di una ineffabile cella.
Nelle Sarabandes di Satie appare come il prefantasma di alcuni armonismi di Claude Debussy. Musica da dolce altalena. Non che le musiche di Debussy siano quanto a sé di piè veloce come il Pelide Achille, che anzi sono piuttosto come Ofelia annegata e soggette esse pure all'ondeggiare dell'acqua; ma le Sarabandes di Satie, per di più, segnano il passo, chiuse dentro un infrangibile cerchio, e più che tre sarabande diverse, sono le varianti di una medesima sarabanda. Musica povera e seduta. Modestamente seduta in una sedia di paglia.
Socrate è la musica più alta di Satie, più pura. E più monotona. Piú chilometricamente monotona. Ma qui la monotonia non è un involontario difetto: è un mezzo espressivo. È il fascino di questa musica. Bisogna entrare dentro questa monotonia, saturarsene e goderne. Musica che va avvicinata all'orecchio, come per una specie di miopia dell'udito. Come Toscanini avvicina orizzontale la pagina della partitura all'occhio, e rade la pagina con lo sguardo cortissimo. Musica per orecchie cinesi. Dicono che a un orecchio cinese, le nostre musiche anche più gravi sonano come altrettante marcette da circo. A sentire la musica del Socrate, è necessario fare mente locale. Quando mio figlio Ruggero aveva sette anni, lo vedevo piegare ad arco una cannuccia, tenderci su uno di quegli elastichini che i commessi di negozio girano intorno ai pacchetti, avvicinare il minuscolo apparecchio alla coclea, pizzicare la corda con l'indice, e al suono presso che impercettibile di quella microscopica nota sempre ripetuta, andare in visibilio. Resta a stabilire se mette conto ridursi alla condizione di un cinese o di un ragazzino di sette anni, per godere come si deve la musica del Socrate. Tanto più che la purezza di questa musica ha un che di «atteggiato», la sua tanta semplicità mette in sospetto di retorica rovesciata, e quanto al suo grecismo, esso è manifestamente maniera. Vero è che ai molto esercitati di grecità, la stessa grecità di Platone è sospetta. Un'avvertenza sullo spartito del Socrate segnala l'affinità tra la purezza di questa musica e la purezza del disegno di Ingres. Si vede che l'autore della nota confondeva Ingres con Puvis de Chavannes.
Tormentoso dramma dell'artista, cui il miracolo della creazione è negato. C'è analogia tra il miracolo della creazione e il funzionamento dell'accendisigaro. Talvolta, al primo colpo di pollice, la fiammella si leva su come un pennacchietto azzurro. Le piú volte però sprizzano scintille ma fiammella non appare. Talvolta ancora, e per quanto il pollice fatichi, la rotella rimane nera. In questo caso l'artista cerca supplire con «falsi miracoli».
Triste ripiego. Nelle opere di Satie, il falso miracolo è presente. Talvolta in forme cornpromettenti. Fino in quella dei mistagogismi ispirati dal «Sar» Péladan. Esperienza e saggezza d'arte mi dicono che bisogna diffidare dell'artista che, come per rafforzarsi, come per acquistar sostanza, si iscrive a un determinato partito mentale. Io diffido perciò dello scrittore «cattolico», dello scrittore «comunista», dello scrittore che risale alle sorgenti dell'indianismo in cerca della verità. A suo modo anche Satie andava in cerca della verità. E probabilmente credé trovarla nel Socrate. Perrché questa ricerca della verità, questa fede, questo religiosismo erano tanto più urgenti nell'animo di lui, in quanto più imperiosamente egli si sentiva sollecitato dal demone della distruzione. Che è il carattere più vivo di Satie, e quello per quale questo macero e sprovveduto musico ha speranza di rimanere nella storia della musica.
L'uomo, e soprattutto l'artista, riflette nelle sue opere l'immagine dell'universo così come egli lo pensa. Per tempo lunghissimo, gli uomini pensarono l'universo in quella forma che noi chiamiamo aristotelica. Le scoperte di Copernico e di Galilei mostrarono la falsità di quella immagine. Malgrado ciò, gli uomini continuarono, e moltissimi continuano tuttora, a pensare l'universo verticale e a piramide. Né le sole menti basse, ma anche menti alte e imbottite di cognizioni, come Benedetto Croce. È solo nell'ultimo terzo del secolo passato, a buona distanza dalle scoperte degli astronomi, che alcuni artisti cominciarono a perdere fiducia nella forma dell'antico universo e a lasciarsi dietro le spalle la sua immagine ormai inerte. È Baudelaire, è Cézanne; poi, col solito ritardo della musica, Erik Satie. Tutti francesi. Perché nella mente francese, è più che in nessun'altra mente il senso della rivoluzione, cioè a dire il senso dell'accordo tra fisico e metafisico, nei continui sviluppi di questa doppia condizione. E questo loro compito naturale, i Francesi non lo dovrebbero dimenticare. Oggi soprattutto, che in un immenso movimento di reazione, gli uomini, dalle forme politiche alle forme della speculazione filosofica, sono avviati, per paura, per vigliaccheria mentale, a ricostituire un nuovo mondo aristotelico, e tanto piú illegittimo e assurdo, in quanto non su la fede può oggi poggiare un simile mondo, ma su una consapevole e imposta falsità.
Si disse: decadenza delle arti, della forma, della bellezza, della costruttività; e non era invece se non la fine della imitazione di un universo morto.
Oggi si parla della disintegrazione della materia. Anche in questo le arti sono anticipatrici. Nell'ultimo terzo del secolo passato, alcuni artisti cominciarono a dare mano alla disintegrazione della materia poetica. Opera ingrata ma necessaria. Nulla segnala che quegli artisti operassero consapevolmente. Ma operarono, e tanto basta. In musica, l'opera di disintegrazione fu compiuta da Erik Satie. In quella parte della sua opera che apparentemente ha carattere burlesco, meccanico, marionettistico, ironistico. È Parade, sono i Pezzi piriformi, ecc. Aspetti che ingannano. Come ingannano le didascalie umoristicamente sforzate, l'abolizione delle battute e delle agraffe tra basso e acuto. Scherzi che non fanno ridere nessuno, ma necessari a nascondere l'amarezza di quelle musiche, la necessaria crudeltà del loro compito. Che Vincent d'Indy abbia scritto Fervaal, non ha importanza storica. Che Henri Rabaud, per rimanere tra i compaesani di Satie, abbia scritto Marouf savetier du Caire, non ha importanza storica. Sparendo, queste opere non lascerebbero buco. Importanza storica invece hanno le musiche «burlesche» di Erik Satie: queste musiche che solo gl'ingenui tengono per ironistiche. Le quali musiche amarissime perché cariche di destino, tristissime perché nascondono il sacrificio del loro autore, hanno salvato la musica da una solenne morte per pompierismo.
Alberto Savinio
(da "Scatola Sonora", Einaudi Letteratura 53, Einaudi 1977)

mercoledì, maggio 21, 2025

Philip Glass...

Philip Glass (Baltimora, 31 gennaio 1937)
Philip Glass, uno dei maggiori rappresentanti di quella particolare corrente di musica contemporanea, ha tenuto due indimenticabili concerti a Milano presentando la sua ultima, lunghissima composizione "Music In 12 parts", scritta per la nuova formazione: Jon Ginson, Dickie Landry, Ritch Peck ai fiati, Glass, La Barbara, Michael Riesman alle tastiere. La nostra intervista.

Dopo Roma, che negli ultimi anni é diventata una tappa d’obbligo per i rappresentanti di quella corrente particolare della musica contemporanea che rinnova la tradizione occidentale assimilando lo spirito dell'Oriente (Terry Riley, La Monte Young, Charlemagne Palestine ecc.), anche Milano ha avuto finalmente un primo assaggio di questa validissima "avanguardia". Sono state due serate indimenticabili, nel biancore quasi accecante di un grande salone della galleria d’arte di Salvatore Ala, durante le quali Philip Glass con il suo gruppo ha presentato due terzi della sua ultima, lunghissima composizione, "Music In 12 Parts".
I concerti erano gratuiti, ad invito (anche se in realtà chiunque risultava poi il benvenuto), ed il pubblico ovviamente ridotto numericamente ma in compenso straordinariamente eterogeneo. Meno d’un centinaio di persone, a sufficienza comunque per riempire completamente il salone, tra cui musicisti, critici, artisti, signore in pelliccia e giovanissimi appassionati in eskimo e jeans. Le due esibizioni di Glass hanno costituito in pratica l'inaugurazione di una serie di iniziative culturali, nell'ambito della galleria, che promettono di suscitare un sempre più vasto interesse (e la musica dovrebbe essere degnamente rappresentata anche in futuro). Nella prima serata ci sono state proposte le prime quattro parti della composizione, più un accenno alla quinta; nella seconda, il gruppo ha proseguito fino all'ottava parte. In tutto, più di tre ore di musica: musica viva, affascinante, sempre godibile, in cui la ricchezza di riferimenti culturali non scade mai ad arido intellettualismo, a sterile compiacimento. E viene spontaneo chiedersi perchè mai i soloni della musica "seria" si rifiutino di prendere in considerazione una corrente così vitale e già matura: forse perchè essa sfugge a regole che i grandi artisti e critici "contemporanei" ritengono valide per l'eternità?
"Music In 12 Parts" si basa, come precedenti opere di Glass, sul principio del "processo additivo", di derivazione orientale, che assume come suo fondamento la ripetizione di certi elementi variandone progressivamente la struttura ritmica e il rapporto armonico. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non ne risulta monotonia: la musica emana anzi un fascino particolarissimo sfruttando le minime sfumature e raggiunge il massimo della sua efficacia proprio nei passaggi di tonalità. da una parte alla seguente (sicché gli intervalli necessari per concedere un po' di riposo agli esecutori vengono fatti cadere verso la meta di una data parte. e non tra una parte e l'altra). Glass è un musicista che considera essenziale presentare la musica dal vivo (i dischi sono per lui un aspetto secondario della sua attività) e ovviamente le sue composizioni sono impostate secondo il criterio dell'esecuzione in concerto, con ampio spazio per variazioni o deviazioni magari impreviste, purché aderenti allo spirito dello spartito. “Music In 12 Parts" è stata scritta appositamente per il gruppo che l'ha eseguita a Milano e nella composizione non sono previste parti solistiche, neppure per l'autore: per tutta la durata del pezzo gli strumentisti lavorano contemporaneamente, e il diverso "colore" delle varie parti si affida all‘alternarsi della preminenza tra le due sezioni della formazione, i tre organi elettrici (Philip Glass, Joan La Barbara, Michael Riesman) e i tre fiati (Jon Gibson, Dickie Landry, Richard Peck). Sopra all'intricato tessuto ritmico fornito dai tre organi, i fiati tracciano svariati disegni, a seconda degli strumenti impiegati (Gibson usa flauto e sax soprano, Landry flauto, sax alto, soprano e tenore, Peck sax alto e tenore), mentre si inseriscono spesso, a duettare con essi, i delicati vocalizzi della La Barbara. L'effetto complessivo è dolcemente ipnotico, ma, come si è detto, mai monotono in quanto le differenze tra le varie parti, pur nell’unità dell'impostazione, sono chiaramente individuabili: per conto mio, ho trovato "sinfonica" la parte 3, "jazzistica" la 4, "romantica" la 6, "primitiva" la 8, ma sono consapevole che si tratta di impressioni personali e discutibili. Le riporto per far comprendere quanto la composizione sia varia, pur basandosi su una struttura costante.
Al termine della seconda serata, ho potuto incontrare Glass, che si e rivelato una persona gentilissima e ben disposta a discorrere della propria attività ed esperienza, senza alcun atteggiamento da “genio superiore". Poiché all’ingresso erano stati distribuiti dei volantini della Chatham Square, con l'elenco dei dischi realizzati da Philip e da membri del suo gruppo come Dickie Landry e Jon Gibson, ho iniziato la conversazione chiedendogli di spiegarmi di che etichetta si trattasse.
"E' un'etichetta indipendente, con sede a New York, che ho fondato io stesso tre anni fa, perché servisse da sbocco discografico per me e per i miei colleghi. Non avrei potuto trovare un compromesso con la mentalità delle grandi case discografiche, per le quali ciò che conta è soltanto il successo immediato. I miei dischi vendono regolarmente, in modo progressivamente sempre più cospicuo, nello spazio di anni. Ma le grandi Case ragionano in termini di mesi. Così mi sono messo per conto mio, mi sono legato ad un’organizzazione indipendente di distribuzione negli USA, e ho iniziato la nuova attività. Ora sto concludendo degli accordi per la distribuzione in Europa; fino a quando saranno definiti, continueremo ad accettare ordinazioni per corrispondenza. Una cosa è certa: la nostra musica diventerà, entro pochi anni, molto importante, ed è giusto che siano i musicisti stessi a gestire la produzione discografica".
Che genere di persone compongono il tuo pubblico?
"In media, giovani dai 20 ai 30 anni. Molti sono appassionati di rock, che hanno già sentito accenni di quel che facciamo noi in dischi di gruppi pop, come i Pink Floyd (strano che Philip non accenni a gente come Eno e Tangerine Dream; forse non li conosce - n.d.r.) e così sono già in parte preparati ad apprezzare la nostra musica. Per ora il nostro circuito abituale, negli Stati Uniti come in Europa, é stato quello delle gallerie d’arte, dei musei, delle associazioni culturali, ma ci stiamo organizzando per ampliare il discorso, usufruendo anche di altre possibilita".
Quali sono le più importanti influenze di cui risenti come compositore ed esecutore?
"Oh, sono tantissime, non saprei elencare neppure quelle veramente determinanti. Ti posso dire che ho studiato musica per vent'anni, in varie scuole, fino alla Julliard, ma tutto ciò che avevo imparato era la tradizione classica occidentale; a ventott'anni sono andato in vacanza nell'Africa Settentrionale e ho cominciato a scoprire che esistono tante altre musiche. Questo mi ha stimolato moltissimo. Ho conosciuto poi la cultura indiana e un po' alla volta queste influenze hanno cambiato il mio mudo di comporre, di concepire la musica".
Quali sono i musicisti cui ti senti più vicino?
"Conosco bene i miei coetanei, Steve Reich che fu mio compagno di scuola, La Monte Young ecc., e seguo con interesse il loro lavoro che si svolge in una direzione simile alla mia. Ma sono ben cosciente del fatto che ci sono oggi tantissimi musicisti molto giovani agli inizi e mi piacerebbe conoscerli meglio. Il punto fondamentale è che oggi è diventato facilissimo entrare in contatto con culture musicali diverse: viaggiare è cosa normale per i giovani, procurarsi dischi di folklore o di musica classica orientali o africani o, che so, polinesiani è ormai piuttosto semplice. Così questi nuovi musicisti possono partire con una base culturale più ampia atta a fornire nuove soluzioni e idee più avanzate".
Mi confermi che c'é una ragione precisa per far cadere gli intervalli verso la metà delle parti della tua composizione?
"Sì, è come dici tu: il cambiamento di tempo, di atmosfera è la cosa più importante. Per questo non possiamo smettere di suonare quando si passa da una parte all'altra: si perderebbero i momenti più significativi. Un‘altra cosa sarebbe presentare la composizione tutta di seguito; ma ciò avviene forzatamente solo in situazioni particolari. Eseguire "Music In 12 Parts" per intero richiede 5-6 ore di concerto. L'abbiamo fatto qualche volta, e abbiamo già in programma di riprovarci in giugno, a Parigi. Ma sono occasioni speciali. Nei concerti normali ricorro a questa divisione per non snaturare il senso della composizione".
"Music In 12 Parts" è il tuo ultimo lavoro?
“Si, le ultime parti, dalla 9 alla 12, sono state composte quest'anno. Ma è dal '71 che ci lavoro sopra. Alcune altre mie composizioni sono apparse su disco: "Music In Fifths" e "Music In Similar Motion", entrambe del 1969, e "Music With Changing Part" del 1970 che forma un album doppio. Altre ancora non le ho mai registrate: "Two Pages", "600 Lines" ecc.".
Suno stati, questi di Milano, gli unici due concerti italiani nell'ambito d'una breve tournée europea: Glass è immediatamente ripartito per Parigi, da cui avrebbe poi proseguito per New York. Ma ho l'impressione che lo rivedremo presto in Italia: l'interesse dimostrato per la sua musica prima dal pubblico romano ed ora da quello milanese sembra essergli stato molto gradito. "Sì, forse ci rivedremo in primavera"», s'è lasciato scappare prima di accomiatarsi.
Daniele Caroli
("Ciao 2001", 15 Dicembre 1974, N. 50, Anno VI)

sabato, maggio 10, 2025

Variazioni Goldberg: Spazio aperto...

Guerrero, Citterio, Robinson, Maraldi e Watanabe: cinque interpreti doc uniti in un'avventura che regala nuova vita alle Variazioni più famose della storia della musica.

Opera nata come prontuario tecnico per clavicembalo irto di sperimentazioni ma, al tempo stesso, fecondo di soluzioni strutturali così intimamente sperimentali da riuscire ancora oggi a proporsi come ambito di confronto per differenti tipologie strumentali, le Variazioni Goldberg conservano un fascino conturbante capace di distinguerle da ogni altra composizione di Johann Sebastian Bach. Il violoncellista Jorge Alberto Guerrero - colombiano di Cali ma lombardo dai tempi del diploma - ci racconta il Progetto Goldberg, un'inedita trascrizione per due violini, viola, violoncello e clavicembalo. Al suo fianco Elisa Citterio, Nicholas Robinson, Gianni Maraldi e Takashi Watanabe, volti e nomi già noti a chi frequenta le avventure musicali di compagini come il Giardino Armonico, l'Accademia Bizantina, il Ghislieri Choir & Consort, o l'Estravagante.

La pratica della trascrizione, come riduzione di organici o come ausilio didattico, ha una lunga storia. Interessante soprattutto quando diventa stimolo per un nuovo obiettivo artistico. Come sono nate queste Goldberg?
«La genesi è stata casuale. Un paio d'anni fa Gianni Maraldi ci propose questo progetto. Iniziammo a studiarle rendendoci conto che avremmo dovuto intervenire molto sulle trascrizioni da lui procurate per trovare soluzioni più consone al nostro organico. Abbiamo quindi cambiato distribuzione delle parti, tempi, colori e articolazioni, anche durante la registrazione, cercando di far convivere la profondità dello studio con la massima spontaneità individuale. Elisa per prima ne ha trascritte alcune, ma la parte più bella del lavoro è stata quando, suonandole insieme, abbiamo cominciato a dar loro la nostra forma. L'esperienza strumentale di ciascuno di noi ha infatti permesso di trovare insieme nuove soluzioni. Di fronte a una trascrizione infatti occorre darsi delle regole e modificare le cose sulla base del fatto che il tutto deve suonare bene con l'organico a disposizione, pur seguendo nuove logiche. In questi ultimi anni ho recuperato più di 150 versioni discografiche per clavicembalo, pianoforte, trio d`archi (Sitkovetskij), orchestra da camera (Labadie) e quella jazz di Jacques Loussier. Questo mi ha motivato a portare avanti una proposta di registrazione con un nuovo organico, cosa che si è potuta realizzare grazie all'ospitalità, l'interessamento e il sostegno del Collegio Ghislieri di Pavia, senza il quale tutto questo non sarebbe stato possibile».
Un gruppo, il vostro, nato attorno a questo specifico progetto.
«Sì, anche se ci conosciamo da tanti anni. Nicholas ed Elisa sono considerati tra i migliori interpreti di musica antica in Italia ed è una fortuna averli insieme a noi, Gianni brillantemente ha pensato questa alchimia e io ho proposto Takashi, che ha inciso ultimamente una meravigliosa versione per cembalo  solo. Quale occasione migliore che avere con noi un cembalista che conosce l'opera a fondo ed entra a far parte di un progetto in cui le Goldberg diventano qualcosa d'altro?».
Questa interpretazione svela una dialettica interna molto densa. Vengono in mente, tra le altre cose, i Brandeburghesi e tutto quello che in maniera trasfigurata viene dalla musica popolare.
«Sì, vengono fuori tante cose. C'è chi considera Bach solo intelletto e spiritualità, ma io credo che ci sia molto di più, ossia tutte le passioni dell'animo umano. Nel nostro interpretare c'è spazio per tutto questo. Il fine ultimo non è solo il contrappunto, perché basta anche un intervallo a muovere l'animo in una certa direzione. Quando abbiamo iniziato a registrare ci siamo detti: “lasciamo che questa musica parli da sola”. Può essere ovviamente un rischio, ma il discorso deve avere una sua coerenza. È per questo che ho analizzato tutte le Variazioni, riguardato tutti gli organici e pensato alla struttura generale. Per esempio, dopo l'Adagio centrale, che riapre tutto come se fosse il secondo atto di un'opera, il disegno diventa più pressante. Tutto questo deve essere pensato, perché così si dimostra di aver compreso la composizione».
Mi ero appuntato la VII Variazione in forma di giga, qui per violino e violoncello. Sembra una scelta perfetta per rappresentare l'origine della danza.
«Mi piace questa osservazione. Sulla prima edizione a stampa Bach scrisse a mano Giga, perchè deve averla sentita suonare come una Siciliana, cioè con un tempo più lento. Mentre la sua è una Giga puntata, ovvero più nello stile inglese o francese. Per intuito noi abbiamo sentito un sapore più popolare. A Nicholas, per esempio, venivano in mente i marinai inglesi».
In generale il procedimento di espansione verso il quartetto pone la questione di come trattare la parte residuale del clavicembalo che diventa una sorta di basso continuo. È corretto?
«Ogni movimento ha posto delle questioni. In un paio di Variazioni in cui la melodia della mano destra della tastiera è molto spiccata, l'abbiamo resa con violino e cembalo, avendo in mente le Sonate per violino e cembalo obbligato. Quindi la tastiera realizza tutto quello che c'è già, mentre il violino esegue la parte della mano destra. Poi però nel ritornello rientrano violoncello e viola, e diventa tutta un'altra cosa. In un'altra Variazione i violini suonano all'unisono come se fosse un Brandeburghese e il trattamento diventa più orchestrale. In quelle per solo quartetto d'archi la parte viene passata da uno strumento all'altro per richiamare quel gioco tecnico degli incroci nell'alternanza delle mani. Qui abbiamo trasferito un certo tipo di difficoltà tastieristica nella difficoltà del linguaggio del quartetto».
Quello che perde più presenza è il clavicembalo.
«Sì, nella nostra versione non suona sempre, perché in certi casi il contrappunto è talmente fitto, come nella Terza per due violini e violoncello, da non lasciare spazio ad altri strumenti. Nel tema, il clavicembalo comincia la prima parte con un tasto solo e nel primo ritornello mette armonie e contrappunti, arricchendolo in una maniera ancora più barocca di quello che è. In certi momenti invece è completamente ritmico come una batteria rock, in altri più discreto».
Non sembra casuale che questo tipo di sperimentazioni si leghi più alle Goldberg rispetto a opere come l'Arte della Fuga, un terreno appositamente pensato per muovere una ricerca.
«Nell'Arte della Fuga Bach dimostra cosa si può fare con il contrappunto. Scrive canoni, fughe doppie e triple, per aumentazione e diminuzione, moto contrario, a soggetti incrociati, fino alla fuga a tre. Nelle Goldberg invece esplora le potenzialità dello strumento. L'interpretazione che a me convince di più sulla genesi dell'opera è quella di Peter Williams (Bach: The Goldberg Variations, Cambridge Music Handbooks, n.d.r.) il quale sostiene che Bach avrebbe dato al figlio Wilhelm Friedemann i primi tre volumi dei Klavierübung e teoricamente le Goldberg sarebbero state il quarto. La storia del principe che dorme non c'entrerebbe nulla. In realtà le avrebbe donate al figlio per consentirgli di presentarsi ai principi con qualcosa di grande impatto. È un po' come dire: “figlio mio, ti do questo, così trovi lavoro”. E le Goldberg sono perfette perché hanno contrappunto, cantabilità, ritmica, sfoggio tecnico. Ma se prendi le fughette o le ouvertures alla francese, ti accorgi che è musica pura anche se la fai con i sassofoni o con il computer. Il tema poi è davvero sorprendente perché non è quello che si sente alla mano destra, bensì al basso, su cui vengono costruite tutte le variazioni. È come se fosse una Passacaglia di fine Seicento, i cui trattamenti successivi portano a fine Ottocento fin quasi all'inizio del Novecento. Si va dalle Sonate di Corelli a qualcosa che sembra lo scherzo di un Quartetto di Sostakovic o addirittura Bartók».
Non si può non pensare a Glenn Gould. Cosa ne pensa delle sue celebri interpretazioni?
«Le Variazioni di Gould sono stratosferiche. In tutti noi hanno lasciato un segno, dato che difficilmente uno ascolta le Goldberg nella versione di Wanda Landowska».
Michele Coralli
("Amadeus", Anno XXVIII, Numero 5 (318), Maggio 2016)

giovedì, maggio 01, 2025

Alberto Savinio: Orchestre

Alberto Savinio (1891-1952)
In media io mi sento un'orchestra alla settimana. Molto 
spesso due. Parlo di orchestre sentite direttamente, non trasmesse. Se aprissi anche la radio di casa mia, allora sentirei orchestre tutti i giorni e dalla mattina alla sera. Ma la radio io non l'apro se non per le notizie necessarie. In casa mia io lavoro e mi circondo di silenzio. Non apparecchi che immettono suoni, dunque, ma apparecchi che intorno a me prosciugassero l'aria di ogni suono: che facessero per me ciò che la signora Carlyle faceva per suo marito, comperando e tirando il collo a tutti i galli e galline in un raggio di mezzo chilometro intorno alla sua casa, perché i chicchiricchí e i coccodè non turbassero le meditazioni del suo Thomas. E anche per una ragione morale. «Voglio conservare l'iniziativa» anche dei miei godimenti estetici. Un'orchestra mi piace andarmela a sentire da me, per volontà mia propria, e magari affrontando e superando quegli ostacoli di carattere materiale come tram, camminate, ecc. che sono la riprova dell'esercizio della nostra volontà. Ascoltare un'orchestra in pantofole e veste da camera, è il modo più passivo di ascoltare un'orchestra. Come mettere in bocca cibo già masticato. Oltre che una violazione di domicilio, l'immissione di suoni nella nostra casa è un trasformarci da creature attive e volitive, in creature passive e abuliche. Perché non si studiano gli effetti della musica trasmessa? Io prevedo un lento ma sicuro effetto devirilizzante. La vita collettiva, la progressiva diminuzione della solitudine e del silenzio, il propagarsi dell'architettura razionale che sostituisce la pietra, il legno e comunque le materie opache col vetro, allarga le finestre, abolisce le camere cubiche e fornite di finestre piccole e armate di solide persiane, fiaccheranno il carattere dell'uomo e a poco a poco lo distruggeranno, lo ridurranno a non pensare più e dunque a non volere. Poiché non c'è predica né provvedimento pubblico o privato che possano arrestare il progresso fatale e il generalizzarsi della vita collettiva e «razionalizzata», io propongo la costruzione di luoghi appositi fatti a imitazione dei bagni pubblici e delle pubbliche latrine, nei quali l'uomo si ridurrà di tanto in tanto per cura e magari in determinate ore della giornata, ove non vedrà altri uomini, non sentirà voci che gli parlano né rumori che lo frastornano, e ove potrà ricaricarsi di pensiero e di volontà. Ai quali silenziatoi e isolatoi pubblici sarà bene provvedere senza por tempo in mezzo, se non si vuole che la potenza mentale dell'uomo scenda al livello della potenza mentale dei galli e delle galline cui la signora Carlyle tirava il collo intorno a casa sua, perché non disturbassero il lavoro del suo Thomas. Si faccia in modo che ogni uomo degno di tal nome abbia per suo conto una signora Carlyle, o almeno i benefici di questa saggia e prudente signora.
S'intende che quante orchestre io sento, altrettanti direttori io sento; perché ancora non c'è esempio da noi di orchestre «senza direttore», a simiglianza di quella orchestra acefala (o cavallo senza morso, o carrozza senza cavalli) che per alcuni anni funzionò in Russia (nel paese che attua ciò che il saggio e stanco Occidente pensa ma non ha il coraggio o il candore o soltanto la pazienza di attuare) dando un esempio di libertà maggiore della nave radiocomandata. Ma quale differenza fra direttore e direttore? La bacchetta ora è più pesante, or più leggera; l'orchestra ora più torbida, ora più limpida; i tempi ora più vivi, ora più smorti; il sentimento ora più caldo, ora più freddo; il temperamento ora più impulsivo, ora più fiacco. Ma quale differenza «radicale» fra interpretazione e interpretazione? Nessuna. Prendiamo due fra i direttori più pregiati: Victor De Sabata e Antonio Guarnieri. Bravissimi entrambi, nel senso che sotto la costoro bacchetta l'orchestra suona più levigata, si colora di colori più vivi, canta con accenti più vibranti, spicca oppure fonde meglio le varie sonorità. Questo e niente più. Comparata all'arte del dipingere, l'orchestra migliore di oggi si adegua alla pittura fine Ottocento, alla pastosità, al rotondo, allo sfumato, alla «pasta» di un Giacomo Grosso o di un Marius Pictor. Scegliamo paralleli più illustri: ha la finitezza e il polito della Salammbò, questo romanzo mancato, questo romanzo «pompiere» di Flaubert. Scegliamo paralleli più illustri ancora: ha il chiaroscuro del San Giovanni di Leonardo. Ma nel frattempo c'è stato l'impressionismo, c'è stato il cézannismo, c'è stato il postimpressionismo, c'è stato il «belluismo», c'è stato il cubismo, c'è stato il surrealismo e le equivalenti esperienze letterarie, filosofiche, psicologiche, metapsichiche. E ognuna di queste esperienze è un modo diverso di considerare l'anatomia dell'universo: ora considerando l'universo «decorticato» e con la fascia muscolare a nudo (Cézanne), ora considerando la sola struttura ossea dell'universo (cubismo), ora considerando la parte visibile ed effabile dell'universo e assieme quella invisibile e ineffabile (surrealismo). L'orchestra invece, raggiunta a suo tempo con grande sforzo e per merito di Debussy la condizione impressionista, continua per lo più a presentarci l'universo attraverso i suoni rigorosamente coperto della sua pelle (pelle quasi sempre di seta o di velluto), adorno di tutti i suoi peli, nei e capellatura all'onda, e vestita di abiti di garza a imitazione delle vignette pubblicitarie che nei primi anni del secolo magnificavano le virtù della Venus Bertelli. L'orchestra è rimasta fedele all'«ideale» di bellezza che era quello delle Biennali di Vittoria Pica e della Scena illustrata di Pilade Pollazzi. L'orchestra in altre parole è ancora wagneriana e dannunziana, ossia chiaroscurista, estetizzante e superficiale. Intanto, in un inattuabile sogno, noi immaginiamo una interpretazione «cubista» delle nove sinfonie di Beethoven, una interpretazione «surrealista» della Creazione di Haydn, e nel teatro della nostra generosa fantasia assaporiamo divini godimenti.
Alberto Savinio
(da "Scatola Sonora", Einaudi Letteratura 53, Einaudi 1977)

lunedì, aprile 21, 2025

Provate il bel Peter N. 2

Peter Gabriel (Chobham, 13 febbraio 1950)
Ginevra. In omaggio al petrodollaro, l'albergo si chiama "Ramada" e ho il sospetto che anche l'acqua del rubinetto puzzi leggermente di benzina; nei corridoi si aggirano le ombre delle spie dell'oro nero... sono qui anche io per la mia piccola avventura spionistica: nella stanza accanto mi aspetta, infatti, Peter Gabriel.
In poco più di un anno i capelli dell'"agnello di Broadway" si sono leggermente allungati, ma il resto è immutato: un maglione inevitabilmente nero con vistose cuciture, scarpe da tennis, jeans nuovi con orlo maldestramente aggiustato con grappette metalliche, e il solito vizio di parlare ballando ora su una gamba, ora sull'altra; come un orso.
..."Helo". Sul tavolo i nastri di "Peter Gabriel" esordio del cantante, passato alla carriera solista dal fatidico giorno dell'abbandono dei Genesis: sono qui per ascoltarlo.
"Peter Gabriel" raccoglie molte delle composizioni e delle idee nate in Peter attraverso un anno di viaggi e approfondimenti tesi a programmare il suo futuro come artista, gli States hanno, a questo proposito, svolto un ruolo importante e lo stesso musicista è deciso, per il primo anno di attività, a lavorare soprattutto per il pubblico americano. Il disco è stato registrato negli studi canadesi "Soundstage", per la maggior parte, e per alcune aggiunte a Nre York nei Record Plant e a Londra agli Olympic e ai Sounds. Alle sessione hanno partecipato molti musicisti, sia inglesi che americani; Bon Fripp e Steve Hunter alle chitarre, Alan Schwartzberg alla batteria, Tony Levin al basso, Josef Chirowski alle tastiere e, tra gli altri strumentisti, anche lo stesso Gabriel che si è dato da fare con varie tastiere e al consueto flauto. In tutto nove brani che, al primo ascolto mi hanno lasciato sorpreso per  la lontananza della voce di Peter dal consueto background sonoro a cui ero abituato; il giorno dopo, quando sempre in compagnia di Peter, ho riascoltato i nastri, mi sono trovato entusiasta. L'album, più si ascolta e più conquista: ogni brano è l'opposto di quello precedente, hauna sua particolare atmosfera:  il gusto singolare, spesso umoristico, la tecnica affascinante di Peter accomunano il tutto, da "Moribund The Burgermeister" a "Here Comes The Flood"...

LATO UNO...
L'album si apre dunque con questo "Moribund The Burgermeister": "Questo brano" dice Peter "è forse il solo dove ho ricamato sui testi una storia sul tipo di quella che popolavano i miei vecchi brano; è la piccola storia, molto personale, di una commedia chiamata "Dancingmania" che, quando viene rappresentata alle persone stanche ed oppresse li spinge a partecipare, a tornare validi. Alla commedia si oppone la figura del borgomastro, simbolo del potere." Retto da una prepotente strumentazione elettrica, il brano si sviluppa in maniera originale, intorno al dialogo di voci che Peter è solito ricreare: l'atmosfera è orchestrale, in bilico tra il fluttuante e qualcosa ricorda ancora i Genesis.
Segue "Salisbury Hill", una ballata molto agile, dalla struttura semplice, acustica, riecheggiante certi temi gradevoli del Mike Oldfield più agreste e scanzonato, tanto per intenderci. "Moder Love" è invece la prima vera sorpresa del disco; il brano, che uscirà anche come singolo, ricorda molto la "Honky Tonk Woman" dei Rolling Stones, con una base di rock primitivo, sostenuto dalle chitarre ritmiche e da un organo molto essenziale. "E' un ritorno alla comunicativa - ha commentato Peter -. Avresti dovuto vedere come si è divertito a registrarlo Bon Fripp: con Hunter sembravano una coppia perfetta di arrabbiati rokers!".
"Questa che segue è una canzone veramente seria!" Naturalmente "Excuse Me", questo il titolo del brano, non è affatto seria; Peter l'ha definita un incrocio tra dixie, rag e buona musica da ballo tedesca. Si tratta di un piacevole divertissement che vede Levin al basso-tuba e Fripp al banjo.
Con "In the Hum Drum" si torna alle atmosfere più suggestive esognanti, sottolineate da un efficace piano elettrico e dalla voce, qui nei suoi timbri più caratteristici. Poi il flauto e il synt, entrambi suonati da Peter, allargano l'atmosfera con aperture vicine ai vecchi Genesis: tutto si fa surreale e la voce diventa... sottomarina...

...E LATO DUE
La seconda facciata si apre con "Slowburn", un altro di quei momenti in cui si stenta a riconoscere il Gabriel a cui eravamo abituati... tastiere in un serrare ritmico decisamente violento... ma sul finire ecco che tutto si quieta, si esaurisce in uno di quei giochi a sorpresa di cui solo Peter è capace.
La seguente "Waiting for the Big One" è senza dubbio il momento più atipico dell'album, ma, a mio parere, anche uno dei più suggestivi: è un blues. "Negli ultimi tempi quando ero con i Genesis, ci trovavamo spesso a suonare del blues: io e Tony Banks ne eravamo entusiasti: un po' come Beatles e Stones che nel loro periodo aureo tornavano spesso e volentieri a questo stupendo genere. Io qui canto rifacendomi allo stile di Mose Allison, un musicista bianco di blues, pianista: il suo è un genere da piano-bar. da saloon che mi piace moltissimo." Il brano è molto lungo, molto vissuto, arricchito da alcuni stupendi interventi chitarristici: sul finire le lunghe pause e un coro lontano lo rendono incredibilmente suggestivo.
Completamente diversa "Midnight Bell", che all'inizio doveva chiamarsi "Down The Dolce Vita" e che poi, chissà perché, ha cambiato titolo. Subito dopo una grandiosa apertura sinfonica si fanno largo le chitarre di Bob e Steve, in un accattivante gioco ritmico che con il suo incastro costituisce la base di tutta la canzone: al centro un’interruzione, anche essa basata su incastri ritmici, che come Peter ed io abbiamo notato, si accosta casualmente ad un momento di “One for the Vine" dall'ultimo album dei Genesis.
Chiude, stupendamente l‘album "Here Comes the Flood" un altro capolavoro: apertura di recorder, suonato da Peter, poi la voce in primo piano, con un canto suggestivo e narrativo: "E’ la storia di un futuro in cui si comunicherà solo telepaticamente". Sul finire tutto si fa più incisivo, più drammatico, la chitarra. qui nelle mani di Dick Wagner. è stupenda: la costruzione del tutto è eccezionale, degna dei Beatles.

PAROLE
Peter sorride soddisfatto: "Questo è solo l’inizio; spero l'album abbia successo negli States, dove sono molto famoso come compositore e come ex-Genesis, e in Europa, Italia, Francia... ho meno fiducia nell'Inghilterra dove tutto mi sembra confuse. Tournée?! Per il momento solo oltreoceano, con un gruppo (ma chi sono non lo dico) e senza sceneggiature o altre cose.
In Europa vorrei venire quando avrò pronto lo spettacolo di Mozo: è la mia idea più ambiziosa e segreta... disco, spettacolo e film. Il film è di tipo nuovissimo: per esempio c'è un cattivo che sta per essere ucciso dai giustiziere... questi esce di persona dal telone e chiede - lo uccido o lo grazio? -, il pubblico decide a maggioranza schiacciando dei pulsanti posti sui braccioli... è una cosa vera, ti giuro: il film poi continua a seconda del responso fino ad un'altra situazione simile: insomma é il pubblico che lo crea. E’ una invenzione di un cecoslovacco, il dottor Cincirra, che sta lavorando con me per tradurre in immagini e musica Mozo: quando, grazie al disco avrò fama e, spero, soldi, Mozo diventera realta".
Da Mozo al disco... "L'ho registrato negli States perchè là i musicisti sono più rilassati: in Inghilterra son tutti nervosi e tendono ad anticipare le battute, ad essere secchi, come Bruford... i negri invece conoscono proprio la rilassatezza del lasciarsi andare nel ritmo. Gli europei quando suonano cercano di piacere a se stessi, gli americani badano al feeling: sono tutte distinzioni sottili ma importanti.
Lavorare con un gruppo é molto diverso: vai in sala e lavori su cose discusse da mesi. con personalità e suoni abituali; in session tutto cambia, è più difficile. Personalmente sono più favorevole al lavoro collettivo, di gruppo".
"Cos'è cambiato da quando hai incominciato. e quali novità ci sono nel rock da quando hai lasciato i .Genesis?".
"Oggi i grandi del rock sembrano attori di Hollywood: io ti invito nel mio disco, tu mi chiami nel tuo show, tu incidi per la mia etichetta. io ti scrivo una canzone... e il pubblico rimane in disparte, la comunicativa è uccisa. Allora nasce il Punk, allora i giovani d’oggi, non ne vogliono più sapere degli idoli dei fratelli maggiori. Cos'è successo in un anno? Mah, il rock tedesco ha avuto un certo successo... e basta".
"Anche i Genesis hanno avuto successo. A proposito, com'è possibile che due persone, tu e Phil, cantino in maniera così uguale?".
"Mah, me lo sono chiesto anch'io... la verità è che da quando ho cominciato a cantare io mi sforzo di farlo come Phil; anche quando ero nel gruppo avevo la sua foto appesa in camera".
"Che differenza c'è tra i Genesis di oggi e quelli di prima?".
"Mi è piaciuto molto il loro ultimo album, mentre il concerto non tanto, li preferivo l'altr'anno...".
"Guarda che non ti ho chiesto la differenza tra i nuovi e i vecchi...".
"Insomma, la musica continua a piacermi, mentre i testi no: loro quattro non hanno mai amato i testi, solo Tony Phillips, il vecchio chitarrista era in grado di scrivere bellissime storie".
"Hai cercato tecnicamente di cambiare molte cose per staccarti dai Genesis?".
"Non ce n‘è stato bisogno: i musicisti erano diversi, ogni canzone, poi andava eseguita in maniera totalmente diversa. Eco, phasing e microfoni sono gli stessi di prima".
"E in te cos'è cambiato in questo periodo?".
Peter, incomincia a ficcare la testa dentro il maglione e a scrutarsi dentro: infine. rosso, la tira fuori: "Il dottore non ha scoperto nulla".
Marco Ferranti
("Ciao 2001", 30 Gennaio 1977, N. 4, Anno IX)

venerdì, aprile 11, 2025

La crisi del disco: Stretti alle corde

Dieci anni fa veniva 
lanciato nel mondo il compact disc, supporto rivoluzionario nel quale le case discografiche confidavano per un rilancio effettivo delle loro vendite. Si attendevano in particolare risultati positivi nel settore classico, che da qualche  anno era entrato in crisi nonostante l`avvento delle «registrazioni digitali». Il successo del cd risultò in effetti straordinario, anche superiore alle più ottimistiche previsioni, tanto che già nel 1986 oltre il 50% del mercato classico era costituito da vendite del nuovo supporto. Vi era una richiesta così forte di cd che le fabbriche non potevano soddisfare la domanda del mercato. Con la conseguenza della costruzione in tutto il mondo di nuovi impianti per lo stampaggio di compact disc, dell`offerta ad alto prezzo di prodotti che sembravano ormai destinati a finire fuori catalogo e, soprattutto, della moltiplicazione delle registrazioni e delle case discografiche che le proponevano.
Una vera e propria rivoluzione ha interessato il settore classico, stravolgendo il mercato in meno di un decennio: 8.000 i titoli disponibili in Italia su lp nel 1983, oltre 45.000 oggi su cd; circa 1.000 le nuove proposte (incluse le ristampe) nell`anno 1982, oltre 12.000 nell'anno 1991; circa 30 le case discografiche comunemente distribuite in Italia prima dell'era cd, più di 100 al giorno d'oggi, di cui quasi la metà con anno di fondazione successivo al 1980; 34 le edizioni delle Quattro stagioni di Vivaldi nel 1980, almeno 113 all'inizio della scorsa estate.
Il cd ha avuto una grande importanza per la diffusione della musica classica, sia conquistando nuovi appassionati sia offrendo una straordinaria indagine su nuovi repertori e compositori o composizioni dimenticate. Sempre il cd ha stimolato la ricerca musicologica e ha certamente determinato un aumento dell'offerta musicale in tutto il mondo. Una corsa sfrenata e trionfale alla quale però la moltiplicazione degli interessi e una concorrenzialità sempre più marcata dovevano dare un inevitabile riassestamento. Qualche segnale negativo era già apparso nel 1991 e nel 1992: tuttavia una vera e propria crisi è scoppiata in questo 1993, inserendosi sì nell'ambito della generale crisi economica ma presentando caratteristiche e motivazioni peculiari. La recessione nel settore discografico classico è stata avvertita particolarmente in Italia dove le vendite nei canali cosiddetti «tradizionali» (i negozi di dischi e affini) hanno subìto una contrazione molto evidente. Compact disc classici che oggi in Italia vendano attraverso i negozi di dischi più di 1.000 copie all'anno si contano sulle dita delle mani. La media per una novità non supera infatti le 25 copie, se  escludiamo dal conteggio successi del tutto particolari come i recital di Pavarotti.
Va detto, a onor del vero, che in Italia hanno funzionato benissimo negli ultimi anni i canali «non tradizionali» di vendita come le edicole. Questo va a incidere in misura rilevante sulle quote italiane di vendita nel settore classico, che altrimenti si assesterebbero attorno al 5% su base mondiale. Ciò non toglie che vi sia attualmente una crisi effettiva nel settore classico, che può essere fatta risalire a diverse cause, prime fra tutte la saturazione del mercato e l'esaurirsi di quella spinta all'acquisto che era seguita all'introduzione del cd. L'appassionato, cioè, dopo essersi costituito una discoteca di base sul nuovo supporto ed essere stato travolto dall'eccesso di offerta, non e più disposto a spendere oltre trentamila lire per cd che spesso non aggiungono niente da un punto di vista musicale o interpretativo a quanto già possedevano. Sono poi deceduti o hanno cessato l'attività negli ultimi anni alcuni di quei grandi nomi che «tiravano» il mercato delle multinazionali - e parliamo di Karajan, Bernstein, Horowitz, Serkin, Arrau, Sutherland - senza che tra le nuove generazioni vi sia stato un adeguato ricambio.
Ma in Italia vi è un altro elemento che ha accelerato la crisi discografica e che ha giustificato poi il largo successo del cd in edicola: l`insufficiente rete di distribuzione, con un numero ristrettissimo di negozi specializzati e intere città, anche importanti, prive di un vero punto di vendita per la musica classica, per non voler parlare più in generale della nostra bassa cultura musicale media rispetto agli altri più evoluti paesi europei.
A una situazione del genere è ovvio che le case discografiche - e in particolare le multinazionali che hanno altissimi costi di gestione - stanno cercando di porre un rimedio anche se non sempre il rimedio è efficace. Qualcuno ha sperato nel lancio di dcc e mini disc ma i due nuovi supporti non potranno certo rinnovare il successo del cd e comunque, quando anche riuscissero a imporsi sul mercato, venderebbero più come supporti «bianchi» che come supporti preregistrati. Ritenendo poi giustamente che in prospettiva futura la produzione debba essere impostata sull'immagine di un interprete, si sta cercando di operare più che nel passato con contratti di esclusiva su giovani musicisti, investendo su di loro notevoli quantità di denaro. Purtroppo non se ne ricevono sempre benefici come nel caso di Cecilia Bartoli o Nigel Kennedy. Al contrario le grandi case discografiche devono confrontarsi con costosi effetti collaterali, quali il presentare in contemporanea o a brevissima distanza di tempo registrazioni di stessi brani con interpreti diversi.
Ancora più difficile e per una grande casa discografica il votarsi a un repertorio alternativo, sia perché più o meno quello che c'era di buono da registrare è stato già registrato sia perché vendere grandi quantitativi di questi prodotti resta al giorno d'oggi più improbabile che vendere proprio quell'ennesima edizione delle sinfonie di Beethoven. Le oltre trecentomila copie vendute nel mondo dalla Warner con l'edizione della Nonesuch della Terza sinfonia di Gorecki sono in tal senso un'eccezione e va anche detto che la Nonesuch produce un numero ristrettissimo di cd all'anno, il che consente ai suoi prodotti di beneficiare di una pubblicità mirata e concentrata.
Con costi di produzione elevati accompagnati da una contrazione delle vendite, non è possibile per le grandi case discografiche offrire le proprie novità a un prezzo inferiore a quello oggi praticato nei negozi. Né è possibile altrimenti anche per le piccole case discografiche, che pur avendo costi di produzione e di gestione spesso molto bassi, hanno vendite irrisorie nel mondo, con una media di circa 1.000 pezzi per titolo. In compenso il turn over delle pubblicazioni delle grandi case discografiche si è drasticamente ridotto in conseguenza della sfrenata concorrenzialità: ovvero la novità offerta dalle grandi case discografiche resta ad alto prezzo per un periodo di tempo sempre più piccolo, così che è possibile trovare a medio prezzo cd usciti anche solo un paio di anni prima. Ed è proprio dalle serie a medio prezzo e dalle serie economiche che le multinazionali del disco traggono i loro maggiori ricavi.
Difficile è pronosticare il futuro della situazione discografica classica in Italia e nel mondo. Sicuramente alcune case discografiche non supereranno questo periodo, altre ne risentiranno a livello produttivo e di marketing ancora a lungo. La contrazione delle vendite e la grande competizione hanno messo alle corde anche le aziende che stampano cd che cresciute a dismisura negli ultimi anni, oggi molto spesso offrono sottocosto i loro servizi.
Potrebbero continuare ad avere  successo le case discografiche che vendono cd classici a prezzo economico ma a patto di offrire un prodotto di buona qualità, il che comporterebbe un considerevole aumento dei costi di produzione. Sempre la qualità dovrebbe per l`Italia essere l'arma vincente anche nell'utilizzo del particolare canale dell'edicola.
L'augurio è dunque che questa crisi generi una positiva reazione al consumismo senza limiti che si era ormai affacciato anche nel settore discografico classico, favorendo un'oculata politica di mercato al servizio della cultura e del consumatore.
Gian Andrea Ludovici
("Amadeus", Anno VI, Numero 2 (51). Febbraio 1994)

martedì, aprile 01, 2025

Gavin Bryars: A man in a room, gambling (Un uomo in una stanza, giocando d'azzardo)

Gavin Bryars (1943)
A man in a room, gambling
nasce dall’incontro tra il Gavin Bryars, contrabbassista e compositore di punta della scena inglese contemporanea, e lo scultore spagnolo Juan Muñoz, uno dei più importanti artisti degli ultimi decenni. La loro collaborazione è iniziata nel 1992 quando Artangel, nota associazione culturale londinese che dal 1985 produce importanti progetti artistici, gli ha proposto di comporre una serie di brani destinati alle trasmissioni radiofoniche britanniche. Il fatto che uno scultore possa interagire con un musicista stimola già una certa curiosità, tanto più se consideriamo la tipologia del mezzo di destinazione: la radio. Glenn Gould aveva già contribuito a valorizzare il potenziale creativo della radio nel 1967, in un programma sperimentale canadese, The Idea of  North, dove impiegò una tecnica che definì contrapuntal radio, che consisteva nel sovrapporre una serie di voci per creare un unico ambiente sonoro tra musica e parole. Nella sezione conclusiva, un soliloquio del narratore è accompagnato dall’ultima parte della Quinta Sinfonia di Sibelius, con gli accordi finali perfettamente aderenti alla cadenza verbale che contribuiscono ad enfatizzarne il senso.
In questa prospettiva, la radio può diventare un potente mezzo creativo: non solo perché stimola l’immaginazione ma anche per il suo impatto sull’ascolto, che può essere più o meno attivo in base al contesto e all’ambiente di riferimento. A questo proposito, in un’intervista rilasciata alla rivista musicale Parkett nel 1995, Bryars ha proposto alcune interessanti riflessioni sulle previsioni navali e metereologiche della BBC trasmesse sulla National Radio 4: la presentazione dei vari fenomeni atmosferici può essere descritta come una sorta di litania, alla quale la maggior parte degli ascoltatori di solito presta attenzione solo nel momento in cui si parla di una zona geografica di loro interesse. In alcuni casi, tuttavia, può accadere che certe informazioni metereologiche, che riguardano un’area di cui si percepisce a malapena l’esistenza, possano non solo destare interesse, ma anche generare uno spazio immaginario emotivamente molto potente. È in questo spazio immaginario che si moltiplicano interpretazioni, illusioni o semplici considerazioni, attraverso le quali è possibile stabilire la presenza o meno di un significato più profondo.  
L’idea iniziale di A man in a room, gambling fu di Muñoz, che scrisse dieci testi in cui descriveva come manipolare le carte da gioco o, meglio, quali trucchetti utilizzare in base alle circostanze. Parte di questi testi traggono ispirazione dal libro The Expert at the Card Table scritto nel 1902 da S. W. Erdnase, un manuale che ancora oggi viene considerato indispensabile per imparare giochi di prestigio e trucchetti di vario genere con le carte.  
L’intenzione era quella di registrare brani della durata di cinque minuti esatti, da collocare prima dell’ultimo giornale radiofonico della sera, in modo che potesse essere ascoltato con la stessa predisposizione con cui si ascoltano le previsioni metereologiche. Ovviamente la lettura di un testo segue un proprio ritmo: di conseguenza, fecero in modo di manipolarne la lunghezza affinché si adattasse al formato di cinque minuti. Inoltre, era necessario che esattamente dopo quattro secondi dall’inizio del programma Muñoz pronunciasse il suo «Good evening», così come a quattro minuti e cinquantadue secondi avrebbe detto «Thank you and good night». Bryars decise di accompagnare ogni testo con un quartetto d’archi, che avrebbero suonato utilizzando lo stesso tempo per ogni brano, ovvero ♩ = 60. La forma dei pezzi cerca di seguire la struttura del testo: un preambolo descrittivo, l’azione di prendere le carte e di mescolarle, la tecnica di manipolazione e la rivelazione del risultato. L’accompagnamento degli archi crea atmosfere suggestive con sonorità che esprimono un misto tra inquietudine e drammaticità, dalle quali spesso emerge una buona dose di suspence. Bryars riesce a combinare diverse formule compositive, spesso con funzione descrittiva, per accompagnare i testi di Muñoz: dai lunghi tappeti dissonanti ai più semplici ma non meno efficaci unisoni, dai compulsivi pizzicati ai lunghi tremoli. Tuttavia, sono piuttosto frequenti i passaggi in cui una frase melodica particolarmente accattivante distrae dalla narrazione, provocando un senso di smarrimento nell’ascoltatore che in quel momento realizza di aver perso il filo del discorso.  
Il primo episodio inizia con la frase «Welcome once again», come ad indicare un pregresso o un senso continuità con un passato che è fittizio, un voler porre l’ascoltatore dentro a qualcosa di già iniziato, di cui non conosce l’origine, ulteriormente rafforzato dalla frase «As we mentioned yesterday, we are going to explain the second part of some of the most common card tricks». In effetti è proprio questa la sensazione che si ha nel momento in cui si accende una radio: non si sa mai in cosa ci si può imbattere, una canzone, un notiziario, un messaggio promozionale. Si entra in un flusso continuo di suoni che in base alla predisposizione dell’ascoltatore può stimolare o meno delle reazioni. Alla fine dell’episodio il narratore anticipa l’argomento dell’episodio successivo, annunciando che sarà incentrato sul poker e sul bridge; in realtà queste aspettative verranno totalmente disattese, visto che nel secondo episodio si parla del Three Carded Man (corrispondente al nostro “Gioco delle tre carte”, sul quale si ritornerà anche nel nono episodio). Il senso di continuità è dunque spezzato da eventi disattesi che creano una sorta di disturbo, un lieve ma fastidioso disagio che ci impone una continua riorganizzazione mentale ed emotiva. Sembrerebbe quasi che nella meticolosa descrizione di trucchi e imbrogli l’ascoltatore stesso diventi in qualche modo vittima di un tentativo di raggiro, in cui la contraffazione del senso esprime un paradosso che suscita sorpresa e sconcerto. Da questo punto di vista è possibile cogliere una prospettiva estetica modulata sulla retorica dell’antìfrasi, in base alla quale le azioni predette puntualmente non si realizzano. 
Altri elementi contribuiscono ad aumentare il senso di dislocazione spaziale, come l’accento straniero del narratore, oppure la presenza di uno speaker giapponese che declama brevi frasi aggiuntive con ripetizioni di singole parole (in particolare nel quinto, settimo, nono e decimo episodio). In alcuni casi queste parole sono irrimediabilmente sbagliate, come quando lo speaker giapponese ripete ogni parola chiave di una frase («Little finger» - «Little finger», «Ring finger» - «Ring finger»), oppure occasionalmente scambia «Thumb» con «Little finger». Questo effetto di sconcerto è ancor più enfatizzato all’interno del nono episodio, presentato in modo apparentemente improvvisato, in cui il narratore afferma di aver perso il testo preparato e propone in alternativa la spiegazione del “trucco messicano delle tre carte”, già descritto in modo più formale nel secondo programma. La particolarità del nono episodio è la presenza di suoni ambientali, in particolare sonorità urbane, che in qualche modo ricreano l’ambientazione abituale di quel trucco, come se fosse eseguito nel suo luogo d’origine, cioè la strada. Come nella scultura, l’idea è quella di creare delle texture sonore attraverso la sovrapposizione di suoni, come se fossero strati e superfici di diversa densità e spessore, per creare una filigrana sonora.  
Rispetto al progetto originale, destinato alla trasmissione radio, l’opera si è evoluta per poter essere eseguita anche dal vivo. Bryars ha realizzato una nuova versione in cui l’orchestrazione è stata appositamente modificata, per ottenere una maggior malleabilità delle parti strumentali. In ogni caso è importante che durante l’esecuzione i musicisti, o quantomeno il direttore, siano provvisti di auricolari per l’ascolto del metronomo, affinché tutti siano perfettamente sincronizzati, voce narrante compresa, in modo da attenersi ai tempi tecnici della versione radiofonica. L’obiettivo è sempre quello di ricreare una determinata condizione d’ascolto che possa suscitare nell’ascoltatore l’impressione di un’attività che si sviluppa in uno spazio immaginario, teso a stimolare la ricerca di significati in un orizzonte popolato da ambiguità. Come nelle arti visuali, in cui la risposta viene data dal “doppio sguardo” dello spettatore, nel caso della radio l’ascoltatore viene invitato a sviluppare un “doppio ascolto” per decifrare e interpretare quell’elemento che lo stesso Bryars, traendo ispirazione da un termine coniato da Duchamp, definisce infrasottile: un aggettivo che qualifica quei fenomeni posti al limite della percezione, che sono al contempo materia ed esperienza, la coesistenza di due stati di fronte ai quali l’acuire dei sensi genera una combinazione alternativa, tangibile e possibile. L’infrasottile non trascende il reale, piuttosto ne determina un aspetto, imprime in esso un significato “altro” che l’artista vuole svelare, senza privare lo sguardo dello spettatore di quell’autonomia cognitiva che, dopo un appagante senso di consapevolezza, stimola i sensi e le emozioni pur mantenendo alta l’attenzione critica. Attraverso questo riferimento a Duchamp, Bryars recupera una traccia del passato da rielaborare in nuove forme di dialogo e di simbolismi.
Alessio Cortini
(programma di sala alla Chigiana,
10° International Festival & Summer Academy 2024 - Tracce) 


TESTO DEI 10 BRANI (originali in inglese)

I. Programme One - Bottom dealing (Distribuire dal fondo)
Buonasera. Benvenuti ancora una volta a "Un uomo in una stanza, giocando d'azzardo". Come abbiamo accennato ieri, oggi spiegheremo la seconda parte di alcuni dei trucchi con le carte più comuni che possono essere eseguiti a un tavolo da gioco. Forse uno dei più noti è la mossa apparentemente semplice del "bottom dealing" (distribuire dal fondo). Diciamo semplice perché la maggior parte delle persone che non giocano a carte professionalmente pensa che ci voglia poca abilità per prendere una carta dalla metà inferiore del mazzo senza essere notati. È vero che questa mossa non richiede un allenamento intensivo come il "double lift" o alcune operazioni di "palming" o il "Mexican three carded". Ma è importante ricordare che mentre si distribuiscono carte dal fondo, anche un solo movimento innaturale susciterà sospetti. 
Ora, come ogni sera, prendete il vostro mazzo di carte e mescolatelo. Togliete circa metà delle carte perché distribuire dal fondo non viene solitamente fatto con un mazzo intero. È molto più facile ed efficace quando il mazzo è ridotto. I professionisti di solito aspettano gli ultimi round prima di distribuire dal fondo. Ora, mescolate metà mazzo. Ma questa volta, mentre lo fate, mettete una o più carte sul fondo del mazzo. 
Se vi sentite a vostro agio, usate un "riffle shuffle". Altrimenti, fate un "hand shuffle". Poi sarà sufficiente far scorrere le carte. Se avete già fissato il fondo del mazzo, passiamo all'argomento di oggi, che è distribuire carte dal fondo. Tenete il mazzo nella mano sinistra, ma non stringetelo. Il dito medio e il pollice faranno tutto il lavoro. Ora, spingete un po' fuori la carta superiore con il pollice, come se la steste offrendo alla vostra mano destra per distribuirla. Allo stesso tempo, piegate il dito anulare all'indietro finché l'unghia non si appoggia sul bordo della carta inferiore. Non preoccupatevi, questo sarà nascosto dalla carta che sporge in alto. Ora, forzate leggermente la carta inferiore verso l'alto e di lato con il pollice, spingendola un po' fuori. La carta superiore e inferiore sporge dal mazzo nello stesso modo. La carta superiore nasconderà perfettamente quella inferiore. Prestate molta attenzione perché ci vuole solo un secondo. Muovete la vostra mano destra come se steste per prendere la carta superiore. Nel momento in cui la vostra mano destra raggiunge la sinistra, in quel preciso momento, tirate indietro il pollice e riportate indietro la carta superiore mentre le dita della vostra mano destra prendono la carta inferiore. 
L'avete visto? L'avete visto? Domani vi insegneremo come distribuire dal fondo nello "statbucker" o quando state girando una "tramping breach". Grazie e buona notte.

II. Programme Two - Three card tricks (Il trucco delle tre carte)
Buonasera e benvenuti ancora una volta a "Un uomo in una stanza, giocando d'azzardo". Come abbiamo promesso ieri, spiegheremo come eseguire il trucco noto come "El Trile" o "three card". Avrete notato questo trucco alcune volte nelle strade del centro della vostra città. Il "Toledo", o l'uomo delle tre carte, mostra al suo pubblico tre carte a faccia in su su un tavolo pieghevole o una scatola di cartone. Una di queste è sempre un asso. Le carte sono generalmente piegate lungo la lunghezza in modo che possano essere facilmente prese per le estremità. L'esecutore mostra le tre carte una dopo l'altra. Poi le prende e le distribuisce di nuovo. Lentamente. A faccia in giù. Sul tavolo. In fila. Una dopo l'altra. In generale, non vi consiglieremmo di scommettere, ma se è quello che volete fare, spiegheremo nel programma di domani come battere l'uomo delle tre carte. 
Questa sera vi spiegheremo solo come viene eseguito il trucco. Come ogni sera, prima prendete un mazzo di carte. Non è necessario mescolare poiché useremo tre carte. Ricordate che una di queste deve essere un asso. Prendetele ora. Piegatele un po' lungo la linea della carta. Ora mettetele a faccia in giù sul tavolo, una accanto all'altra. Scegliete una delle carte a parte l'asso. Ora, usando il pollice e il dito medio della mano destra, prendetela per l'estremità lungo la linea della carta. Portatela delicatamente lungo la linea della carta e un po' a destra. Ora, senza lasciarla, posizionate questa carta esattamente sopra l'asso. Ricordate qual è? È facile perché avete solo due carte sul tavolo. Lasciate che le due carte si tocchino sul lato sinistro. E ora prendete l'asso con il pollice e il dito anulare. Rifate il movimento se volete. La vostra mano destra tiene entrambe le carte. La carta superiore sarà tenuta solo con il dito medio. La carta inferiore, l'asso, con il pollice e il dito anulare. Ora prendete la terza carta con la mano sinistra e prestate molta attenzione, perché tutto questo avviene in un attimo. Muovete la mano destra verso la mano sinistra. E con un leggero movimento verso il basso, lasciate cadere la carta superiore in modo che cada sul lato sinistro del tavolo. E poi riportate rapidamente la mano destra alla sua posizione originale. Nel momento in cui il vostro dito medio lascia cadere la carta superiore, prende il controllo della carta inferiore e il vostro dito anulare si distende completamente in modo che, quando la vostra mano torna a riposare nella sua posizione originale, gli spettatori possono vedere che il dito che teneva la carta superiore è lo stesso di prima. E il dito che teneva la carta inferiore è ora libero. Il resto è facile. Muovete la mano sinistra verso il lato destro del tavolo. E lasciate cadere la sua carta lì. Muovete di nuovo la mano destra e lasciate cadere l'ultima carta tra le altre due. Come avrete visto, il movimento falso avviene quando viene distribuita la prima carta. La mano destra sembra lasciare cadere prima la carta inferiore. Ma in realtà distribuisce la carta superiore. In ogni caso, per strada, non potete seguire la carta in questione con gli occhi. Buonanotte. Grazie

III. Programme Three - Cutting (Taglio)
Buonasera. Presentiamo "Un uomo in una stanza, giocando d'azzardo". Questa sera mostreremo la soluzione più semplice e audace a un problema che è stato definito il buco nero dei giocatori di carte. Si tratta del problema del taglio. Il giocatore d'azzardo professionista sa come sistemare le sue carte prima di distribuire. Il "false rifle" e il "palm top pack" sono solo due dei tanti trucchi sottili del mestiere. Ma ogni giocatore d'azzardo, non solo un professionista, può sistemare alcune carte mentre le mescola. Tutto quello che devi fare, mentre raccogli le carte dal tavolo, è ricordare l'ordine di una mano scartata apertamente. Sia lo scarto stesso che le ultime carte giocate sul tavolo, 15 o 20 secondi sono più che sufficienti per disporre tre carte mentre le mescoli. Se nessuno al tavolo taglia, devi solo distribuire dal fondo, ma le persone tagliano a ogni tavolo da gioco, il mazzo viene tagliato dopo essere stato mescolato. 
Ora spiegheremo due modi per uscire da un taglio con le carte nello stesso ordine che avevano quando il mazzo è stato mescolato. Il primo metodo dovrebbe essere usato se stai tagliando per un compagno che è dalla tua parte. Il secondo taglio se stai giocando da solo. Ora, come ogni sera, prendi il tuo mazzo di carte, mescola e disponi alcune delle carte in cima. Ecco il falso taglio: tieni il mazzo dai lati vicino all'estremità tra il pollice e il dito medio di ciascuna mano. Tenendo la parte inferiore con la mano sinistra e la parte superiore con la mano destra, tira il mazzo inferiore verso l'alto e in avanti con la mano sinistra, portandolo verso di te e lascialo cadere. Muovi un po' la mano destra verso l'alto e fai scivolare il mazzo superiore sopra. I movimenti devono essere rapidi e puliti. 
Ora spiegheremo il secondo metodo. Prendi di nuovo il mazzo. Mescolalo. Posalo sul tavolo. Taglia tu stesso come se fossi la tua stessa vittima. Bene. Ora presta attenzione ai movimenti perché sono così semplici che richiedono un po' di audacia per essere eseguiti. Ricorda che devi spostare le carte apertamente, con naturalezza e senza fretta. L'importante è che i tuoi movimenti sembrino del tutto normali. Presta molta attenzione. Prendi il mazzo inferiore con la mano destra e invece di metterlo sopra l'altro, fallo scivolare lungo il tavolo fino alla tua mano sinistra. Ora prendi il secondo mazzo e mettilo sopra nello stesso modo. Incredibile. È incredibile. Buonanotte e grazie.

IV. Programme Four - Shifting upper pack to bottom (Spostare il mazzo superiore in fondo)
Buonasera. Benvenuti ancora una volta a "Un uomo in una stanza, giocando d'azzardo". Questa sera vi insegneremo una delle cose migliori che si possono fare a un tavolo da gioco. Alcune persone con un alto senso morale usano la parola trucchi per descrivere queste tecniche sottili. Ma preferiamo chiamarle artifici. Abbiamo menzionato prima che è importante sistemare le carte quando le raccogliete dal tavolo e squadrate il mazzo. Anche prima di iniziare a mescolare. Ad esempio, se raccogliete il mazzo dopo un giro di poker in cui sono state mostrate due mani, una con una coppia, un'altra con una carta dello stesso valore di quelle nella coppia. In questo caso, un semplice sguardo è sufficiente per disporre il piccolo mazzo. Potreste ovviamente lasciarle in cima, ma non sarebbe molto utile. Conoscere due o tre carte in fondo al mazzo è un grande vantaggio per il giocatore d'azzardo esperto. Quando un professionista gioca da solo, distribuirà senza mettere il mazzo inferiore sopra dopo la mescolata, oppure le palmerà mentre mescola o potrebbe addirittura fare un piccolo salto dopo la mescolata, quello che chiamiamo un "salto". 
Questa sera vi insegneremo come prendere le carte lasciate in cima, quelle che avete disposto mentre mescolavate e che abbiamo menzionato in altre sere come il mazzo superiore. Vi insegneremo come spostare queste carte in fondo al mazzo in modo che possiate distribuirle dal fondo. Ancora una volta, come ogni sera, prendete il vostro mazzo di carte. Mescolatelo. Scegliete tre carte e disponetele in un mazzo superiore. Ricordate che in tagli di questo tipo è importante che le dita siano posizionate nella giusta posizione. Dovete tagliare le carte solo con il pollice e il dito medio. Gli anulari dovrebbero essere piegati contro l'estremità del mazzo e gli indici dovrebbero essere piegati sopra il mazzo in modo che non ostruiscano la vostra vista. 
Tenete il mazzo dai lati vicino alle estremità, tra i pollici e i medi di ciascuna mano. Allontanate un po' il mazzo dal tavolo e separate il mazzo inferiore con la mano destra. Lasciate cadere il mazzo nella vostra mano sinistra sul tavolo. Ora posizionate il dorso della mano destra sopra. Ma questo è importante. Tenete un po' di spazio tra i due finché non segnate una pausa con il pollice destro sul bordo del mazzo inferiore. Ora, apparentemente squadrate. Allontanatevi di nuovo dal tavolo. Di nuovo con entrambe le mani. Poi, usando la mano sinistra, separate il mazzo che è rimasto sopra la pausa. Continuate. Separate con la mano sinistra piccoli mazzi. Lasciandone cadere uno sopra l'altro. Ora lasciate cadere l'ultimo sopra con la mano destra. La freccia in basso. Ora potete iniziare a distribuire. Grazie e buonanotte.

V. Programme Five - Sorting 3 cards in a pack (Ordinare 3 carte in un mazzo)
Buonasera. Presentiamo "Un uomo in una stanza, giocando d'azzardo". Oggi vi mostreremo come sistemare tre carte in un mazzo. Il sistema che utilizzeremo è adatto a qualsiasi gioco in cui le carte vengono distribuite singolarmente, come nel poker e in molti altri. Un piccolo avvertimento prima di iniziare. Faremo il programma di oggi davvero lentamente. Quando parliamo di un "jog" nella mescolata overhand, quella carta che sporge un po' meno di un quarto di pollice dal resto del mazzo. Tutto quello che dovete ricordare è che l'in jog è la carta che sporge sopra il vostro mignolo e l'out jog è quella sopra il vostro indice. 
Ora decidete quanti giocatori saranno al tavolo. 4 è il numero usuale, 3 se preferite. E ricordate che, quando mescolate e sistemate le carte in questo modo al tavolo, dovete farlo senza guardare il mazzo. Ora, come ogni sera, prendete il vostro mazzo. Fate una mescolata overhand. Mentre disponete 3 carte in cima. Circa metà del mazzo dal fondo. Sistemate la carta superiore all'in jog. Saltate due carte, meno del doppio del numero di giocatori. Saltate una all'out jog e mescolate il resto sopra. Tagliate sotto il jog dell'out jog per fare una pausa sotto l'in jog. Ora saltate una carta meno del numero di giocatori. Poi, con la vostra mano sinistra, lasciate cadere in un mazzo tutte le carte che ci sono dalla pausa. Saltate una. Saltate un'altra all'in jog e contandola mentalmente come una. Continuate a saltare finché non arrivate a uno meno del doppio del numero di giocatori. Saltate una all'out jog. E mescolate il resto sopra. Tagliate sotto l'in jog. E lasciate cadere il mazzo sopra. Ora ascoltate attentamente. Tagliate sotto l'out jog. Saltate una meno del numero di giocatori. E ora lasciate cadere il resto sopra. Il risultato è che le tre carte disposte nella mescolata andranno a chi distribuisce per i primi tre giri. Grazie e buonanotte.

VI. Programme Six - Taking cards from the bottom (Prendere carte dal fondo)
Buonasera. Ancora una volta presentiamo "Un uomo in una stanza, giocando d'azzardo". Questa sera, come promesso, spiegheremo come prendere una carta dal fondo quando distribuite a poker stud o girate una carta a briscola. Il punto non è solo prendere la carta dal fondo, ma farlo sembrare come se steste prendendo quella in cima. Spiegheremo come un giocatore normale gira la carta superiore e come un giocatore d'azzardo esperto dovrebbe girare la carta inferiore in modo che sembri quella superiore. Come se tutto fosse fatto normalmente. Ma prima, ricordiamo brevemente quello che è forse il trucco più utilizzato nel repertorio professionale: distribuire dal fondo del mazzo. 
Ora, come ogni sera, prendete il vostro mazzo di carte. Tenetelo con la mano sinistra. Spingete fuori un po' la carta superiore con il pollice, come se la steste offrendo alla vostra mano destra per distribuirla. Ora premete la carta inferiore con il pollice. Forzatela leggermente verso l'alto e di lato, contemporaneamente spingendola un po' fuori. Bene. Ora avete due carte, la superiore e l'inferiore, che sporgono dal mazzo nello stesso modo, con una sottile differenza. La carta superiore è perfettamente nascosta dall'inferiore.
Prestate molta attenzione perché tutto avviene in un lampo. Muovete la mano destra, apparentemente per prendere la carta superiore. Ora, in quel momento, fatelo ancora una volta. Muovete la mano destra verso sinistra per prendere la carta. Ora scorrete il pollice all'indietro e ritirate la carta superiore nello stesso momento in cui prendete la carta inferiore. Bene. 
Come gira una carta un giocatore normale quando distribuisce a poker stud o gira una carta a briscola? Prende le carte dal tavolo con la mano sinistra. Inverte la mano destra. Tiene il fronte della carta con le dita e il retro con il pollice. E gira la carta prima che sia completamente separata dal mazzo. No. Un professionista non usa mai la posizione della mano invertita perché sarebbe difficile rimuovere la carta inferiore senza fare rumore. La mano sinistra fa tutto il lavoro. La destra la nasconde soltanto. Squadrate di nuovo le carte. Distribuite una carta dal fondo. Spostatela di un pollice circa dal mazzo. Ora giratela. Bene.  Grazie e buonanotte.

VII. Programme Seven - Sorting 2 cards in a pack (Ordinare 2 carte in un mazzo)
Buonasera. Presentiamo "Un uomo in una stanza, giocando d'azzardo". Oggi, seguendo il programma di ieri, vi spiegheremo come sistemare due carte in un mazzo. Un piccolo avvertimento prima di iniziare. Faremo il programma di oggi davvero lentamente. Quando parliamo di un "jog" nella mescolata overhand, quella carta che sporge un po' meno di un quarto di pollice dal resto del mazzo. Tutto quello che dovete ricordare è che l'in jog è la carta che sporge sopra il vostro mignolo e l'out jog è quella sopra il vostro indice. 
Ora decidete quanti giocatori saranno al tavolo. Quattro è il numero usuale, tre se preferite. E ricordate che, quando mescolate e sistemate le carte in questo modo al tavolo, dovete farlo senza guardare il mazzo. Ora, come ogni sera, prendete il vostro mazzo. Fate una mescolata overhand. Mentre disponete 2 carte in cima. Tagliate circa metà del mazzo dal fondo. Sistemate la carta superiore all'in jog. Saltate due carte, meno del doppio del numero di giocatori. Ora saltate una, lasciandola all'out jog e mescolate il resto sopra. Tagliate sotto l'out jog, facendo una pausa sotto l'in jog. Saltate una carta meno del numero di giocatori. Poi, con la vostra mano sinistra, lasciate cadere in un mazzo le carte che ci sono fino alla pausa. Saltate tante carte quanti sono i giocatori. Saltate una all'out jog. E mescolate il resto sopra. Tagliate sotto l'in jog. E finite il taglio.
Ora ascoltate attentamente. Buona fortuna. In questo modo, le due carte disposte all'inizio andranno a chi distribuisce per i primi due giri. Grazie e buonanotte.

VIII. Programme Eicht - Getting rid of extra cards (Liberarsi delle carte extra) 
Buonasera. Ancora una volta presentiamo "Un uomo in una stanza, giocando d'azzardo". Questa sera non spiegheremo come eseguire un trucco, perché ogni giocatore sa come darsi una o due carte extra quando distribuisce. Piuttosto, vi mostreremo come sbarazzarvi della carta o delle carte extra che avete in mano. Ora, come ogni sera, prendete il vostro mazzo. Mescolatelo. Distribuite. E perché non darvi una carta extra? Scegliete quale sarà la vostra carta. Ora avete la vostra mano più una carta extra. Cosa fare con quella carta? Non vi consiglio di "andare a ovest" con essa, cioè, lasciarla cadere in grembo o nasconderla nella manica, o addirittura gettarla nel mucchio con i vostri scarti. Questo non è artistico, è pericoloso e degno di un principiante o di un dilettante maldestro. Prima di sbarazzarvi della vostra carta, dovete palmarla, cioè, nasconderla nel palmo della mano e poi rimetterla quando prendete il mazzo per distribuire una seconda volta. 
Quindi, ricominciamo. Prendete il mazzo completo. Mescolatelo. Distribuite. E di nuovo, datevi una carta extra. Fate la vostra scelta. E ora mettete la carta extra in cima. Prendete le carte come fareste normalmente quando pareggiate il mazzo. Poi mettete il vostro pollice sotto il centro della carta superiore e allineate le altre dita con la parte superiore della carta. Posizionate la vostra mano destra sopra le carte, come se steste semplicemente pareggiando. Lasciate il pollice nell'angolo inferiore sinistro. Ora, con il pollice sinistro, spingete la carta superiore diagonalmente verso il lato destro. La vostra mano destra copre questa mossa. Premete leggermente con il mignolo destro e notate come la carta superiore, quella extra, si piega e si attacca al palmo della vostra mano. Tenete il resto delle carte con il pollice e il dito medio della vostra mano destra. Lasciate il resto delle carte sul tavolo quando scartate. Le vostre mani sono vuote. Muovete la mano destra verso il tavolo, in modo naturale e rilassato, e poi palmate la carta. Ora prendete il resto del mazzo per distribuire una seconda volta. Ricordate che la carta superiore sarà distribuita per prima. E nel poker, sorridete dentro di voi e mai all'esterno. Grazie e buonanotte.

IX. Programme Nine - Three card trick / The Mexican Row (Il trucco delle tre carte / La riga messicana)
Buonasera. Buonanotte. Ancora una volta presentiamo "Un uomo in una stanza, giocando d'azzardo". Un uomo nella stanza. Giocando d'azzardo. 
Inizieremo il programma di oggi, se possiamo, con delle scuse: abbiamo perso il programma di oggi da qualche parte in una piccola tasca di memoria o, meglio, abbiamo perso il testo che intendevamo leggere. Ma comunque, dato che lo avevamo promesso in precedenza, spiegheremo il gioco che le forze dell'ordine hanno davvero preso di mira. Quello conosciuto come il trucco delle tre carte o a volte anche come il rotolo messicano. Trucco messicano dei tre quarti. 
Fondamentalmente, il trucco è solo uno scambio di carte, uno scambio di carte che tutti hanno visto, e a volte nella propria strada centrale della città. Il trucco delle tre carte. 
Usando un tavolo pieghevole o una scatola di cartone coperta da un panno, il performer mostra i volti di tre carte e le posa lentamente in fila. Finge di confondere il pubblico spostandole sul tavolo. Poi, per spiegare il gioco, mostra il volto di una carta e poi la gira di nuovo. Carta. 
La infila sotto un'altra carta in modo da spingerla su fino a farla girare anch'essa a faccia in su. Fa lo stesso con la terza carta. È solo. 
Non vi consigliamo di scommettere perché le vostre probabilità di perdere sono del 100%. Grazie mille. 
Nel nuovo trucco delle tre carte che abbiamo spiegato la scorsa settimana, se lo spettatore scommette senza guardare le carte o l'azione, la probabilità di perdita sarebbe di due a uno contro di lui e di due a uno a favore del truffatore. Potrebbe teoricamente far saltare il banco. Grazie mille. 
Ma in questa versione, l'asso non è mai la carta su cui puntate, perché il truffatore dall'altra parte del tavolo scambia la carta a sua scelta con quella che scegliete voi. Fa il trucco. 
E poi scambia quella con la terza carta quando tutto ciò che sembra fare è girarle. Giù il numero di giocatori. 
Ora ripassiamo con il mazzo. Come ogni sera, prendete il vostro mazzo di carte. Oggi non è necessario mescolare perché useremo solo. Hey. 
Tre carte. Il trucco delle tre carte. 
Ricordate che una di esse deve essere un asso. Prendete le tre carte. E posatele sul tavolo. A faccia in giù. Una dopo l'altra. Mettete una da parte. Grazie mille.
Ora prendete una delle due carte rimanenti nella vostra mano destra. Mano destra. Tenetela tra le punte del pollice e dell'indice, ma il lato destro vicino all'angolo inferiore con il pollice sopra. Pollice, indice, mignolo. 
Fate scorrere il lato libero di questa carta nel lato destro della carta sul tavolo. Fino a quando 2/3 di essa sono nascosti e tutto ciò che si vede è 1 centimetro nella parte superiore. L'angolo rialzato in basso della carta sul tavolo ora poggia contro la punta del vostro dito medio. Ora fate molta attenzione. Fate scorrere il pollice verso l'angolo della carta sul. Tavolo, tenendola contro il vostro dito medio. Pollice. 
Portatela un po' a destra e girate la carta inferiore con la punta dell'indice. In quel singolo. 
Non dovete mostrare la minima esitazione mentre fate questo. Quando infilate la carta nella vostra mano sotto la carta sul tavolo e poi girate quella nella vostra mano come se fosse quella sul tavolo, dovete fare tutto in un unico movimento. Ora fate scorrere la carta sul tavolo sotto la terza carta. Carta. 
E fate lo stesso scambio. Il trucco delle tre carte. 
L'importante è non mostrare alcuna esitazione. Nessuna indecisione. Bellissimo, bellissimo, bellissimo. Molto bene. Grazie e. Buonanotte. Buonanotte. Bellissimo.

X. Programme Ten - Reprise "Dealing from the bottom" (Ripresa "Distribuire dal fondo")
Buonasera. Ancora una volta presentiamo "Un uomo in una stanza, giocando d'azzardo". Durante le serate recenti vi abbiamo parlato di alcuni artifici e tecniche che potete eseguire a un tavolo da gioco. Tutto ciò di cui stiamo parlando è l'abilità di prendere qualsiasi carta, distribuirle e trasformarle in una mano vincente. Qualche volta, in questa breve esposizione dell'arte e della scienza della manipolazione esperta delle carte, abbiamo seguito l'opinione del maestro canadese W.S.W. Erdnase, secondo cui il professionista è più innamorato del caso che del gioco d'azzardo in sé. Ed è vero, ciò che distingue principalmente il professionista è che è guidato dal suo amore per l'atto del gioco d'azzardo, mentre altri sono motivati dall'avidità. È quasi una regola che il principiante vincerà la sua prima mano a un tavolo di poker, ma raramente avrà i suoi soldi intatti dopo la prima ora. Parlando di carte, vi abbiamo mostrato in queste serate come unirle o separarle e come posizionarle dove volete mentre mescolate casualmente. Abbiamo spiegato come distribuirvi una carta extra e come sbarazzarvene in modo naturale ed elegante. Vi abbiamo insegnato come fare un falso taglio e alcuni modi di sistemare le carte mentre mescolate. In questo programma ripasseremo una delle routine di nuovo, sebbene forse un po' più brevemente di quanto abbiamo fatto l'ultima volta. Più di qualsiasi altro, questo è l'artificio che, se fatto correttamente, permette al giocatore professionista di aumentare le sue vincite, per poi sperperarle. Stiamo parlando di distribuire dal fondo del mazzo. Come ogni sera, prendete il vostro mazzo. Mescolate. Rimuovete grossomodo metà delle carte. Perché distribuire dal fondo non si fa di solito con un mazzo completo. È più facile e più efficace quando è ridotto. È una norma tra i professionisti aspettare fino a dopo aver scartato prima di distribuire dal fondo. Bene. Bene. Mescolate di nuovo la metà del mazzo. Ma questa volta, mentre lo fate, mettete uno o più tagli sul fondo del mazzo. Cominciamo. Tenete il mazzo nella mano sinistra. Non stringetelo troppo. Il vostro dito medio e il pollice faranno tutto il lavoro. Spingete la carta superiore un po' fuori con il pollice, come se la steste offrendo alla vostra mano destra per distribuirla. Allo stesso tempo, piegate il dito anulare all'indietro fino a quando la punta non poggia sul bordo della carta inferiore. Non preoccupatevi, questo sarà nascosto dalla carta che sporge in alto. Ora spingete la carta inferiore un po' in su e di lato con il pollice, spingendo verso l'alto. Notate che le carte superiore e inferiore sporgono dal mazzo nello stesso modo, quella superiore nasconde perfettamente quella inferiore. Bene. Continuiamo. E ora prestate molta attenzione perché tutto dura un secondo. Muovete la mano destra come se doveste prendere la carta superiore e nel momento in cui la vostra mano destra raggiunge la mano sinistra, in quel preciso momento, ritirate il pollice e tirate indietro la carta superiore mentre il vostro dito destro prende la carta inferiore. Avete visto? Avete visto? Grazie mille per essere stati con noi. Buonanotte e tanta fortuna.