"Fragmente - Stille, An Diotima" per quartetto d'archi (1979-80) |
Già la sola notizia d'un Quartetto di Nono desta la più viva curiosità, quasi stupore. Nono non ha mal praticato la musica da camera, e il quartetto ne è la forma più rigorosa. Chiedere un Quartetto a Nono è come chiedere una miniatura a un grande maestro dell'affresco. Eppure glie l'hanno chiesto, e chi glie l'ha chiesto! La città di Bonn per il trentesimo Festival Beethoven. E la cosa più straordinaria è che Nono ha scritto veramente un Quartetto, non una cantata sinfonica camuffata da quartetto.
Ha quindi deposto alcune delle sue più costanti prerogative, come l'impegno politico e la predilezione per la voce. Invece che sull'impegno politico ha premuto su quello che già era l'altro pedale della sua ispirazione: la poesia della giovinezza e dell'amore. Un tempo questo motivo era sintetizzato per lui da Garcia Lorca (e anche da Pavese). Ora il tramite è la poesia di Hölderlin, a cui rinvia il titolo del lavoro: Fragmente-Stille, an Diotima. (E piace pensare che ci sia sotto anche l'ombra di affetto verso Maderna, che con Hyperion, contenente tra l'altro una Stele an Diotima, aveva additato in Hölderlin un ricco terreno di esplorazione per la musica nuova).
Quanto all'abbandono del canto, il recente pezzo per pianoforte (sic!) ...sofferte onde serene... costituiva un cospicuo precedente, e in fondo, nonostante la presenza d'un soprano, già Como una ola de fuersa y lus, per pianoforte solista, orchestra e nastro magnetico, aveva dato inizio, dieci anni fa, a una fase, presumibilmente transitoria, di forte interesse per l'espressione strumentale.
Tuttavia alla parola Nono non ci rinuncia completamente. Caratteristica singolare di questo Quartetto è d'avere inscritte in partitura (purtroppo non ancora disponibile) una trentina di citazione da versi di Hölderlin. Queste citazioni si riducono spesso a parole singole, come «sola», «riposa», «maggio», «Stupito», parole appartenenti più al vocabolario che a Hölderlin, ma che il contesto da cui sono estrapolate carica di significato.
Cosi Nono si è trovato anche lui, come Satie, nella necessità di prevenire sciagurate iniziative di chi volesse in qualche modo esternare queste parole durante l'esecuzione della musica. I frammenti di Hölderlin non sono «in nessun modo da essere detti durante l'esecuzione», né sono «in nessun caso indicazione naturalistica programmatica per l'esecuzione».
E allora? «Gli esecutori li cantino interiormente nella loro autonomia, nell'autonomia dei suoni tesi a un'armonia delicata della vita Interiore — forse anche altro ripensamento a Lili Brik e a Vladimir Majakowskij». (E qui fa capolino la componente politica, in quella maniera tutt'altro che dogmatica e ortodossa che è tipica di Nono).
Ma insomma, com'è la musica di questo Quartetto? Non ci si immagini, naturalmente, i Quartetti di Beethoven e di Schubert. Neanche, direi, quelli di Schönberg. Gli unici antecedenti lontani che si potrebbero magari suggerire sono i Quartetti di Bartok, ma soprattutto l'esperienza del suono elettronico. Caratteristica del Quartetto di Nono è la distruzione della dialettica discorsiva. Il Quartetto è una costante alternativa di suoni lunghi, filati, spesso (ma non sempre) in regione molto acuta, e di bravi incisi graffianti, ora a quattro, ora di strumenti singoli.
In principio si crede che questo sia una specie di preludio, di preambolo d'ambientazione per creare il «luogo» sonoro dove poi calare il discorso. Invece poi capisci che no, che sei immesso di forza in un mondo musicale dove non c'è posto per il decorso dialettico delle idee, e perciò non c'è nemmeno posto per il tempo. E' la negazione, l'esclusione del tempo dalla musica.
Cosa vuol dire allora questa provocatoria frammentazione della materia musicale, che esercita nella sua sommessa costanza un forte sortilegio? E' la «armonia delicata della vita interiore». A me è parsa come il pulviscolo della memoria, o piuttosto della coscienza obnubilata del poeta, che visse i suoi ultimi trentasette anni in una queta notte della ragione, da cui esplodevano ancora saltuariamente eccezionali ed isolate folgorazioni poetiche. Il Quartetto è questa armonia delicata d'una coscienza assopita, da cui affiorano i filamenti e i nodi della vita affettiva.
Un Quartetto di questo genere richiede addirittura l'invenzione di un nuovo modo di suonare, ed è quanto ha fatto l'ottimo Quartetto La Salle. che ha portato al successo il difficile lavoro, e si è anche fatto applaudire nel Quartetto op.4 di Zemlinsky, un simpatico lavoretto, molto viennese e molto Jugendstil, e nello squisito Quartetto di Ravel.
Massimo Mila ("La Stampa", martedì 17 febbraio 1981)
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