La sera del 15 ottobre 1900 Justi e io accompagnammo Mahler a Monaco per le prove e l'esecuzione della sua Seconda Sinfonia in occasione della cerimonia di inaugurazione dell'Hugo Wolf Verein.
Mahler, così poco abituato a sentirsi richiedere le proprie opere, che continuavano a essere eseguite molto raramente (o a non esserlo affatto, nella maggioranza dei casi), fu molto felice quando gli si presentò quell'occasione, e non lesinò alcun sacrificio o spesa pur di dare il suo contributo. Eppure ogni volta per lui era un supplizio dover dare vita alla propria opera in un posto nuovo, affrontando tutte le sofferenze dovute al fatto di agire su un terreno estraneo, poco preparato, e imporla a un pubblico diffidente e refrattario.
Anche in quell'occasione, tuttavia, si dedicò all'impresa con tutta l'energía e lo zelo di cui era capace. Dovette letteralmente raccattare i solisti in tutta la città, perché Possart, invidioso e furente per i suoi successi all'Opera di Víenna (dove era stato introdotto anche un palcoscenico girevole), non gli concesse una cantante in grado di fare da soprano solista, e l'altra cantante era cosi scadente che Mahler dovette «sbarazzarsene». Fra tutte queste ricerche e tentativi si giunse all'ultima prova, in cui finalmente la Stavenhagen si disse disponibile a subentrare. Mahler dovette allora prepararla in fretta e furia, e lei cantò nonostante tutto in modo incantevole. L'altra cantante, la Feinhals, eseguì il ben più importante assolo del soprano (in «Urlicht») con una voce di rara bellezza, ma in modo così poco espressivo e musicale che non rese a Mahler un gran servizio. «Per quel ruolo» ci disse lui in quell'occasione «mi occorrono la voce e l'immediatezza di un fanciullo, perché immagino che al rintocco della campanella l'anima, che in cielo si trova nella condizione di una crisalide, prenda vita nelle vesti di un bambino.»
A destare le preoccupazioni maggiori era il coro. Le donne, per quanto non fossero brave come a Berlino, erano comunque molto meglio che a Víenna, e fin dal primo momento, conquistate da Mahler e dalla sua opera, si impegnarono al massimo. Ma le condizioni dei tenori erano disperate: erano pochi e scadenti, e in più sempre diversi nelle varie prove; in quella generale, cantarono talmente male, sbagliando ripetutamente e mostrandosi del tutto incapaci di eseguire una complessa sequenza di note, che persino Mahler, che sapeva sempre come cavarsela, rimase per un attimo sconcertato. Dopo aver interrotto l'esecuzione di quel passaggio per tre volte, esclarmò sconsolato: «No, cosi non va!» e io compresi dal modo in cui chinava il capo, profondamente assorto, che - non volendo mettere a repentaglio la sua opera - stava considerando se non fosse preferibile annullare il concerto o se ci fosse ancora la possibilità di salvare la situazione. Ma un attimo dopo rialzò la testa e disse con un tono gentile e rassicurante, con il quale sapeva infondere coraggio quando tutto vacillava, che aveva trovato una soluzione e che l'avrebbe comunicata loro in seguito (perché in quel momento in sala erano presenti diversi spettatori). Al termine della prova, conclusa tralasciando provvisoriamente quel passaggio, Mahler illustrò la sua strategia di salvataggio: nelle battute più insidiose avrebbe fatto suonare i clarinetti (che aggiunse immediatamente anche nelle partiture), che erano collocati accanto ai tenori. In questo modo, sebbene a malincuore, fu costretto a rinunciare al coro a cappella, da lui auspícato, Inoltre, subito dopo quella prova durata tre ore e mezza, ne fece un'altra solo per i tenori, che convocò anche per a mattino seguente, nel giorno del concerto, pagandoli di tasca propria.
Quel giorno provò a lungo con l'orchestra anche lo Scherzo, che nella prova generale sembrava ancora troppo confuso e poco scorrevole.
A proposito della Seconda Sinfonia, il professor Guido Adler, che era venuto a Monaco per l'esecuzione di Mahler, raccontò che in un punto del primo movimento Muck, Strauss e Kienzl, che avevano assistíto a un'altra esecuzione, si erano comportatí come segue: il primo aveva riso a crepapelle, Kienzl si era commosso e Strauss aveva esclamato di aver imparato qualcosa di nuovo, di cui - come aveva affermato lo stesso Mahler - si era servito anche nelle sue opere, con l'unica differenza che lui utilizza la cacofonía, che in Mahler è rigidamente condizionata dalla polifonia, senza alcuna necessità, per il puro piacere di risultare stravagante. «Mentre io mi sforzo in ogni modo di evitare le asprezze, e di eliminarle anche in seconda battuta, per quanto mi è possibile (come per esempio in questo passaggio, dove sono riuscito a rimuoverle del tutto), lui inventa dei suoni stridenti in modo intenzionale, solo per attirare l'attenzione e sembrare spinto.»
In quei giorni Mahler disse di nuovo che avrebbe voluto spostare l'Andante della Seconda Sinfonia, perché troppo discordante rispetto all'atmosfera generale. «Avevo già pensato di mettere lo Scherzo dopo il primo movimento, seguito dall'Andante, che verrebbe quindi a trovarsi prima dell'"Urlich". Ma l'economia dell'opera non reggerebbe questo spostamento, perché con questa disposizione l'Andante e I"'Urlicht" verrebbero eseguiti l'uno di seguito all'altro e non sono sufficientemente contrastanti. In quel modo anche le tonalità che si avvicendano sarebbero troppo legate mentre ora si trovano nel giusto rapporto. Con la Terza e la Quarta Sinfonia non mi sarebbe più potuto succedere niente del genere perché adesso, oltre alla successione dei movimenti, abbozzo fin dal principio anche le sequenze delle tonalità. E stato principalmente a causa dell'eccessíva somiglianza delle tonalità in movimenti contigui che ho deciso di eliminare l'Andante "Blumine", dalla Prima Sinfonia.»
Mahler, che ci portò con sé solo alle prove conclusive, ci disse subito, già dopo la prima prova: «L'orchestra non è paragonabile ai Wíener Philharmoniker, quindi l'esecuzione sarà inferiore alla loro. Ma qui sentirete la cosa più importante: la conclusione, che a Vienna non avete praticamente potuto ascoltare a causa del pessimo livello del coro e dell'assenza dell'organo (che non si riusciva a distinguere). Qui, dunque, sebbene un dito del piede sinistro o la punta del pollice della mano destra siano meno belli, vedrete la statua con la testa, che a Vienna mancava del tutto».
A proposito dell'organíco dell'orchestra di Monaco, Mahler si lamentava del ridotto numero di archi (dodici primi violini). «Non c'è alcuna proporzione con i fiati, che in quest'opera sono così potenti. Una volta mi piacerebbe avere trenta violini, diciotto violoncelli e sedici contrabbassi, e poi vedreste quanto ne risulterebbe potenziato l'effetto».
Nonostante le difficoltà con il coro, i solisti e l'orchestra, il successo dell'esecuzione fu immenso, e molto superiore rispetto a Vienna grazie alla conclusione. Il primo movimento venne se non altro compreso, il secondo fu molto applaudito e durante i tre movimenti successivi, che Mahler eseguì senza interruzione, la tensione e la suggestione crebbero al punto che, nel momento in cui si spegne il verso dell'uccello della morte, non si sentiva volare una mosca. Con l'entrata del coro, che Mahler fece iniziare da seduto per poi farlo alzare nell'ultima strofa, in modo che si sentisse più forte, corse un brivido per tutta la sala. Ma quando attaccarono l'organo e l'accompagnamento delle campane fu davvero come se il cielo si fosse spalancato e le schiere angeliche rapissero gli ascoltatori per condurli nell'eternità.
A proposito della conclusione Mahler disse: «Comprendo ora per la prima volta quali immense onde sonore si liberino e quanto potrebbero risultare devastanti se la progressione non fosse così graduale, e non riprendesse sempre da capo, e se non fosse così intimamente radicata, al punto che è l'orecchio a sollecitarla come massimo piacere. Se si rivelasse a qualcuno che i passaggi più potenti del primo movimento non sono che un bambino in confronto a quelli dell'ultimo, questi avrebbe ragione di temere per i suoi timpani».
Poi aggiunse: «L'estrema importanza che in un'opera come questa riveste il senso della misura potrà essere compresa soltanto da chi ne domini la struttura e l'organizzazione. Chissà che effetto avrei potuto ottenere se avessi inserito prima il coro e l'organo! Ma volevo tenerli in serbo per il momento culminante e ho quindi rinunciato a essi nelle altre fasi dell'opera».
I festeggiamenti e i ringraziamenti entusiastici del pubblico nei confronti di Mahler non accennavano a spegnersi. Tutti si accalcavano verso il podio e lui dovette rientrare almeno una decina di volte. Le signore sventolavano i loro fazzoletti e non volevano lasciare la sala.
Quando quell'onda sì fu calmata e l'assembramento di persone disperso, ci riunimmo con Mahler e un piccolo gruppo di conoscenti al Park Hotel. Lui, eccitato per l'esito positivo della serata, era in uno stato d'anirno gioìoso ed espansivo, si informò calorosamente sugli sviluppi di qualunque cosa e si fece carico delle spese del rinfresco. Si espresse soprattutto contro ogni sorta di musica a programma e contro i fraintendímenti e gli equivoci, negando decisamente che le sue opere avessero qualcosa a che spartire con quel genere di musica. A incoraggiare quei sospetti era stato un articolo scritto con le migliori intenzioni da Arthur Seidl, che si trovava fra i presenti. Vi era inclusa una lettera che Mahler gli aveva scritto anni prima, nella quale, più per delicatezza nei confronti di Seidl e Strauss che per esprimere la sua reale opinione, egli sembrava stimare le opere di quest'ultimo più di quanto non le reputasse in verità. Spiacevolmente sorpreso di ritrovarsi davanti quella lettera, mi disse: «Vedi come ti si ritorce contro il non essere completamente sincero e il fare anche la minima concessione in nome dell'affetto che hai per qualcuno! Adesso mi prendono in parola e passo per essere un sostenitore di Strauss e della sua musica a programma, che dovrei invece osteggiare nella maniera più aperta e aspra possibile».
Per rimediare, almeno a posteriori, confessò che riteneva l'impresa di scrivere musica seguendo un programma un gravissimo errore dal punto di vista musicale e artistico. «Uno che riesce a fare una cosa del genere non è un artista! Altra cosa è quando la composizione di un maestro ci appare così brillante e vivace che involontariamente crediamo di scorgervi una trama, un evento; o quando l'artista a posteriori, tenta di spiegare a se stesso la propria opera ricorrendo a questa o a quell'ímmagine, come accade sempre a me; oppure quando la propria materia si innalza ad altezze eccelse e assume forme tali che al compositore non bastano più le note ed egli tende dunque alla massima forma di espressione, che può conseguire solo con il ricorso alla voce umana e alla parola poetica, articolata, come accade nella Nona di Beethoven o nella mia Sinfonia in Do minore. Ma tutto questo non ha niente a che vedere con il proposito banale e ingannevole di scegliersi una trama limitata e ben circoscritta e seguirla passo dopo passo, programmaticamente.»
Mahler si era addirittura rífiutato di prendere in considerazione un programma per la sua Seconda Sinfonia, che alcuni dei suoi «amici» avevano scritto e fatto stampare in occasione di questo concerto, senza nemmeno conoscerne il contenuto (perché non aveva voluto leggerlo). «Le cose devono parlare da sole» disse; «tutto ciò che, ascoltandole, ci passa per la mente di alto e universale, si comunica già così, come nelle parole alla fine della Seconda Sinfonia. E ciò che c'è da capire - almeno a grandi linee - apparirà sempre più chiaro, specie quando uno è morto. Prima di tutto, però, dovrebbero considerarla solo ed esclusivamente musica!».
Natalie Bauer-Lechner (da "Mahleriana", Il Saggiatore, 2011)
Mahler, così poco abituato a sentirsi richiedere le proprie opere, che continuavano a essere eseguite molto raramente (o a non esserlo affatto, nella maggioranza dei casi), fu molto felice quando gli si presentò quell'occasione, e non lesinò alcun sacrificio o spesa pur di dare il suo contributo. Eppure ogni volta per lui era un supplizio dover dare vita alla propria opera in un posto nuovo, affrontando tutte le sofferenze dovute al fatto di agire su un terreno estraneo, poco preparato, e imporla a un pubblico diffidente e refrattario.
Anche in quell'occasione, tuttavia, si dedicò all'impresa con tutta l'energía e lo zelo di cui era capace. Dovette letteralmente raccattare i solisti in tutta la città, perché Possart, invidioso e furente per i suoi successi all'Opera di Víenna (dove era stato introdotto anche un palcoscenico girevole), non gli concesse una cantante in grado di fare da soprano solista, e l'altra cantante era cosi scadente che Mahler dovette «sbarazzarsene». Fra tutte queste ricerche e tentativi si giunse all'ultima prova, in cui finalmente la Stavenhagen si disse disponibile a subentrare. Mahler dovette allora prepararla in fretta e furia, e lei cantò nonostante tutto in modo incantevole. L'altra cantante, la Feinhals, eseguì il ben più importante assolo del soprano (in «Urlicht») con una voce di rara bellezza, ma in modo così poco espressivo e musicale che non rese a Mahler un gran servizio. «Per quel ruolo» ci disse lui in quell'occasione «mi occorrono la voce e l'immediatezza di un fanciullo, perché immagino che al rintocco della campanella l'anima, che in cielo si trova nella condizione di una crisalide, prenda vita nelle vesti di un bambino.»
A destare le preoccupazioni maggiori era il coro. Le donne, per quanto non fossero brave come a Berlino, erano comunque molto meglio che a Víenna, e fin dal primo momento, conquistate da Mahler e dalla sua opera, si impegnarono al massimo. Ma le condizioni dei tenori erano disperate: erano pochi e scadenti, e in più sempre diversi nelle varie prove; in quella generale, cantarono talmente male, sbagliando ripetutamente e mostrandosi del tutto incapaci di eseguire una complessa sequenza di note, che persino Mahler, che sapeva sempre come cavarsela, rimase per un attimo sconcertato. Dopo aver interrotto l'esecuzione di quel passaggio per tre volte, esclarmò sconsolato: «No, cosi non va!» e io compresi dal modo in cui chinava il capo, profondamente assorto, che - non volendo mettere a repentaglio la sua opera - stava considerando se non fosse preferibile annullare il concerto o se ci fosse ancora la possibilità di salvare la situazione. Ma un attimo dopo rialzò la testa e disse con un tono gentile e rassicurante, con il quale sapeva infondere coraggio quando tutto vacillava, che aveva trovato una soluzione e che l'avrebbe comunicata loro in seguito (perché in quel momento in sala erano presenti diversi spettatori). Al termine della prova, conclusa tralasciando provvisoriamente quel passaggio, Mahler illustrò la sua strategia di salvataggio: nelle battute più insidiose avrebbe fatto suonare i clarinetti (che aggiunse immediatamente anche nelle partiture), che erano collocati accanto ai tenori. In questo modo, sebbene a malincuore, fu costretto a rinunciare al coro a cappella, da lui auspícato, Inoltre, subito dopo quella prova durata tre ore e mezza, ne fece un'altra solo per i tenori, che convocò anche per a mattino seguente, nel giorno del concerto, pagandoli di tasca propria.
Quel giorno provò a lungo con l'orchestra anche lo Scherzo, che nella prova generale sembrava ancora troppo confuso e poco scorrevole.
A proposito della Seconda Sinfonia, il professor Guido Adler, che era venuto a Monaco per l'esecuzione di Mahler, raccontò che in un punto del primo movimento Muck, Strauss e Kienzl, che avevano assistíto a un'altra esecuzione, si erano comportatí come segue: il primo aveva riso a crepapelle, Kienzl si era commosso e Strauss aveva esclamato di aver imparato qualcosa di nuovo, di cui - come aveva affermato lo stesso Mahler - si era servito anche nelle sue opere, con l'unica differenza che lui utilizza la cacofonía, che in Mahler è rigidamente condizionata dalla polifonia, senza alcuna necessità, per il puro piacere di risultare stravagante. «Mentre io mi sforzo in ogni modo di evitare le asprezze, e di eliminarle anche in seconda battuta, per quanto mi è possibile (come per esempio in questo passaggio, dove sono riuscito a rimuoverle del tutto), lui inventa dei suoni stridenti in modo intenzionale, solo per attirare l'attenzione e sembrare spinto.»
In quei giorni Mahler disse di nuovo che avrebbe voluto spostare l'Andante della Seconda Sinfonia, perché troppo discordante rispetto all'atmosfera generale. «Avevo già pensato di mettere lo Scherzo dopo il primo movimento, seguito dall'Andante, che verrebbe quindi a trovarsi prima dell'"Urlich". Ma l'economia dell'opera non reggerebbe questo spostamento, perché con questa disposizione l'Andante e I"'Urlicht" verrebbero eseguiti l'uno di seguito all'altro e non sono sufficientemente contrastanti. In quel modo anche le tonalità che si avvicendano sarebbero troppo legate mentre ora si trovano nel giusto rapporto. Con la Terza e la Quarta Sinfonia non mi sarebbe più potuto succedere niente del genere perché adesso, oltre alla successione dei movimenti, abbozzo fin dal principio anche le sequenze delle tonalità. E stato principalmente a causa dell'eccessíva somiglianza delle tonalità in movimenti contigui che ho deciso di eliminare l'Andante "Blumine", dalla Prima Sinfonia.»
Mahler, che ci portò con sé solo alle prove conclusive, ci disse subito, già dopo la prima prova: «L'orchestra non è paragonabile ai Wíener Philharmoniker, quindi l'esecuzione sarà inferiore alla loro. Ma qui sentirete la cosa più importante: la conclusione, che a Vienna non avete praticamente potuto ascoltare a causa del pessimo livello del coro e dell'assenza dell'organo (che non si riusciva a distinguere). Qui, dunque, sebbene un dito del piede sinistro o la punta del pollice della mano destra siano meno belli, vedrete la statua con la testa, che a Vienna mancava del tutto».
A proposito dell'organíco dell'orchestra di Monaco, Mahler si lamentava del ridotto numero di archi (dodici primi violini). «Non c'è alcuna proporzione con i fiati, che in quest'opera sono così potenti. Una volta mi piacerebbe avere trenta violini, diciotto violoncelli e sedici contrabbassi, e poi vedreste quanto ne risulterebbe potenziato l'effetto».
Nonostante le difficoltà con il coro, i solisti e l'orchestra, il successo dell'esecuzione fu immenso, e molto superiore rispetto a Vienna grazie alla conclusione. Il primo movimento venne se non altro compreso, il secondo fu molto applaudito e durante i tre movimenti successivi, che Mahler eseguì senza interruzione, la tensione e la suggestione crebbero al punto che, nel momento in cui si spegne il verso dell'uccello della morte, non si sentiva volare una mosca. Con l'entrata del coro, che Mahler fece iniziare da seduto per poi farlo alzare nell'ultima strofa, in modo che si sentisse più forte, corse un brivido per tutta la sala. Ma quando attaccarono l'organo e l'accompagnamento delle campane fu davvero come se il cielo si fosse spalancato e le schiere angeliche rapissero gli ascoltatori per condurli nell'eternità.
A proposito della conclusione Mahler disse: «Comprendo ora per la prima volta quali immense onde sonore si liberino e quanto potrebbero risultare devastanti se la progressione non fosse così graduale, e non riprendesse sempre da capo, e se non fosse così intimamente radicata, al punto che è l'orecchio a sollecitarla come massimo piacere. Se si rivelasse a qualcuno che i passaggi più potenti del primo movimento non sono che un bambino in confronto a quelli dell'ultimo, questi avrebbe ragione di temere per i suoi timpani».
Poi aggiunse: «L'estrema importanza che in un'opera come questa riveste il senso della misura potrà essere compresa soltanto da chi ne domini la struttura e l'organizzazione. Chissà che effetto avrei potuto ottenere se avessi inserito prima il coro e l'organo! Ma volevo tenerli in serbo per il momento culminante e ho quindi rinunciato a essi nelle altre fasi dell'opera».
I festeggiamenti e i ringraziamenti entusiastici del pubblico nei confronti di Mahler non accennavano a spegnersi. Tutti si accalcavano verso il podio e lui dovette rientrare almeno una decina di volte. Le signore sventolavano i loro fazzoletti e non volevano lasciare la sala.
Quando quell'onda sì fu calmata e l'assembramento di persone disperso, ci riunimmo con Mahler e un piccolo gruppo di conoscenti al Park Hotel. Lui, eccitato per l'esito positivo della serata, era in uno stato d'anirno gioìoso ed espansivo, si informò calorosamente sugli sviluppi di qualunque cosa e si fece carico delle spese del rinfresco. Si espresse soprattutto contro ogni sorta di musica a programma e contro i fraintendímenti e gli equivoci, negando decisamente che le sue opere avessero qualcosa a che spartire con quel genere di musica. A incoraggiare quei sospetti era stato un articolo scritto con le migliori intenzioni da Arthur Seidl, che si trovava fra i presenti. Vi era inclusa una lettera che Mahler gli aveva scritto anni prima, nella quale, più per delicatezza nei confronti di Seidl e Strauss che per esprimere la sua reale opinione, egli sembrava stimare le opere di quest'ultimo più di quanto non le reputasse in verità. Spiacevolmente sorpreso di ritrovarsi davanti quella lettera, mi disse: «Vedi come ti si ritorce contro il non essere completamente sincero e il fare anche la minima concessione in nome dell'affetto che hai per qualcuno! Adesso mi prendono in parola e passo per essere un sostenitore di Strauss e della sua musica a programma, che dovrei invece osteggiare nella maniera più aperta e aspra possibile».
Per rimediare, almeno a posteriori, confessò che riteneva l'impresa di scrivere musica seguendo un programma un gravissimo errore dal punto di vista musicale e artistico. «Uno che riesce a fare una cosa del genere non è un artista! Altra cosa è quando la composizione di un maestro ci appare così brillante e vivace che involontariamente crediamo di scorgervi una trama, un evento; o quando l'artista a posteriori, tenta di spiegare a se stesso la propria opera ricorrendo a questa o a quell'ímmagine, come accade sempre a me; oppure quando la propria materia si innalza ad altezze eccelse e assume forme tali che al compositore non bastano più le note ed egli tende dunque alla massima forma di espressione, che può conseguire solo con il ricorso alla voce umana e alla parola poetica, articolata, come accade nella Nona di Beethoven o nella mia Sinfonia in Do minore. Ma tutto questo non ha niente a che vedere con il proposito banale e ingannevole di scegliersi una trama limitata e ben circoscritta e seguirla passo dopo passo, programmaticamente.»
Mahler si era addirittura rífiutato di prendere in considerazione un programma per la sua Seconda Sinfonia, che alcuni dei suoi «amici» avevano scritto e fatto stampare in occasione di questo concerto, senza nemmeno conoscerne il contenuto (perché non aveva voluto leggerlo). «Le cose devono parlare da sole» disse; «tutto ciò che, ascoltandole, ci passa per la mente di alto e universale, si comunica già così, come nelle parole alla fine della Seconda Sinfonia. E ciò che c'è da capire - almeno a grandi linee - apparirà sempre più chiaro, specie quando uno è morto. Prima di tutto, però, dovrebbero considerarla solo ed esclusivamente musica!».
Natalie Bauer-Lechner (da "Mahleriana", Il Saggiatore, 2011)
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