Contaminando nel dormiveglia.
Quando Gianni Coscia e Gianluigi Trovesi mi avevano annunciato che avrebbero fatto un disco dedicato a Kurt Weill, io avevo molto temuto per la loro salute musicale. Weill, mi dicevo, non si tocca, e soprattutto non lo si tocca se non si è tedeschi della repubblica di Weimar, non lo si suona in un cabaret fumoso della Berlino tra le due guerre, non si è presi da nostalgie spartachiste e altri eroici furori brechtiani. Kurt Weill, mi dicevo, va gridato, e Coscia e Trovesi non sono urlatori esagitati. Di solito divagano sottovoce.
Volevo capire come avrebbero risolto Weill questi due errabondi maestri del missaggio di diverse memorie musicali che, presentandoli in un disco precedente, avevo definito come musicisti che, partendo dall'omaggio a tanti loro maggiori, mescolando temi colti e temi popolari, avevano elaborato «una gioiosa poetica della cadenza». Come avrebbero sviluppato su temi di Weill quella cadenza che - come è loro costume - avrebbe dovuto prendere il posto dell'intero concerto?
Non si trattava di chiedere a Trovesi e a Coscia (né di attendersi da loro) una rivisitazione filologica dell'epoca di Weill. Tra l'altro (e forse dico un'eresia, ma così ho ascoltato i brani 21 e 22 di questo disco), i nostri due vagabondi tematici sono più affini al sarcasmo espressionistico di Weill proprio quando fanno spericolati e inquietanti esercizi sulla «Cumparsita» e su «Fra' Martino Campanaro», osando disattendere alla buona regola dei modi. Quando invece viene evocato direttamente, Weill, come ogni altro tema o eredità musicale, è per loro un ricordo, una passione - certo - una nostalgia, ma proprio per questo, liberato dai suoi riferimenti storici, si trasforma in fatto personale, memoria d'adolescenza, e come tale viene mormorato, talora rimemorato in modo quasi letterale, talora e più spesso soltanto accennato, ripreso e abbandonato, inserito nel flusso di altri ricordi melodici o armonici.
Un Weill vissuto in un dormiveglia musicale dominato da un principio (quasi onirico) della contaminazione, dove si mescola ad altre fonti d'ispirazione, e accetta talora di farsi persino padano o addirittura monferrino - come accade, mi pare, in Divagazioni su «Youkali» e in Ein Taifun!... Tifone?- poi di colpo riappare, riconferma i suoi diritti - tale gloriosamente si dipana nelle due variazioni su Alabama Song, che non a caso è la più sussurrata delle melodie di Weill e di nuovo svanisce, si perde nelle brume create da questi due fabulatori impenitenti, magari compiendo una fuga adulterina col Rodgers di « My Funny Valentine» o di « Blue Moon»...
Il problema di questo disco è che ha un inizio e una fine, mentre questi tipi di dormiveglia dovrebbero durare senza limiti perché, a lasciarli fare, Coscia e Trovesi non finirebbero mai di lanciarsi le loro provocazioni sornione, spostandosi sempre là dove l'ascoltatore non se li attende - ma ciascuno dei due è sempre lì, pronto a rilanciare di contropiede.
Umberco Eco (note al CD "Round About Weill", ECM 1907)
Quando Gianni Coscia e Gianluigi Trovesi mi avevano annunciato che avrebbero fatto un disco dedicato a Kurt Weill, io avevo molto temuto per la loro salute musicale. Weill, mi dicevo, non si tocca, e soprattutto non lo si tocca se non si è tedeschi della repubblica di Weimar, non lo si suona in un cabaret fumoso della Berlino tra le due guerre, non si è presi da nostalgie spartachiste e altri eroici furori brechtiani. Kurt Weill, mi dicevo, va gridato, e Coscia e Trovesi non sono urlatori esagitati. Di solito divagano sottovoce.
Volevo capire come avrebbero risolto Weill questi due errabondi maestri del missaggio di diverse memorie musicali che, presentandoli in un disco precedente, avevo definito come musicisti che, partendo dall'omaggio a tanti loro maggiori, mescolando temi colti e temi popolari, avevano elaborato «una gioiosa poetica della cadenza». Come avrebbero sviluppato su temi di Weill quella cadenza che - come è loro costume - avrebbe dovuto prendere il posto dell'intero concerto?
Non si trattava di chiedere a Trovesi e a Coscia (né di attendersi da loro) una rivisitazione filologica dell'epoca di Weill. Tra l'altro (e forse dico un'eresia, ma così ho ascoltato i brani 21 e 22 di questo disco), i nostri due vagabondi tematici sono più affini al sarcasmo espressionistico di Weill proprio quando fanno spericolati e inquietanti esercizi sulla «Cumparsita» e su «Fra' Martino Campanaro», osando disattendere alla buona regola dei modi. Quando invece viene evocato direttamente, Weill, come ogni altro tema o eredità musicale, è per loro un ricordo, una passione - certo - una nostalgia, ma proprio per questo, liberato dai suoi riferimenti storici, si trasforma in fatto personale, memoria d'adolescenza, e come tale viene mormorato, talora rimemorato in modo quasi letterale, talora e più spesso soltanto accennato, ripreso e abbandonato, inserito nel flusso di altri ricordi melodici o armonici.
Un Weill vissuto in un dormiveglia musicale dominato da un principio (quasi onirico) della contaminazione, dove si mescola ad altre fonti d'ispirazione, e accetta talora di farsi persino padano o addirittura monferrino - come accade, mi pare, in Divagazioni su «Youkali» e in Ein Taifun!... Tifone?- poi di colpo riappare, riconferma i suoi diritti - tale gloriosamente si dipana nelle due variazioni su Alabama Song, che non a caso è la più sussurrata delle melodie di Weill e di nuovo svanisce, si perde nelle brume create da questi due fabulatori impenitenti, magari compiendo una fuga adulterina col Rodgers di « My Funny Valentine» o di « Blue Moon»...
Il problema di questo disco è che ha un inizio e una fine, mentre questi tipi di dormiveglia dovrebbero durare senza limiti perché, a lasciarli fare, Coscia e Trovesi non finirebbero mai di lanciarsi le loro provocazioni sornione, spostandosi sempre là dove l'ascoltatore non se li attende - ma ciascuno dei due è sempre lì, pronto a rilanciare di contropiede.
Umberco Eco (note al CD "Round About Weill", ECM 1907)
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