Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

venerdì, luglio 03, 2009

Keith Jarrett: "Liberate i pianisti classici!"

Alla vigilia del concerto di Napoli, parla dello «scandalo» di Umbria Jazz 2007. Il jazzista americano: la fedeltà allo spartito li porta alla pazzia.

Keith Jarrett il bambino prodigio che disse no a Nadia Boulanger, una delle più grandi insegnanti di musica del Novecento, che lo voleva come allievo. Keith Jarrett il pianista che da un quarantennio gira il mondo improvvisando tra jazz, classica e blues, agitandosi, canticchiando la musica che sente nascere nella sua testa, litigando con il pubblico (celebri gli insulti lanciati dal palco di Umbria Jazz 2007, immortalati su YouTube, che provocarono boicottaggi di molti fan). Keith Jarrett che pretende di avere delle stufe sul palco se l’aria condizionata è troppo potente. Keith Jarrett l’americano di Allentown, Pennsylvania, 64 anni domani, che lunedì 18 maggio sarà per la prima volta al Teatro San Carlo di Napoli, data unica, in quello che è già uno degli eventi musicali dell’anno, ha fama di personaggio difficile, schivo, poco o nulla «mediatico».
Ma Jarrett ha parlato a lungo con il Corriere al telefono dalla sua casa-fattoria di Union, New Jersey, per spiegare che il pubblico scambia la sua concentrazione per arroganza, che ascoltare i più grandi pianisti classici non lo stimola, che Herbie Hancock non capisce il pianoforte, e molto altro. Jarrett parla come suona: non per frasi o paragrafi ma per lunghi movimenti, e non ama essere interrotto. Ecco dunque, senza interruzioni, quello che ha detto al Corriere. «I pianisti classici non hanno uno sfogo per tutta quella musica che hanno dentro. E allora cercano di mettere qualcosa di personale dentro Mozart, o Beethoven, uno sforzo terribile. Io suono Bach o Händel alla lettera, la 'mia visione' non esiste. Ma quando improvviso sono completamente libero. I più grandi pianisti del mondo tengono la loro immaginazione al guinzaglio perché hanno sempre davanti quello spartito. Allora io dico: liberateli. Il mio amico Vladimir Ashkenazy mi ha raccontato che suo padre suonava il piano nei cinema ai tempi del muto: improvvisava sempre. 'Io non sarei capace', mi ha detto. Dovrebbe ritirarsi per mesi e entrare in una forma mentis completamente diversa. Ecco perché i grandi pianisti rischiano la schizofrenia. Lo stress produce un modo di suonare meccanico, la fedeltà è una trappola: io cerco di non essere fedele nemmeno a me stesso — il cervello è ingannatore, le dita gli dicono cose che, da solo, non immaginerebbe mai».
«Dicono che maltratto il pubblico ma non hanno capito che tocca a loro chiudere il cerchio disegnato da me: ho bisogno del pubblico al punto che in sala d’incisione mi manca. Suono la musica che nasce nella mia testa e se c’è troppo rumore, non parliamo dei flash dei videofonini, non riesco più a sentirla, quella musica. Il mio pubblico ideale è 'succoso'. Ha ragione Emmanuel Ax, altro grande pianista classico, quando dice che il pubblico della classica è troppo silenzioso. Sono più ordinati, ma non migliori del pubblico jazz. Non ho un pubblico ideale, ma in Giappone c’è rispetto e partecipazione sincera. Tre mesi fa a New York, alla Carnegie Hall, silenzio totale nei pianissimo, fruscii e colpi di tosse e altri 'segni di vita' quando le dinamiche diventavano più intense, era come respirare all’unisono. Alla Scala nel ’95 fu un’altra bella serata: spero che a Napoli, nel teatro dove da Rossini in poi sono passati tutti i più grandi, potremo vivere tutti insieme un’altra notte da ricordare. Arriverò almeno tre giorni prima, come faccio sempre, perché non ho bisogno di provare ma di camminare per le strade, ascoltare i rumori. La musica di una città è nella sua aria: basta saperla ascoltare. Ecco perché la globalizzazione è così terribile: un solo mondo, una sola lingua? Una noia inimmaginabile. Un’altra cosa incredibilmente vacua sono gli anniversari dei compositori, una fissazione della musica classica».
«Non si può capire Bach senza una conoscenza profonda del clavicembalo, ma l’evoluzione è nemica della padronanza tecnica. Il pianoforte non è cambiato dal diciannovesimo secolo a oggi, e questo è un bene. Herbie Hancock pensa che l’elettronica aiuti la musica, ma il suo pianoforte elettrico non sarà mai paragonabile a uno Steinway, mai. Sostenere che il pianoforte è obsoleto è la negazione della mia visione della musica. Suonare è un atto estremo, voglio trascendere le possibilità fisiche del mio piano, voglio che suoni come una voce umana, come una chitarra, come un uccellino. Per questo amo tanto la musica del vostro Ferruccio Busoni e soprattutto il secondo concerto per pianoforte di Béla Bartók: perché chiedono al piano più di quanto possa fisicamente dare, quando finisci sei sudato come una bestia. Tento sempre di andare oltre. Le note mi arrivano come un vapore sottile, come vapore acqueo. E io cerco di coglierne la forma prima che svaniscano nell’aria».

Matteo Persivale (Corriere della Sera, 7 maggio 2009)

2 commenti:

Sky ha detto...

Bell'articolo, grazie per averlo riportato! :)

Giovedì musicali ha detto...

Ne avevo parlato anch'io!
http://tinyurl.com/lo5z8z