Quando disse «considero mio dovere principale costringere gli esecutori a suonare quello che sta scritto nella musica», Mahler era al culmine della sua carriera di interprete.
In effetti, su mille strumentisti non se ne trova forse nemmeno uno che ha la volontà e la capacità di intendere e suonare veramente quello che è scritto nella musica. Si suona rapido o lento, si eseguono note brevi o lunghe, forte o piano, per non dire addirittura acuto o grave, quasi solo in rapporto alla comodità di realizzazione sullo strumento. Unicamente per questo motivo sarebbe auspicabile la produzione meccanica dei suoni e la loro definitiva fissazione in relazione all'altezza, alla durata, e al loro rapporto con la scansione del tempo. Il pensiero reale difatti, il pensiero musicale, ciò che è immutabile, è stabilito nel rapporto delle altezze con la scansione temporale.
Tutto il resto invece, la dinamica, l'agogica, la sonorità e ciò che ne deriva (carattere, chiarezza, efficacia e cosí via) è propriamente solo un mezzo dell'interpretazione, serve a rendere comprensibile il pensiero, e ammette delle modifiche. In un tempo rapido, ad esempio, le dífferenze dinamiche devono essere diverse che in un tempo lento. Si dice che, quand'era già avanti negli anni, Beethoven prendesse tutti i tempi piú lenti che in precedenza, per far risultare la musica più comprensibile. Nel mio caso invece ho osservato il contrario: oggi nelle mie opere eseguo tutto molto piú svelto che nelle prime esecuzioni, quando sia per motivi tecnici, cioè per la difficoltà di realizzazione e la dinamica insufficiente, sia per raggiungere un effetto plastico, eseguivo tutto - consciamente o no - troppo lento. Quando si eseguono per la prima volta pezzi concettualmente non superficiali, non si possono per lo piú tenere i tempi giusti perché altrimenti tutto diventa di comprensione troppo difficile e troppo insolito. Cosí ho potuto capire la Prima Sinfonia di Mahler solo quando la sentii eseguire da un mediocre direttore in tempi del tutto inesatti. Qui tutte le tensioni erano mitigate, rese insipide, e cosí si poteva star dietro al discorso. Come ascoltatore infatti anche il miglior musicista non è meno tardo di comprendonio e bisognoso di soccorso del profano. D'altronde anche il miglior interprete, anche se è l'autore della musica che esegue, può ritenere possibili, anzi necessari, diversi punti di vista, dato che ogni realizzazione di ciò che si è pensato in astratto rimane inferiore alla lettera scritta: anche questo può essere confermato da un'affermazione di Mahler, che mi disse dopo la prima esecuzione assoluta della sua Settima Sinfonia: «Non so che cosa sia piú importante per lei. Nella prima esecuzione ho ottenuto maggior precisione, nella seconda sono riuscito a realizzare meglio i miei tempi». Dunque Mahler nella prima esecuzione non aveva potuto realizzare i suoi tempi, ma non intendeva decidere quale esecuzione fosse stata la migliore... E ancora un aneddoto mahleriano: una volta che alla Hofoper di Vienna egli aveva un Sarastro, non appartenente alla compagnia stabile, che prendeva tutti i tempi molto comodi, molto piú lenti di quanto intendesse Mahler, fu quest'ultimo ad adattarsi alla situazione negli altri pezzi dell'opera, modificando opportunamente tutti i tempi e dando cosí carattere unitario all'intera rappresentazione (ma per realizzare questo è necessario avere il senso della forma).
I rapporti di sonorità fissati per mezzo di note necessitano dell'interpretazione: senza questa, rimarrebbero incompresi. Non solo ogni epoca ha tempi di esecuzione diversi e diverse esigenze interpretative (piú rapido - piú lento, piú difficile - piú facile, piú patetico - meno patetico, piú dolce - piú aspro e simili si alternano irregolarmente), ma mutano addirittura le esigenze di maggiore o minore chiarificazione nella connessione del tessuto compositivo: pensiamo solo che nella nostra epoca ci si è per esempio limitati a far sentire, nelle fughe di Bach, solo il tema e ad eseguire tutto il resto in modo che dia il minor disturbo possibile, mentre probabilmente ai tempi di Bach non si dava risalto a nessuna parte, mentre un'interpretazione che corrisponda alla tecnica attuale deve rispondere all'esigenza di far sentire tutte le parti in modo omogeneo. Pensiamo come si declamava, invece di cantare, al tempo in cui Wagner era nuovo, mentre oggi ci si adopera a tener conto anche qui delle esigenze del bel canto; pensiamo al largo stile patetico che al tempo di Wagner influenzava anche l'esecuzione di composizioni classiche, e contrapponiamo invece a ciò il tono di commedia con cui oggi si eseguono i Meistersinger [I Maestri Cantori] , o il tono delicato e lirico che oggi viene spesso presentato come possibile nel Tristan, e rendiamoci conto che questo era necessario e può diventarlo di nuovo non appena vi sarà una nuova epoca che porrà nuove esigenze all'esecuzione. Si capirà allora che l'interpretazione è indispensabile, e fino a che punto lo è.
Se su mille esecutori ce ne fosse uno solo che avesse la volontà e la capacità di tirar fuori dalle note quello che è giusto e che rimane sempre costante, adattandolo alle necessità di un ascoltatore contemporaneo, ebbene, tutta questa Sodoma e Gomorra di cattivi interpreti, che vogliono solo esaltare sé stessi a spese della musica, meriterebbe indulgenza per amore di quest'unico musicista. L'interpretazione è necessaria per rendere accessibili i pensieri dell'autore all'orecchio del suo tempo, alla capacità di intendere di chi ascolta di volta in volta. E l'autore è di solito determinante come interprete delle sue opere piú per la variabilità del suo -modo di eseguirle che ad esempio per i tempi che si dice che egli avrebbe tenuto. (Nessuno infatti si segna tutti i tempi, nemmeno colui che ci fa attenzione, e si può dire che, non esiste un tempo in cui un musicista dotato non possa realizzare un'esecuzione giusta e viceversa uno non dotato un'esecuzione sbagliata).
Finché dunque si pensa che lo scopo principale della meccanizzazione della musica (espressione questa purtroppo molto poco felice) consista nella fissazione definitiva dell'interpretazione da parte dell'autore non vedrei in questo nessun vantaggio ma solo un danno, in quanto l'interpretazione data dall'autore non può in nessun caso restare quella definitiva. Ma se si tratta di liberare le esecuzioni da quelle carenze degli esecutori che oggi incombono a causa dello scarso impegno messo nelle prove; di eliminare dall'esecuzione tutto ciò che supera le difficoltà normalmente superabili; di stabilire in modo definitivo i rapporti fondamentali del pensiero realizzato nelle note e di garantire reciprocamente il loro rapporto esatto liberandolo dalle casualità di una realizzazione primitiva, recalcitrante e di scarso affidamento, l'utilizzazione di tutti gli strumenti meccanici potrebbe essere di enorme vantaggio. E' in questo senso che ho espresso piú di dieci anni fa questa idea, ed è in questo senso che la ritengo giusta ancor oggi.
Una proposta del genere comprensibilmente suscita la resistenza degli strumentisti, il cui interesse però viene minacciato da essa solo in apparenza, mentre in realtà la loro opera non diverrebbe superflua nemmeno se si facesse un uso molto ampio di strumenti meccanici: perché certamente nessuno diventerà mai musicista, nessuno potrà esercitare e sviluppare l'orecchio e il senso ritmico imparando a suonare l'organetto meccanico, ma solo se egli stesso suonerà imparando a impadronirsi a fondo di uno strumento. Ma le obiezioni a cui induce l'espressione un, po' irritante «meccanizzazione della musica» si annullano da sé se si pensa alla quantità di elementi meccanici che già da molto tempo sono presenti nei nostri strumenti piú importanti. Oltre a confrontare il violino e il pianoforte, nel quale ultimo (a parte la meccanica vera e propria, il sistema di leve) tutte le note sono fissate e immutabili mentre nel violino ogni suono deve essere prodotto a seconda della sua altezza, oppure l'organo (dove in realtà l'esecutore fa solo un movimento che non ha assolutamente niente a che fate con la produzione del suono ma serve solo da segnale a tale scopo) e il corno, basta pensare alle chiavi del clarinetto, ai pistoni del corno, ai pedali dell'arpa, alle traversine della chitarra e in definitiva anche ai piroli del violino, per capire se si può fare a meno dell'elemento meccanico nei nostri strumenti musicali, e se esso ha peggiorato la musica. E' un sentimentalismo lagnarsi per la meccanizzazione della musica e credere spensieratamente che lo spirito - quando c'è - possa essere soppresso dalla meccanica: sono solo gli spiriti piccini quelli che se ne hanno a male quando non si lascia loro abbastanza, spazio, spazio per lamentarsi. Lo spirito di Bach non verrebbe soppresso da nessun miglioramento della meccanica dell'organo, e quello di Beethoven ha sempre avuto il posto che gli compete anche con il pianoforte a martelli e il corno a pistoni.
Ecco come bisogna intendere l'opera di uno strumentista che suoni uno strumento meccanico che conosce bene: egli dovrebbe conoscere e capire perfettamente l'opera che vuole realizzare, e deve influire sull'apparato di riproduzione in modo tale che l'esecuzione raggiunga, per quanto riguarda la dinamica, i livelli di chiarezza e di espressività corrispondenti alla sua intenzione e al suo gusto; e inoltre dovrebbe essere in grado di servirsi anche di tutti i mezzi possibili per modificare il tempo e la sonorità. Il fatto che non sia lui stesso a produrre il suono, come del resto è il caso per l'organista, non gli nuocerà piú che al pianista, che dopo aver toccato il tasto non può piú modificare nulla. Nei rapporti ritmici comunque egli potrà introdurre tutte le modifiche di cui un buono strumentista ha bisogno nei casi estremi; non bisogna invece pensare che sia utile non eseguire simultaneamente note o accordi che sono notati musicalmente come tali: infatti, finché si tratta di migliorare l'effetto plastico (come nell'esecuzione arpeggiata al pianoforte) questo può essere conseguito in modo piú completo servendosi della dinamica e del timbro, mentre non è certo il caso di spendere nemmeno una parola sull'intenzione opposta, cioè di eseguire simultaneamente ciò che non è indicato come tale.
Naturalmente molti strumentisti risulterebbero superflui non appena esistessero strumenti di questo tipo. Ancora vent'anni fa avrei detto: tanto meglio, cosí rimarranno soltanto i migliori, e non come oggi i mediocri e gli incapaci. Oggi so che saranno in grado di far musica, anche quando si sarà giunti a questo, quegli stessi che abbiamo oggi. Ma questa non può essere una ragione per non desiderare per noi e per loro uno strumento migliore.
In effetti, su mille strumentisti non se ne trova forse nemmeno uno che ha la volontà e la capacità di intendere e suonare veramente quello che è scritto nella musica. Si suona rapido o lento, si eseguono note brevi o lunghe, forte o piano, per non dire addirittura acuto o grave, quasi solo in rapporto alla comodità di realizzazione sullo strumento. Unicamente per questo motivo sarebbe auspicabile la produzione meccanica dei suoni e la loro definitiva fissazione in relazione all'altezza, alla durata, e al loro rapporto con la scansione del tempo. Il pensiero reale difatti, il pensiero musicale, ciò che è immutabile, è stabilito nel rapporto delle altezze con la scansione temporale.
Tutto il resto invece, la dinamica, l'agogica, la sonorità e ciò che ne deriva (carattere, chiarezza, efficacia e cosí via) è propriamente solo un mezzo dell'interpretazione, serve a rendere comprensibile il pensiero, e ammette delle modifiche. In un tempo rapido, ad esempio, le dífferenze dinamiche devono essere diverse che in un tempo lento. Si dice che, quand'era già avanti negli anni, Beethoven prendesse tutti i tempi piú lenti che in precedenza, per far risultare la musica più comprensibile. Nel mio caso invece ho osservato il contrario: oggi nelle mie opere eseguo tutto molto piú svelto che nelle prime esecuzioni, quando sia per motivi tecnici, cioè per la difficoltà di realizzazione e la dinamica insufficiente, sia per raggiungere un effetto plastico, eseguivo tutto - consciamente o no - troppo lento. Quando si eseguono per la prima volta pezzi concettualmente non superficiali, non si possono per lo piú tenere i tempi giusti perché altrimenti tutto diventa di comprensione troppo difficile e troppo insolito. Cosí ho potuto capire la Prima Sinfonia di Mahler solo quando la sentii eseguire da un mediocre direttore in tempi del tutto inesatti. Qui tutte le tensioni erano mitigate, rese insipide, e cosí si poteva star dietro al discorso. Come ascoltatore infatti anche il miglior musicista non è meno tardo di comprendonio e bisognoso di soccorso del profano. D'altronde anche il miglior interprete, anche se è l'autore della musica che esegue, può ritenere possibili, anzi necessari, diversi punti di vista, dato che ogni realizzazione di ciò che si è pensato in astratto rimane inferiore alla lettera scritta: anche questo può essere confermato da un'affermazione di Mahler, che mi disse dopo la prima esecuzione assoluta della sua Settima Sinfonia: «Non so che cosa sia piú importante per lei. Nella prima esecuzione ho ottenuto maggior precisione, nella seconda sono riuscito a realizzare meglio i miei tempi». Dunque Mahler nella prima esecuzione non aveva potuto realizzare i suoi tempi, ma non intendeva decidere quale esecuzione fosse stata la migliore... E ancora un aneddoto mahleriano: una volta che alla Hofoper di Vienna egli aveva un Sarastro, non appartenente alla compagnia stabile, che prendeva tutti i tempi molto comodi, molto piú lenti di quanto intendesse Mahler, fu quest'ultimo ad adattarsi alla situazione negli altri pezzi dell'opera, modificando opportunamente tutti i tempi e dando cosí carattere unitario all'intera rappresentazione (ma per realizzare questo è necessario avere il senso della forma).
I rapporti di sonorità fissati per mezzo di note necessitano dell'interpretazione: senza questa, rimarrebbero incompresi. Non solo ogni epoca ha tempi di esecuzione diversi e diverse esigenze interpretative (piú rapido - piú lento, piú difficile - piú facile, piú patetico - meno patetico, piú dolce - piú aspro e simili si alternano irregolarmente), ma mutano addirittura le esigenze di maggiore o minore chiarificazione nella connessione del tessuto compositivo: pensiamo solo che nella nostra epoca ci si è per esempio limitati a far sentire, nelle fughe di Bach, solo il tema e ad eseguire tutto il resto in modo che dia il minor disturbo possibile, mentre probabilmente ai tempi di Bach non si dava risalto a nessuna parte, mentre un'interpretazione che corrisponda alla tecnica attuale deve rispondere all'esigenza di far sentire tutte le parti in modo omogeneo. Pensiamo come si declamava, invece di cantare, al tempo in cui Wagner era nuovo, mentre oggi ci si adopera a tener conto anche qui delle esigenze del bel canto; pensiamo al largo stile patetico che al tempo di Wagner influenzava anche l'esecuzione di composizioni classiche, e contrapponiamo invece a ciò il tono di commedia con cui oggi si eseguono i Meistersinger [I Maestri Cantori] , o il tono delicato e lirico che oggi viene spesso presentato come possibile nel Tristan, e rendiamoci conto che questo era necessario e può diventarlo di nuovo non appena vi sarà una nuova epoca che porrà nuove esigenze all'esecuzione. Si capirà allora che l'interpretazione è indispensabile, e fino a che punto lo è.
Se su mille esecutori ce ne fosse uno solo che avesse la volontà e la capacità di tirar fuori dalle note quello che è giusto e che rimane sempre costante, adattandolo alle necessità di un ascoltatore contemporaneo, ebbene, tutta questa Sodoma e Gomorra di cattivi interpreti, che vogliono solo esaltare sé stessi a spese della musica, meriterebbe indulgenza per amore di quest'unico musicista. L'interpretazione è necessaria per rendere accessibili i pensieri dell'autore all'orecchio del suo tempo, alla capacità di intendere di chi ascolta di volta in volta. E l'autore è di solito determinante come interprete delle sue opere piú per la variabilità del suo -modo di eseguirle che ad esempio per i tempi che si dice che egli avrebbe tenuto. (Nessuno infatti si segna tutti i tempi, nemmeno colui che ci fa attenzione, e si può dire che, non esiste un tempo in cui un musicista dotato non possa realizzare un'esecuzione giusta e viceversa uno non dotato un'esecuzione sbagliata).
Finché dunque si pensa che lo scopo principale della meccanizzazione della musica (espressione questa purtroppo molto poco felice) consista nella fissazione definitiva dell'interpretazione da parte dell'autore non vedrei in questo nessun vantaggio ma solo un danno, in quanto l'interpretazione data dall'autore non può in nessun caso restare quella definitiva. Ma se si tratta di liberare le esecuzioni da quelle carenze degli esecutori che oggi incombono a causa dello scarso impegno messo nelle prove; di eliminare dall'esecuzione tutto ciò che supera le difficoltà normalmente superabili; di stabilire in modo definitivo i rapporti fondamentali del pensiero realizzato nelle note e di garantire reciprocamente il loro rapporto esatto liberandolo dalle casualità di una realizzazione primitiva, recalcitrante e di scarso affidamento, l'utilizzazione di tutti gli strumenti meccanici potrebbe essere di enorme vantaggio. E' in questo senso che ho espresso piú di dieci anni fa questa idea, ed è in questo senso che la ritengo giusta ancor oggi.
Una proposta del genere comprensibilmente suscita la resistenza degli strumentisti, il cui interesse però viene minacciato da essa solo in apparenza, mentre in realtà la loro opera non diverrebbe superflua nemmeno se si facesse un uso molto ampio di strumenti meccanici: perché certamente nessuno diventerà mai musicista, nessuno potrà esercitare e sviluppare l'orecchio e il senso ritmico imparando a suonare l'organetto meccanico, ma solo se egli stesso suonerà imparando a impadronirsi a fondo di uno strumento. Ma le obiezioni a cui induce l'espressione un, po' irritante «meccanizzazione della musica» si annullano da sé se si pensa alla quantità di elementi meccanici che già da molto tempo sono presenti nei nostri strumenti piú importanti. Oltre a confrontare il violino e il pianoforte, nel quale ultimo (a parte la meccanica vera e propria, il sistema di leve) tutte le note sono fissate e immutabili mentre nel violino ogni suono deve essere prodotto a seconda della sua altezza, oppure l'organo (dove in realtà l'esecutore fa solo un movimento che non ha assolutamente niente a che fate con la produzione del suono ma serve solo da segnale a tale scopo) e il corno, basta pensare alle chiavi del clarinetto, ai pistoni del corno, ai pedali dell'arpa, alle traversine della chitarra e in definitiva anche ai piroli del violino, per capire se si può fare a meno dell'elemento meccanico nei nostri strumenti musicali, e se esso ha peggiorato la musica. E' un sentimentalismo lagnarsi per la meccanizzazione della musica e credere spensieratamente che lo spirito - quando c'è - possa essere soppresso dalla meccanica: sono solo gli spiriti piccini quelli che se ne hanno a male quando non si lascia loro abbastanza, spazio, spazio per lamentarsi. Lo spirito di Bach non verrebbe soppresso da nessun miglioramento della meccanica dell'organo, e quello di Beethoven ha sempre avuto il posto che gli compete anche con il pianoforte a martelli e il corno a pistoni.
Ecco come bisogna intendere l'opera di uno strumentista che suoni uno strumento meccanico che conosce bene: egli dovrebbe conoscere e capire perfettamente l'opera che vuole realizzare, e deve influire sull'apparato di riproduzione in modo tale che l'esecuzione raggiunga, per quanto riguarda la dinamica, i livelli di chiarezza e di espressività corrispondenti alla sua intenzione e al suo gusto; e inoltre dovrebbe essere in grado di servirsi anche di tutti i mezzi possibili per modificare il tempo e la sonorità. Il fatto che non sia lui stesso a produrre il suono, come del resto è il caso per l'organista, non gli nuocerà piú che al pianista, che dopo aver toccato il tasto non può piú modificare nulla. Nei rapporti ritmici comunque egli potrà introdurre tutte le modifiche di cui un buono strumentista ha bisogno nei casi estremi; non bisogna invece pensare che sia utile non eseguire simultaneamente note o accordi che sono notati musicalmente come tali: infatti, finché si tratta di migliorare l'effetto plastico (come nell'esecuzione arpeggiata al pianoforte) questo può essere conseguito in modo piú completo servendosi della dinamica e del timbro, mentre non è certo il caso di spendere nemmeno una parola sull'intenzione opposta, cioè di eseguire simultaneamente ciò che non è indicato come tale.
Naturalmente molti strumentisti risulterebbero superflui non appena esistessero strumenti di questo tipo. Ancora vent'anni fa avrei detto: tanto meglio, cosí rimarranno soltanto i migliori, e non come oggi i mediocri e gli incapaci. Oggi so che saranno in grado di far musica, anche quando si sarà giunti a questo, quegli stessi che abbiamo oggi. Ma questa non può essere una ragione per non desiderare per noi e per loro uno strumento migliore.
Arnold Schoenberg, 1926 (Einaudi, Saggi 532, 1974)
1 commento:
Ciao a tutti, sono Mara e vorrei portare alla vs. attenzione l'ultimo libro di Giorgio Taboga: "ANDREA LUCHESI - volume 1 - gli anni a Venezia".
Giudico il libro molto interessante, perché finalmente si parla di un grandissimo compositore italiano, volutamente censurato dalla musicologia internazionale.
questo è il link dove potete trovare il libro:
http://www.abeditore.it/portal/servlet/it.oandsi.ecomm.ecommerce.EbookDetails?socCode=ECO&uniCode=EBOK&idBook=16
Posta un commento