Gregorio Allegri (1582-1652) |
Nessun pezzo di musica sacra ebbe mai tanta fama, tanta lode, tanta folla d'uditori d'ogni parte del mondo, quanta il Miserere dell'Allegri, che da tre secoli si canta le sere del mercoledì e del venerdì santo nella Cappella Sistina. Per la celebrata bellezza, per la forte emotività, anche per l'ambiente e la ricorrenza, per la preziosità dell'esecuzione, per la difficoltà di possederne copia e di riprodurlo, esso divenne quasi leggendario, parve incommensurabile. Ed è tanto breve e semplice.
Consta di due periodi musicali, che ora cinque, ora quattro voci intonano su i versi dispari e i pari del salmo, riunendosi sulle ultime parole. Non contrappunto a imitazione, non intreccio di parti. Gli accordi sillabati isocroni predominano sulla melodia vocalizzata, secondo la formula del falso bordone cinque-seicentesco. Era questo un modo di cantare declamando in coro, che derivava dall'antica salmodia e dalla crescente diffusione della monodia e delle omofonie profane, e che nella lineare semplicità era capace di intensa espressione.
Gregorio Allegri, romano e di scuola romana, contralto pontificio, insigne fra i maggiori postpalestriniani, ebbe davvero la mano felice, allorchè, lasciate per un momento le complesse polifonie, compose, nel 1638, sembra, questo Miserere. Ne rilevò il carattere penitenziale con armonie gravi, massicce, cupe. Ritmò ansiosamente gli accenti verbali, li martellò e raggruppò variamente, seguendo la verace implorazione d'un peccatore angosciato e tremante. Distinse e riassunse nell'alterna coralità l'affanno dei singoli uomini e di tutta la gente cattolica. Compose così non la sua opera maggiore, ma una pagina densa, emotiva, drammatica. «Merita lode eterna Gregorio Allegri — scrisse ai primi del '700 l'Adami da Bolsena — che ha compiuto il Miserere con poche note, ma sì ben modulate e meglio intese... che rapisce l'animo di chi l'ascolta». Brevità sufficiente e compiuta.
Poteva pertanto quel Miserere con i soli pregi intrinseci destare l'ammirazione di tante generazioni, dalla metà del Settecento in avanti? Dopo che l'inglese Burney l'ebbe segnalato fra le memorabili opere della polifonia romana, un'attrattiva parve aggiungersi ai fasti della Roma papale, alle glorie dell'Italia musicale, uno scopo al viaggio in Italia, desideratissimo dai francesi, dai tedeschi. I quali scesero in gran numero e della loro stupita contentezza lasciarono echi grandiosi nei libri, nei diarii, nelle lettere. Ne ha ora raccolto un gran fascio il dott. F. Amann (Allegris Miserere und die Auffürungspraxis in der Sistina, Regensburg, 1937). Al Volkmann la composizione sembrò «commovente e patetica quanto appena si può immaginarla». Il Cramer la giudicò naturale, armonica, deliziosa. «Nell'ora crepuscolare spente quasi tutte le luci, questo canto di dolore fa obliare che i suoi melodici suoni son di questa terra; si crede di udire un coro di beati». Nessuna musica, notò l'Junker, più di questa influisce sul cuore; essa ha l'efficacia che gli antichi attribuivano alle loro musiche; dà un profondo brivido, una ineffabile ambascia. Goethe la distinse fra l'indicibilmente bella musica a cappella. La De Stael : «Una musica santa, che induce alla rinuncia di tutte le cose terrene. Un verso risuona come una musica celeste, quello che segue vien mormorato da voci profonde e rudi, come una tenera risposta dell'anima all'intenso sentimento, come la reale vita che nemicamente respinga i voti della nobile anima. Ricomincia il lieve coro e par che la speranza riviva... L'ultimo pezzo, più degli altri commovente e nobile, conduce a un puro sentimento. Voglia Iddio donarci, finchè viviamo, un'analoga sensazione». Jacobi ne fu tremendamente scosso. «La terra mi tremava sotto i piedi e per la prima volta nella mia vita ho invidiato il Papa e i cardinali che se ne stavano tranquilli. Mi sarei buttato a terra per sfogarmi a piangere e lamentarmi. Mai altro canto m'ha fatto tanta impressione. Celeste dev'essere l'anima dell'uomo che l'ha trovato». Heinse ascoltò due volte il Miserere e ne fu commosso fino alle lagrime. «Potenza delle parole e della musica. Tremore di pentimento, altalena di oppressa tenerezza, speranza e scoraggiamento, sospiri e pianti di un'anima amante». Kestner non potè dormire due notti, tanto il Miserere gli risuonava nell'anima. Avrebbe voluto distinguere suono da suono, e tutto si fondeva in una indistinguibile armonia. Siever: «Il più nobile, alto pezzo di musica da chiesa, una creazione della verità, con affascinante semplicità, con esemplare chiarezza». Mendelssohn ne ammirò soprattutto l'inizio, e attribuì gran parte del piacere agli abbellimenti aggiunti dai cantanti. Reichardt, studiata la partitura, giudicò soverchio l'entusiasmo di Heinse.
I più competenti cominciavano a notare le esagerazioni dei letterati e, in generale, di coloro che avevano confuso il valore artistico con le condizioni ambientali e accessorie. Mozart fanciullo, che certo non stentò nel notare a memoria il breve Miserere, aveva ripetuto in buona fede la notizia, diffusa in Europa, che era proibito fare e divulgare copie di quel pezzo, pena la scomunica. Soltanto tre sovrani erano stati privilegiati, si da ottenerne dalla Chiesa un esemplare. L'immaginazione dei romantici si compiacque di accrescere via via le intime risonanze del salmo con la suggestione psicologica del luogo e dell'ora, con l'evocazione di fantasmi, di ombre, con il gusto degli incubi e delle visioni. Fu in breve un singolare fenomeno quasi di allucinazione collettiva.
Un altro fattore, che contribuiva all'entusiasmo, sfuggiva anch'esso agli ingenui. Quello dell'esecuzione. I cantori romani solevano già dal Cinquecento, e forse più anticamente, ornare, essi credevano, abbellire, non solo oralmente, ma anche quelle stampate, aggiungendovi note e notine, variandole col gusto dei tempi, mettendo in mostra le virtuosità e vaghezze delle loro voci. Maliziosi, espertissimi, essi accrebbero la drammaticità, la dolorosità del Miserere dell'Allegri con tanti sospiri e gemiti, controcanti e pause, che oggi, nel confrontare l'originale e le molte varianti, si resta sorpresi della loro brillante impostura, e si spiega il fanatismo degli ascoltatori. Il Metastasio, che nell'udizione a Roma era stato «rapito in estasi», dichiarò d'essersi invece annoiato, riudendo il «famoso, celebre Miserere da musici eccellentissimi eseguito in Vienna».
Noia, brutta parola. Estasi, esagerazione. Non basta che la cosa sia quale realmente è? Vanità, trucchi, da una parte; infatuazioni, delusioni, dall'altra.
Anche quando si dice: Miserere.
Andrea Della Corte ("La Stampa", Giovedì 25 Marzo 1937)
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