Cara Lisa, propria ora ho ricevuto una telefonata da Forzanti, da Venezia, con la quale egli mi avvertiva che accetta di venire qui a Reggio il 20 agosto, per iniziare le prove del quartetto. Attraverso l'etere gli ho gridato che, se egli accetta, si deve impegnare a lasciare da parte ogni idea di fare il direttore d'orchestra e a dedicarsi, almeno per questi primi mesi, esclusivamente al quartetto. Egli, con voce strozzata per la lontananza, mi ha detto il sì fatale. Come vedi, è ora il caso di esultare! Il vecchio quartetto, il nostro quartetto, rinascerà. Il nostro sogno ormai si è avverato. Per il 20 è fissato il più bel giorno della nostra vita. Rossi e Forzanti saranno qui; noi ci abbracceremo, brinderemo alla nostra vittoria e alla nostra felicità.
Provvederò ad avvertire di tutto questo Farulli.
Attendendo un tuo sollecito riscontro a questa mia, ti saluta con affetto.
Paolo
Paolo
Con questa lettera dell'estate del 1945 Paolo Borciani, entusiasta, annunciava a Elisa Pegreffi la rinascita del "nostro quartetto". Dopo gli anni bui della guerra, la ricostituzione del "vecchio quartetto" era diventata per Borciani una vera idea fissa, una ragione di vita grande e pretenziosa. Si dimostrò tale, ma mai riuscì a soffocare nel musicista di Reggio Emilia il piacere e il desiderio di trasmettere la propria arte e le proprie conoscenze ai giovani violinisti.
Paolo Borciani, Elisa Pegreffi, Franco Rossi e Lionello Forzanti si erano conosciuti tre anni prima, nell'estate del 1942, a Siena, durante i corsi di perfezionamento organizzati dall'Accademia Musicale Chigiana. Ma l'deea del loro assemblaggio artistico partì da Arturo Bonucci con lo scopo di un saggio finale dedicato al Quartetto di Debussy. Attrazioni ed esitazioni si coagularono in un attimo per la realizzazione di un fatto concreto, poi dimostratosi storico. Di giorno i giovani studiano il loro strumento - il violino per Borciani e Pegreffi. la viola per Forzanti, il violoncello per Rossi - ma la sera, dopo cena, si ritrovano in una camera della Casa dello Studente. I compagni, alla spicciolata, li raggiungono con le sedie, per ascoltarli, mentre provano Debussy fino a notte. L'entusiasmo che è un trampolino di lancio per ottenere una concentrazione assoluta romarrà un segno inconfondibile del Quartetto Italiano: sempre pronto ad attrontare nuove sfide giocate su tutto l'orizzonte del repertorio musicale. Nuove sfide che appagano l'audacia, che sconfiggono la routine, che tengono sempre all'erta i mezzi e l'intelletto: prerogativa decisiva per la salvaguardia e il vivificante nutrimento di quei delicatissimi equilibri - umani e artistici -su cui si erige qualsiasi grande gruppo quartettistico. Il bollore delle emozioni, le discussioni accese di quelle nottate senesi lasciarono un segno imperituro, trovarono un emblema nella partitura di Debussy: da quel momento, e per sempre, cavallo di battaglia del Quartetto Italiano.
Guerra vuol anche dire separazione: ma l'idea fissa si è ormai formata, ha preso le sue fattezze. Ed ecco, nell'estate del '45, il gruppo che si ritrova, e la promessa di Forzanti che momentaneamente stoppa l'ingresso di Piero Farulli nel quartetto. Quindi il debutto a Carpi, agli Amici della Musica, il 12 novembre; e poi, il giorno successivo a Milano, per la Camerata musicale. Il programma è lo stesso: oltre a Debussy, si esegue Corelli, Beethoven e Stravinskij. Agli inizi del '46, il Nuovo Quartetto Italiano - come si era inizialmente denominato, a causa della preesistenza e contemporaneità di un altro Quartetto Italiano - partecipa a un concorso indetto dall'Accadernia di Santa Cecilia: lo vince. Pochi mesi dopo è il bis, in un concorso bandito dalla Filarmonica Romana. Al Quartetto si aprono le porte delle più importanti sedi concertistiche italiane: tutte conquistate in breve tempo. A questo periodo risale anche la prima incisione discografica: Debussy e Vinci. L'anno successivo, il '47, Forzanti ha l'occasione di andare in Sudamerica come direttore d'orchestra e riferisce francamente le sue intenzioni di ritirarsi dal gruppo, il suo posto viene preso da Farulli. La nuova formazione dei quartetto, che esordisce a Mantova l'8 febbraio, è quella decisiva: durerà fino al dicembre dei 1977. Con Farulli il Quartetto Italiano trova la giusta calibratura musicale, quella solidità caratteriale che permette di elaborare progetti a lunga scadenza, quella sicurezza data dalla permanenza nel tempo indispensabile per un progressivo confronto e affinamento delle qualità singole e collettive. Questo è il vero Quartetto Italiano e dopo trent'anni di musica, di straordinaria musica, Borciani confesserà l'unicità di questa esperienza, l'ipotetica possibilità di altre appendici quartettistiche, ma anche l'impossibilità di aggiungere altro a quanto questi tre decenni gli hanno straordinariamente dato. Il 1947 segna anche l'affermazione del complesso sul piano internazionale: un'attività che culminerà in numerose tournée europee e nelle undici del Nordamerica; ma non rimasero esclusi né il Sudamerica, né il Giappone. Le prove del Quartetto Italiano sono accompagnate ogni qual volta dall'ammirazione per lo stile, per la tecnica, per la purezza del suono, per quella rarissima coesione che è la scintilla di un perfezionismo mai freddo e fine a se stesso, di una incomparabile sensibilità che spesso sfocia nel pathos più denso. Il Quartetto Italiano studiava durante le tournée, nei pomeriggi liberi, nei fine settimana, ma il grosso del lavoro,di solito, si svolgeva d'estate: il Quartetto op. 130 di Beethoven, ad esempio, fu preparato già nel '49, proprio d'estate, a Castelnovo ne' Monti, sulla montagna di Reggio Emilia. Nonostante i problemi di tempo, imposti dalla distanza fra le rispettive dimore, per più di dieci anni il complesso suonò a memoria, ed ebbe abitudini "dispendiose". Si effettuava una prima lettura, quindi Borciani segnava le legature sulla partitura, indicando le arcate di ogni strumento secondo le esigenze singole e di gruppo. Il tutto era discusso a lungo, fin nei minimi particolari, battuta per battuta. Un lavoro dispendioso, che però balzava di scatto fuori nel corso delle esecuzioni: in certe profondità interpretative, nella tensione intellettuale, nella ricchezza d'espressione, nella vibrante intensità, via via sempre più stringata, nell'amalgama perfetto. Eppure, il Quartetto Italiano fu anche maestro sovrano nell'arte sottile di lasciare a ciascun arco la propria libertà. Nel grande gioco a incastro non mancava mai la possibilità della privata soddisfazione di una frase propria, di un personale rapimento spirituale.
Indipendente nello studio, libero dalle consuetudini e, tanto più, dai compartimenti stagni stilistici e di repertorio, il Quartetto Italiano seppe tracciare un solco interpretativo unico e originalissimo. Basti pensare alla personale visione che Borciani aveva della poetica beethoveniana. Per il maestro la seconda maniera di Beethoven era da considerarsi come una specie di grande fase di evasione. Controcorrente, Borciani vedeva negli ultimi Quartetti del tedesco i segni delle opere giovanili; segnalava la continuità che lega la prima e la terza maniera del compositore di Bonn. Questo fu solo un aspetto del coraggio di Borciani. Un coraggio che lo spingeva a rischiare, a non ghettizzare i repertori, a eseguire brani del nostro secolo, a non rinunciare ai classici anche in quelle rassegne concertistiche per specialisti dove davanti alle note di Mozart qualcuno esce di sala.
Trent'anni di successi, poi, nel dicembre del '77, Farulli lasciava il gruppo. Dal concerto di Carpi del primo aprile del '78 lo sostituiva Dino Asciolla. Una unione che durò fino al momento del definitivo scioglimento del Quartetto: era il febbraio dell'80.
La carriera del Quartetto Italiano si sintetizza in circa 3500 concerti e una vasta produzione discografica. Un lavoro immenso, svolto con una concentrazione che oggi si vorrebbe vedere ripetuta in altri gruppi, tanto più quando si pensa all'impegno didattico del Quartetto Italiano - strappato con la volontà e l'amore all'incalzare degli appuntamenti concertistici - che portò all'unione di un gruppo di allievi nella formazione del Giovane Quartetto Italiano. Quell'impegno didattico che Borciani considerò sempre come uno dei più gratificanti successi della sua vita.
Indipendente nello studio, libero dalle consuetudini e, tanto più, dai compartimenti stagni stilistici e di repertorio, il Quartetto Italiano seppe tracciare un solco interpretativo unico e originalissimo. Basti pensare alla personale visione che Borciani aveva della poetica beethoveniana. Per il maestro la seconda maniera di Beethoven era da considerarsi come una specie di grande fase di evasione. Controcorrente, Borciani vedeva negli ultimi Quartetti del tedesco i segni delle opere giovanili; segnalava la continuità che lega la prima e la terza maniera del compositore di Bonn. Questo fu solo un aspetto del coraggio di Borciani. Un coraggio che lo spingeva a rischiare, a non ghettizzare i repertori, a eseguire brani del nostro secolo, a non rinunciare ai classici anche in quelle rassegne concertistiche per specialisti dove davanti alle note di Mozart qualcuno esce di sala.
Trent'anni di successi, poi, nel dicembre del '77, Farulli lasciava il gruppo. Dal concerto di Carpi del primo aprile del '78 lo sostituiva Dino Asciolla. Una unione che durò fino al momento del definitivo scioglimento del Quartetto: era il febbraio dell'80.
La carriera del Quartetto Italiano si sintetizza in circa 3500 concerti e una vasta produzione discografica. Un lavoro immenso, svolto con una concentrazione che oggi si vorrebbe vedere ripetuta in altri gruppi, tanto più quando si pensa all'impegno didattico del Quartetto Italiano - strappato con la volontà e l'amore all'incalzare degli appuntamenti concertistici - che portò all'unione di un gruppo di allievi nella formazione del Giovane Quartetto Italiano. Quell'impegno didattico che Borciani considerò sempre come uno dei più gratificanti successi della sua vita.
Massimo Rolando Zegna (1994)
2 commenti:
Grazie mille per questa testimonianza. È stata una bellissima sorpresa proprio nel giorno del mio compleanno.
Bisognerebbe fargliela leggere a tutti gli studenti di conservatorio italiani, in modo che siano coscienti dell'eredità musicale di cui siamo portatori in Italia e nel Mondo.
Hai ragione!
Davvero un bell'articolo...
Diversi anni fa avuto la fortuna di conoscere Paolo Borciani e sua moglie Elisa Pegreffi; erano persone semplici, intransigenti nello studio e mai soddisfatte degli esiti del severo studio sulla partitura! Merce rara.
Grazie del commento.
HvT
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