L'«Ei fu» pronunciato su Ligeti, scomparso negli ultimi giorni della scorsa primavera, ha il sapore di un paradossale congedo dal futuro: lo spegnersi del suo sguardo sul mondo, pur mestamente adombrato, provoca un profondo disorientamento e un acuto senso di vertigine. Non solo perché uno degli ultimi veri grandi inventori di musica se ne è andato per sempre, ma soprattutto perché egli, più di ogni altro maestro del secondo Novecento, è stato capace di fondere memorie ancestrali e lucidissime istanze innovatrici rigenerando continuamente la propria vena creativa. Il tutto senza sacrificare la libertà di pensare e agire ad inflessibili dogmi postweberniani, né tanto meno scendere a qualsivoglia compromesso per conservare la benevolenza degli ascoltatori meno inclini ad avventurarsi in territori inesplorati. Le note non sono sette o dodici, ma infinite: i fittissimi e cangianti reticoli sonori ligetiani divengono dunque metafora d'una «conquista dello spazio» capace di oltrepassare di gran lunga il suggestivo ma riduttivo (ab)uso di alcuni suoi capolavori che si è voluto fare in un notissimo film di fantascienza. In questa triste occasione desideriamo semplicemente suggerire qualche ascolto significativo, spingendoci al di là delle pagine ben presenti a tutti quanti possiedono una certa confidenza con la produzione musicale del secondo dopoguerra, come per esempio Ramifications per orchestra d'archi, il Quartetto n. 2, il Concerto da camera per tredici strumentisti o Lux Aeterna (tutte cose peraltro felicemente riunite nel disco DG 423 244-2, che ha come protagonisti principali Pierre Boulez e il Quartetto LaSalle). Se infatti l'importanza di Ligeti come risoluto innovatore del linguaggio musicale è apparsa limpidamente fin dalla nascita dei primi capolavori strumentali (in particolare Apparitions e Atmosphères), finora le sue quanto mai stimolanti incursioni in campo operistico o meta-operistico non hanno goduto di un riconoscimento altrettanto convinto. Il Nostro non ha voluto però rinunciare al compito improbo di ridiscutere in toto le convenzioni della rappresentazione musicale, rovistando nella cassapanca dei consunti aggeggi teatrali ed estraendone di tutto un po': decontestualizzati e osservati con gli occhi puri di un marziano in missione sulla terra, i congegni arrugginiti del vecchio e moribondo melodramma hanno ripreso a funzionare in modo completamente imprevisto. Dalla mancanza di senso è emersa una nuova possibilità di senso, dalla crisi del linguaggio è nato un nuovo dizionario nel quale i vocaboli non sono più sistemati in ordine alfabetico. Con Aventures, secondo la suggestiva definizione di Stefan Beyst, il compositore ha intonato un'"ode alla discrepanza fra parola e azione". Per ascoltare questo stralunato capolavoro dell'assurdo, più che alla famosa incisione DG di Boulez (il CD è quello citato qualche riga sopra) rimandiamo alla lettura maggiormente libera ed estrosa di Reinbert de Leeuw alla testa dello Schönberg Ensemble (su Teldec 8573-88262-2). Tutta l'esperienza accumulata da Ligeti converge nella grande fatica de Le grand macabre, «Opera» (?) che cronologicamente - la prima versione è del 1975-77, quella definitiva riceve gli ultimi tocchi un ventennio più tardi - e idealmente rappresenta il perno attorno al quale ruota l'intera vita creativa del maestro magiaro. In luogo di un'altisonante ouverture o 'un atmosferico preludio, Ligeti dà il via al suo opus magnum con una parodistica e sguaiata fanfara di clacson che fa impallidire il dada circense di Parade. Il resto - una sequela infinita di ferocissimi nonsense - è tutto da scoprire. Per fare questo, più che la stimabilissima incisione Wergo diretta da Elgar Howarth, si consiglia di ascoltare attentamente la viva e spericolata restituzione di Esa Pekka Salonen pubblicata sul doppio CD Sony S2K 62312.
Negli anni '80 il furore delle avanguardie si placa e Ligeti si concede una pausa di riflessione prima di mutar registro con le pagine dell'estrema maturità. I lavori più importanti di questa fase sono il Concerto per pianoforte (1985-88) e il Concerto per violino (1992), affiancati al più «anziano» Concerto per violoncello (1966) in un irrinunciabile disco DG (la sigla è 439 808-2) che vede protagonisti Jean-Guihen Queyras, Saschko Gawriloff, Pierre-Laurent Aimard e l'Ensemble InterContemporain diretto ancora da Boulez. L'ultimo spicchio del secolo scorso vede però cambiare anche il modo di considerare ed eseguire le pagine degli «anni ruggenti». All'approccio rigorosamente razionalistico si sostituisce una visione più complessa e sfaccettata, capace di cogliere decantate rifrazioni liriche e sottili sfumature nostalgiche. La musica del domani appartiene ormai al passato, e come tale viene riletta. In tal senso un fondamentale spartiacque è rappresentato dalle incisioni dal vivo di Atmosphères e Lontano realizzate nell'ottobre 1988 da Claudio Abbado alla testa dei Filarmonici di Vienna, pubblicate da Deutsche Grammophon (la sigla del CD è 429 260-2) in un'antologia che comprende anche Départ di Rihm, Liebeslied di Nono e Notations I-IV di Boulez. Altrettanto significativo è il confronto fra la lucidissima lettura «geometrizzante» di Requiem registrata da Michael Gielen per la Wergo negli anni '60 (WER 60 045-50) con quella intensa e commossa proposta in tempi recenti da Johnatan Nott alla testa dei Berliner Philharmoniker (CD Teldec 8573-88263-2). Quest'ultimo compact disc si segnala anche per la presenza di un significativo «lavoro di transizione» come il Doppio Concerto per flauto, oboe e orchestra (1972) e del recentissimo Hamburgische Konzert per corno, orchestra da camera e quattro corni naturali obbligati (1998-99).
Tutta da scoprire per il grande pubblico è anche la produzione per strumenti a tastiera, che comprende brani fondamentali della moderna letteratura organistica (Volumina, 1961-2) e clavicembalistica (Continuum, 1968), nonché una rilevantissima serie di composizioni per pianoforte che culmina nei tre libri di Studi. Anche in questo caso l'infaticabile creatore di nuove sonorità e nuove tecniche non manca di stupire per la sua audacia e fantasia. Il primo libro di Studi, in particolare, è formato da sei pezzi in ognuno dei quali vengono sperimentate diverse modalità di scrittura. Ad esempio il primo, dal titolo Desordre, è fondato su un'opposizione ritmica fra le due mani - complicata da una diversa armatura di chiave: cinque diesis per la sinistra, cinque bemolli per la destra con continui spostamenti di accenti. Interessantissimo anche il terzo, Touches bloques, che utilizza appunto la tecnica dei «tasti bloccati», così descritta dallo stesso compositore: «Una mano preme i tasti per tenerli muti, e ciò avviene in successione cangiante. L'altra preme sia i tasti che suonano, sia quelli che sono appena stati bloccati. Di qui nascono nuove configurazioni ritmiche». Per ascoltare tutte queste pagine ci soccorrono i dischi della collana «Ligeti Project» pubblicata da Sony Classical: fortemente raccomandato, in particolare, è quello che abbina la Musica Ricercata e gli Studi I-XV nelle impeccabili e coinvolgenti esecuzioni del pianista Pierre-Laurent Aimard.
di Paolo Bertoli ("Musica" n.179, settembre 2006)
Negli anni '80 il furore delle avanguardie si placa e Ligeti si concede una pausa di riflessione prima di mutar registro con le pagine dell'estrema maturità. I lavori più importanti di questa fase sono il Concerto per pianoforte (1985-88) e il Concerto per violino (1992), affiancati al più «anziano» Concerto per violoncello (1966) in un irrinunciabile disco DG (la sigla è 439 808-2) che vede protagonisti Jean-Guihen Queyras, Saschko Gawriloff, Pierre-Laurent Aimard e l'Ensemble InterContemporain diretto ancora da Boulez. L'ultimo spicchio del secolo scorso vede però cambiare anche il modo di considerare ed eseguire le pagine degli «anni ruggenti». All'approccio rigorosamente razionalistico si sostituisce una visione più complessa e sfaccettata, capace di cogliere decantate rifrazioni liriche e sottili sfumature nostalgiche. La musica del domani appartiene ormai al passato, e come tale viene riletta. In tal senso un fondamentale spartiacque è rappresentato dalle incisioni dal vivo di Atmosphères e Lontano realizzate nell'ottobre 1988 da Claudio Abbado alla testa dei Filarmonici di Vienna, pubblicate da Deutsche Grammophon (la sigla del CD è 429 260-2) in un'antologia che comprende anche Départ di Rihm, Liebeslied di Nono e Notations I-IV di Boulez. Altrettanto significativo è il confronto fra la lucidissima lettura «geometrizzante» di Requiem registrata da Michael Gielen per la Wergo negli anni '60 (WER 60 045-50) con quella intensa e commossa proposta in tempi recenti da Johnatan Nott alla testa dei Berliner Philharmoniker (CD Teldec 8573-88263-2). Quest'ultimo compact disc si segnala anche per la presenza di un significativo «lavoro di transizione» come il Doppio Concerto per flauto, oboe e orchestra (1972) e del recentissimo Hamburgische Konzert per corno, orchestra da camera e quattro corni naturali obbligati (1998-99).
Tutta da scoprire per il grande pubblico è anche la produzione per strumenti a tastiera, che comprende brani fondamentali della moderna letteratura organistica (Volumina, 1961-2) e clavicembalistica (Continuum, 1968), nonché una rilevantissima serie di composizioni per pianoforte che culmina nei tre libri di Studi. Anche in questo caso l'infaticabile creatore di nuove sonorità e nuove tecniche non manca di stupire per la sua audacia e fantasia. Il primo libro di Studi, in particolare, è formato da sei pezzi in ognuno dei quali vengono sperimentate diverse modalità di scrittura. Ad esempio il primo, dal titolo Desordre, è fondato su un'opposizione ritmica fra le due mani - complicata da una diversa armatura di chiave: cinque diesis per la sinistra, cinque bemolli per la destra con continui spostamenti di accenti. Interessantissimo anche il terzo, Touches bloques, che utilizza appunto la tecnica dei «tasti bloccati», così descritta dallo stesso compositore: «Una mano preme i tasti per tenerli muti, e ciò avviene in successione cangiante. L'altra preme sia i tasti che suonano, sia quelli che sono appena stati bloccati. Di qui nascono nuove configurazioni ritmiche». Per ascoltare tutte queste pagine ci soccorrono i dischi della collana «Ligeti Project» pubblicata da Sony Classical: fortemente raccomandato, in particolare, è quello che abbina la Musica Ricercata e gli Studi I-XV nelle impeccabili e coinvolgenti esecuzioni del pianista Pierre-Laurent Aimard.
di Paolo Bertoli ("Musica" n.179, settembre 2006)
4 commenti:
"Pierre-Laurent" ha anche un cognome, Aimard :-)
ciao
...ovviamente!
Il cognome si è perso tra il "copia" e l'"incolla"!
Comunque, qualcuno legge questi articoli; mi fa piacere!
Ciao
Che meraviglia trovare queste belle parole sul grande Ligeti...
Grazie!
Ritengo interessante approfondire un discorso sulla discografia ligetiana e quest'articolo è molto esauriente in merito. Ma, a mio modo di vedere, è anche vero che per apprezzare e comprendere al meglio un brano musicale, nulla può sostituirsi alla visione di un concerto dal vivo. E questo aspetto è tanto piú vero quanto più ci avviciniamo alla musica contemporanea.
Purtroppo però in Italia molto spesso mancano le occasioni per poter assistere a concerti di musica contemporanea, e non mi riferisco solo a Ligeti, per cui il supporto discografico diventa una necessità.
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