Hildegard von Bingen (1098-1179) |
Per quasi 2000 anni i dottori della Chiesa sono stati esclusivamente uomini.
Fino al 1970, questo titolo è stato conferito a trenta teologi. Soltanto nel
novecento sono stati proclamati ben sette nuovi dottori della Chiesa. Il periodo
successivo al concilio Vaticano II, però, ha segnato una svolta inaspettata: dal
1970 il destino di essere proclamate dottore della Chiesa è spettato a tre
donne: il 27 settembre 1970 è la volta di santa Teresa d’Avila e, il 4 ottobre
1970, di santa Caterina da Siena – entrambe proclamate da Paolo VI. Santa Teresa
di Lisieux invece è stata proclamata il 19 ottobre 1997 da Giovanni Paolo II.
Bisogna
tenere presente il rango e l’importanza di queste donne sante. Teresa d’Avila e
Caterina da Siena sono senza dubbio figure di spicco del mondo letterario
spagnolo e italiano. Caterina da Siena, per esempio, riveste un ruolo centrale,
pari a Dante e al Petrarca. Mentre Caterina è la patrona principale d’Italia,
Teresa è la patrona della Spagna. La “piccola” Teresina, invece, percorrendo la
sua via di fede, disseminata di prove durissime, nella grande oscurità della
pura fede nell’amore di Dio diventa l’esempio di un’autentica “piccola via”
della perfezione: è la patrona secondaria di Francia e la patrona principale di
tutte le missioni della Chiesa. Soprattutto la “grande” Teresa (d’Avila) e
Caterina da Siena, grazie al loro vasto impegno per un profondo rinnovamento
della Chiesa, si sono dimostrate ciò che possiamo chiamare “donne forti”. Esse
hanno mostrato grande coraggio nel relazionarsi con i principi secolari e con
quelli della Chiesa del loro tempo: nelle loro lettere e visite personali a
chierici e principi, furono convincenti al punto tale da fargli cambiare
opinione, e non hanno mai esitato a usare parole forti.
Il 7 ottobre, a questo elenco verrà aggiunta anche santa Ildegarda di Bingen
(1098 - 1179). Anche lei tenne una fitta corrispondenza con papi, re, principi,
vescovi, religiosi e laici, e intraprese diversi viaggi missionari soprattutto
lungo le rive del Reno e nella Germania del sud. Lì predicò la conversione al
popolo e al clero. Anche lei ebbe delle straordinarie doti poetiche. Mentre le
altre tre sante venivano dall’Italia, dalla Spagna e dalla Francia, santa
Ildegarda di Bingen è la prima santa proveniente dall’Europa centrale, e per di
più dall’ambito di lingua tedesca, a avere questo onore.
Credo che il significato della proclamazione di queste quattro sante,
avvenuto nell’arco di ben quarant’anni e per volontà di tre papi, finora non sia
stato abbastanza riconosciuto – nonostante le molteplici richieste di una
valorizzazione più adeguata della donna nella Chiesa, avanzate dagli ambienti
femministi e di emancipazione. Anche se ciò che di queste sante colpisce di più
è la loro grande spiritualità, non bisogna dimenticare che erano anche molto
colte e dotate di grande talento organizzativo. La loro sensibilità tipicamente
femminile, però, ha anche fatto sì che, alla luce delle loro testimonianze
spirituali, noi dobbiamo rivedere e concepire in maniera più ampia il termine di
“teologia” che, soprattutto a partire dall`alto medioevo fino a oggi, è stato
ristretto e accentuato in modo unilateralmente razionale. Sarà nostro compito
fare luce su come queste donne abbiano saputo dare il loro particolare
contributo alla teologia, e come «con la loro intelligenza e sensibilità» siano
state «capaci di parlare di Dio e dei misteri della fede» (Benedetto XVI,
Heilige und Selige. Große Frauengestalten des Mittelalters).
Vorrei delineare brevemente le tappe più importanti della vita di santa
Ildegarda. Nacque nel 1098 a Bermersheim vicino ad Alzey nell'Assia-Renana da
una numerosa famiglia nobile. Fin dalla nascita venne votata dai suoi genitori
al servizio di Dio. Crebbe in un eremo, e poi (probabilmente a partire dal 1106)
in un piccolo convento femminile di clausura sul Disibodenberg presso Bingen.
Quando ebbe sedici anni, Ildegarda prese i voti perpetui, scegliendo cosi la
vita monastica (circa 1115). Alla morte della sua insegnante, Giuditta di
Sponheim, nel 1136 fu chiamata a succederle e divenne maestra (“magistra”). Per
oltre trent’anni Ildegarda visse e operò nella solitudine del piccolo monastero.
Da lì riuscì, nonostante le difficoltà, a fondare altri due monasteri: uno sul
Rupertsberg (circa 1150) – monastero che durante la Guerra dei trent’anni fu
quasi completamente distrutto dagli Svedesi (1632) – e l’altro a Eibingen (circa
1165) considerato ancora oggi il monastero che rappresenta – seppure non in modo
diretto – la continuità ideale con santa Ildegarda. Nonostante le sofferenze e i
dolori che caratterizzarono soprattutto l’ultima fase della sua vita, santa
Ildegarda intraprese quattro viaggi (1158-1170) in numerose città della Renania
e nel sud-ovest tedesco, dove, nei conventi dei monasteri, come anche nelle
grandi piazze delle città, predicava contro la decadenza, soprattutto del clero.
Dura era anche la critica rivolta al suo tempo, da lei definito «epoca
effeminata» (tempus muliebre). Della lotta contro la setta dei catari
parleremo dopo.
Già molto giovane, Ildegarda mostrò di avere la dote di una visione
estremamente originale. «Queste cose – scrisse – non le ascolto con le orecchie
del corpo e neppure nei pensieri del mio cuore, ma unicamente all’interno della
mia anima, con gli occhi carnali aperti, per cui nelle visioni non subisco il
venir meno dell’estasi: le vedo in stato di veglia, di giorno e di notte». Molto
di ciò fa pensare ai profeti dell’Antico Testamento: «La luce che vedo non è
legata a uno spazio. È molto più splendente di una nube compenetrata dal sole.
Non posso misurarne l’altezza, la lunghezza, l’ampiezza; la definisco “ombra
della luce vivente”. In questa luce talvolta, ma non spesso, vedo un’altra luce
che chiamo “luce vivente”, ma non so dire quando e in che modo io la veda, però
quando la vedo si allontanano da me tristezza e angoscia, e allora mi comporto
come una semplice fanciulla e non più come una donna vecchia». Dopo aver
superato i quarant’anni (1141), le visioni si materializzano in modo fragoroso e
veemente. La silenziosa visionaria si trasforma così in profetessa religiosa.
Nel suo intimo avverte sempre più forte qualcosa che è quasi come un ordine:
«Parla e scrivi ciò che vedi e senti». San Bernardo di Chiaravalle, uno degli
uomini più autorevoli della Chiesa del suo tempo, il suo “Signore senza corona”,
conferma la sua dote profetica. E non solo: al sinodo di Treviri (1147/48) Papa
Eugenio III legge dei passi dagli scritti di Ildegarda. Li aveva fatti esaminare
da una commissione, e ora chiede a Ildegarda di condividere le sue visioni con
tutto il mondo. Da lì nacque il suo primo grande scritto Conosci le vie
(Scivias, 1141-1151).
La sapienza e la capacità espressiva di Ildegarda fanno di lei un enigma.
Poco si sa della sua formazione accademica. Pur essendo molto giovane, conosceva
già il testo della Regola di san Benedetto. Nella liturgia delle ore
entrò in confidenza con i salmi e con le Sacre Scritture, e imparò a conoscere
bene i padri della Chiesa. Le 390 lettere sono la testimonianza di una fitta
corrispondenza con i grandi della sua epoca. Lei stessa, però, si è sempre
reputata un’“indocta”, una “donna semplice”. Non si considerava affatto
un’erudita. Sicuramente le ricerche svolte negli ultimi decenni hanno
evidenziato che soprattutto le donne nei monasteri, e particolarmente quelle di
origini nobili, come le appartenenti alle comunità di santa Ildegarda, avevano
molto più accesso agli strumenti di formazione della cultura classica e
contemporanea, di quanto non si sia pensato finora. Alla luce della sapienza di
santa Ildegarda però, la sua auto-definizione come “indocta” non può
che farci sorridere. Ildegarda, infatti, non conosce soltanto la teologia e la
filosofia della sua epoca, ma è anche esperta di Antico Testamento, di scienze
naturali e di medicina. Sa parlare della bellezza delle pietre preziose, è
medico e badessa, compone inni e altre composizioni musicali. È autrice di uno
studio fondamentale sull’etica, di una vasta opera sul mondo, ed elabora altresì
una cosmologia con orientamento spirituale, contenente una dottrina sull’uomo e
la sua salvezza.
Questo però non significa che la “prophetissa teutonica”, come fu
già chiamata quando era ancora in vita, non fosse cosciente delle faccende del
mondo e della Chiesa, e che li accettasse senza fare obiezioni. Ella scrive non
solo ai papi Eugenio III, Anastasio IV, Adriano IV e Alessandro III, ma anche
agli arcivescovi di Magonza, Treviri, Colonia e Salisburgo. In una missiva
indirizzata all’imperatore Barbarossa, Ildegarda si scaglia duramente contro la
politica papale dell’imperatore. Tra i suoi interlocutori spiccano imperatori e
re, vescovi e abati, sacerdoti e laici.
Ella è la “tromba di Dio”, la “luce fiammeggiante nella casa di Dio”, la
“confidente di Dio”. «Nessuna voce si eleva contro l’audacia di questo fare.
Tutti sono commossi, entusiasti – oppure colpiti alla radice della loro
peccaminosità, scossi al punto da trovare una nuova e santa energia vitale; i
peccatori si pentono, i miscredenti diventano credenti, coloro che erano divisi
si riabbracciano» (Maura Böckeler, Wisse die Wege). Ella viene
apprezzata sempre di più, cosicché l’abate Ruperto di Königstal, dopo aver letto
i suoi scritti, può affermare: «I professori più eruditi del Regno di Franconia
non sapranno mai fare altrettanto. Loro, con un cuore arido e le guance turgide,
si perdono in inutili diatribe dialettiche e sofisticazioni retoriche. Questa
devota donna invece si limita a sottolineare l’unica cosa che conta, l’unica
cosa necessaria. Ella attinge dalla propria pienezza interiore, e la riversa sul
mondo». In sintesi Maura Böckeler scrive: «È così che si svolse la missione
d’Ildegarda nella Chiesa del suo tempo. Alla fine ella non è altro che l’eco
vivente della riforma di Gregorio VII, già monaco di Cluny; e questo eco irrompe
da un cuore ardente e da un’anima toccata dallo Spirito. In tempi in cui l’amore
si raffredda, lo Spirito di Dio riesce sempre a risvegliare uomini e donne, che
come il vento di Pentecoste, soffiano il fuoco caduto dal cielo dentro di loro
su tutta la terra».
Tanti aspetti della sua sapienza e spiritualità sono difficilmente
spiegabili. Nonostante l’ufficio delle ore le avesse fatto conoscere i termini
fondamentali e le parole chiave della lingua latina, il suo latino rimase
comunque molto scarso. Nella sua “monaca preferita” e segretaria Richadis von
Stade, nonché nei suoi segretari Volmar, poi Gottfried e Gilberto di Gembloux,
Ildegarda trova dei collaboratori validi che si distinguono soprattutto per aver
dato corpo alle sue visioni.
Per alcuni decenni, soprattutto dell’ultimo secolo, il rinnovato interesse
per Ildegarda era fortemente concentrato sugli aspetti marginali della sua vita
e del suo operato: ciò che interessava era la medicina naturale di santa
Ildegarda e la sua applicazione diretta, l’esoterica, la sua affinità con il
femminismo moderno, e, in parte, pure la magia. Ma nonostante tutte queste cose
siano indubbiamente irradiazioni delle idee chiave e delle esperienze basilari
della profetessa del Reno, senza un riferimento critico alle testimonianze e
agli scritti fondamentali, non sono altro che deviazioni, che, in ultima
analisi, non fanno che ostacolare l’accesso all’Ildegarda autentica. Per poter
comprendere questo dobbiamo rifarci ai tre scritti che contengono le visioni di
Ildegarda: la Scivias, Conosci le vie (1141-1151) già
menzionata, il Liber Vitae Meritorum (1158-1163), il libro dei meriti
della vita, nonché il Liber Divinorum Operum (1165-1174), il libro
delle opere divine. Quest’ultimo libro con le visioni cosmologiche è considerato
il capolavoro della sua mente creativa. Tra il 1150 e il 1160 presero corpo i
suoi scritti sulle scienze naturali e sulla medicina; opere che rappresentano,
allo stato attuale, una raccolta di esperienze popolari, eredità classica e
tradizione cristiana. Già nel Duecento l’opera originaria non più esistente, il
Liber subtilitatum diversarum naturarum creaturarum, fu suddivisa in
Physica e Causae et curae. A questo vanno aggiunte anche le
390 lettere di cui abbiamo già parlato.
Esistono anche degli scritti minori, come le spiegazioni della
Regola di san Benedetto, dei Vangeli e del Credo, nonché delle risposte
a pressanti questioni teologiche, vite di santi, ma soprattutto una complessa
opera lirica-musicale (Ordo virtutum, inni, sequenze). Queste poesie,
canti e canzoni sono spesso stati tradotti e, in parte, pubblicati con il titolo
di “sinfonia”. L’Ensemble für mittelalterliche Musik di Colonia,
Sequentia, ha inciso l’opera omnia di Ildegarda presso la Deutsche
Harmonia Mundi (5 cd).
Ildegarda è ritenuta una delle figure più straordinarie della scienza umana
europea. Fu anche definita la donna più intelligente del Medioevo. Di nessuna
donna medievale ci sono state tramandate così tante testimonianze letterarie. A
questo riguardo si può constatare un forte cambiamento nella valutazione
dell’importanza di santa Ildegarda, per esempio in rapporto alla filosofia e
alla storia della filosofia. Nelle meritorie opere meno recenti di E. Gilson, B.
Geyer, M. de Wulf per esempio, santa Ildegarda, in questo contesto, non viene
neanche menzionata. Significativa è la posizione che assume K. Flasch; mentre
nella prima edizione del suo famoso libro Das philosophische Denken im
Mittelalter (Il pensiero filosofico nel Medioevo) non la cita
neppure, nella seconda tratta dettagliatamente di lei, anche se rimangono dei
giudizi stereotipati. Nelle sintesi e nei libri ufficiali adottati per
l’insegnamento, le viene data un' importanza considerevole, motivata da ragioni
filosofiche. Seguendo questa logica, però, il pensiero di Ildegarda verrebbe
ridotto a un “simbolismo” del XII secolo e sostenuto da una riflessione
razionale promettente per il futuro.
In un tempo che ha scoperto l’importanza che l’immagine, la metafora, il
simbolo e la narrativa hanno per la filosofia, ampliando così anche il senso del
termine “ragione”, questa è una riduzione inaccettabile. E non rispecchia
affatto la condizione dell’ermeneutica odierna.
Come abbiamo già visto, nel corso dei secoli l’apprezzamento e la ricezione
della “prophetissa teutonica” hanno conosciuto alti e bassi. E se oggi
abbiamo raggiunto una comprensione molto più dettagliata di santa Ildegarda, lo
dobbiamo anche agli studi scientifici svolti in maniera così assidua nel corso
del novecento. Per questo bisogna ringraziare non solo lo storico della
medicina, Heinrich Schipperges di Heidelberg, al quale dobbiamo tante
pubblicazioni, ma soprattutto l’abbazia di Eibingen per averci regalato tanti
studi illuminanti, edizioni critiche e traduzioni. Mi limito a menzionare le
religiose Maura Böckeler, Angela Carlevaris, Adelgundis Führkötter, Marianne
Schrader, Walburga Storch, Cäcilia Bonn – e poi naturalmente suor Maura Zátonyi
e le sue valide collaboratrici, le badesse suor Edeltraud Forster e suor
Clementia Killewald. Un importante contributo è stato dato anche da numerosi
ricercatori e ricercatrici nazionali e internazionali, come anche da tanti
traduttori e traduttrici. Desidero ringraziare in modo particolare il padre
gesuita Rainer Berndt, docente dell’Istituto Ugo di San Vittore a
Francoforte/Sankt Georgen non solo per il congresso tenutosi nel 1997 e per il
congresso che si svolgerà a febbraio-marzo del 2013, ma per molto altro ancora.
Se oggi esistono tante buone ragioni per concedere a santa Ildegarda l’onore
di essere proclamata dottore della Chiesa, lo dobbiamo senz’altro anche a questi
recenti studi. Ma questo onore comporta anche un onere. Infatti, non dobbiamo
limitarci a guardare indietro con ammirazione ed elogio per la sua figura
storica. E se adesso, grazie alla sua vita in santità, alla sua profonda
conoscenza delle cose divine e alla sua vasta spiritualità, viene definita una
donna esemplare, abbiamo il compito di tradurre il suo significato anche nel
nostro presente. Questo, a mio parere, è il mandato più difficile che questa
celebrazione ci assegna.
Gli sviluppi degli ultimi decenni, in cui la popolarità di santa Ildegarda è
andata sempre crescendo, ci servono da monito: non dobbiamo fare l’errore di
adattare santa Ildegarda a delle necessita odierne definite frettolosamente.
Abbiamo sperimentato a sufficienza come singoli fenomeni, quali la medicina
di Ildegarda e molte pratiche esoteriche, spesso non sono rimasti fenomeni
marginali tali da essere valorizzati nel loro significato limitato, ma sono
stati posti essi stessi al centro dell’interesse. È di grande aiuto sapere che,
negli ultimi decenni, abbiamo acquisito una più profonda comprensione della
grande importanza dei tre scritti fondamentali contenenti le visioni, come anche
delle illustrazioni. Così possiamo vedere che nel caso di santa Ildegarda è
particolarmente difficile isolare i singoli dettagli – per quanto istruttivi
possano essere – dall’insieme. Ma proprio perché il nesso universale tra tutte
le cose è radicato nel nucleo teologico e spirituale, la trasposizione del loro
significato nel nostro tempo non è compito facile. Oggi, nell’ambito della
teologia siamo abituati a pensare e a parlare per categorie relativamente
astratte e razionali. Naturalmente questa razionalità la troviamo anche in
Ildegarda, seppure impregnata da una vicinanza interiore, un’affinità con la
causa (“connaturalitas”). Qui emerge il filo agostiniano-platonico
della comprensione della conoscenza umana: nell’incontro personale e nei
rapporti di fede è particolarmente importante nutrire un certo affetto, una
certa simpatia per una determinata cosa – e ancora di più per una determinata
persona – se la si vuole comprendere veramente. È ciò che oggi chiamiamo
empatia. Ildegarda lo chiamava amore.
Al centro del pensiero teologico e spirituale di santa Ildegarda c’è la
creazione. La creazione, però, non è soltanto natura intesa nel senso moderno,
poiché rimanda sempre al suo autore, Dio il Creatore, che, per il Suo amore
incomparabile per l’esistenza creatrice, ha voluto porre l’uomo al centro della
creazione. Questo è evidente soprattutto nella razionalità
(“rationalitas”) dell’uomo, che lo rende capace di riconoscere Dio, e
in Lui tutte le cose, di lodarLo e di soddisfare l’intenzione di Dio nel mondo.
In questo modo, l’uomo viene onorato da Dio, e questi lo rende partecipe del Suo
amore per il creato. Ma questo comporta anche il rischio che l’uomo possa
fallire e finire con lo strumentalizzare la creazione. Ildegarda ci ha fornito
un vero e proprio “lamento degli elementi”. Ma ciò non significa affermare che
Dio tolga la grandezza della sua creazione all’uomo. L’uomo deve esplorare
questo suo mondo in tutta serenità, anzi, lo deve compenetrare
completamente. Deve realizzarsi al centro della creazione attingendo
dal suo essere creato al cospetto di Dio. Ma non deve porre se stesso al centro
del mondo. Tutta la creazione è orientata verso Dio. Non gira semplicemente
attorno all’uomo. Questa visione dell’uomo ci mette in una posizione
particolare, insolita. Ma non possiamo intenderla nel senso moderno
antropocentrico che considera tutto subordinato agli scopi e alle esigenze
dell’uomo. L’approccio antropologico invece stabilisce un rapporto allo stesso
tempo complesso ed equilibrato tra Dio, l’uomo e il mondo.
Questo, però, ha notevoli conseguenze anche per la comprensione della realtà
creata. Ildegarda non vede mai l’uomo e il mondo, il corpo e l’anima, la natura
e la grazia, come fenomeni isolati. L’antropologia è fortemente legata alla
cosmologia e, di conseguenza, anche all’ecologia. L’intera creazione traspare
ripetutamente dal nesso vivo tra tutti i fenomeni. Per descrivere questo nesso
intrinseco di tutto il creato, e soprattutto “l’armonia” con la quale le
creature si relazionano l’una con l’altra fino a completarsi, Ildegarda usa
spesso il termine “sinfonia”, soprattutto nelle sue poesie e nei suoi canti. «E
cosi ogni elemento ha un suono proprio, un suono primordiale che proviene
dall’ordinamento di Dio. Ma poi tutti questi suoni si fondono in un armonioso
concerto di arpe e cetre». E questa sinfonia abbraccia tutto il mondo: «Dalle
più piccole cose quotidiane fino all’infinità dei mondi stellari, e ora, al
centro di tutto: l’uomo, colui che è il cuore del mondo. E forse la spiritualità
ineguagliabile di questa visione del mondo, da interpretare sempre e soltanto a
partire della storia della salvezza, sta proprio in questo: che tutto il corpo
diventa pura luce e musica e che l’intero cosmo diventa suono e armonia». In
questo contesto i colori hanno un ruolo fondamentale, soprattutto la
“viriditas”, la verdeggiante energia vitale, una delle espressioni più
care alla profetessa. E qui la dimensione fisica e la realtà dell’anima
diventano una cosa sola. Si tratta della vita della creazione, ma anche del
rinnovamento adoperato dallo Spirito Santo. A causa della violenza dell’uomo
questa energia verdeggiante della creazione è andata indebolendosi; e così
rischia di inaridirsi e necessita di constanti cure. Ma rimane comunque una
forza che scaturisce dalla bontà di Dio che è in grado di rinnovare tutto.
«Dalla mortalità non viene alcuna vita, e la vita consiste soltanto nel vivere.
Nessun albero germoglia senza la forza verdeggiante, nessuna pietra fa a meno
della verde umidità, nessuna creatura è priva di questa particolare forza, anzi,
la stessa eternità vivente è permeata dalla forza verdeggiante». L’uomo deve
essere pronto, ogni volta, a uscire fuori dalla limitatezza del suo “io”
racchiuso in se stesso, e a farsi condurre al largo: farsi condurre cioè dalla
siccità verso una forza verdeggiante che è anche una forza propria dello Spirito
di Dio.
A questo punto bisognerebbe dimostrare come la creazione sia strettamente
legata a Gesù Cristo. In fondo, la creazione tende all’incarnazione di Dio in
Gesù Cristo. Soltanto partendo da Lui si avvererà tutto ciò che abbiamo detto
sulla creazione. Ma questo richiede anche la convinzione, che la creazione di
per sé è volatile, ma viene salvata dalla risurrezione di Gesù Cristo e degli
uomini. Questo compimento è qualcosa che Ildegarda non perde mai di vista. «A
colui che coltiva il campo del suo corpo con discrezione (“discrete”),
l’avvicinarsi della fine non potrà nuocere: esso verrà accolto dalla sinfonia
dello Spirito Santo (symphonia Spiritus Sancti) e ciò che lo aspetterà
sarà una vita di letizia (vita laeta)». Anche qui abbiamo dunque una
“sinfonia” dei misteri della fede strettamente collegati tra di loro. In questo
contesto, santa Ildegarda usa spesso l’immagine del cerchio.
Da queste basi profonde emergono delle conseguenze di alto valore pratico ed
etico. Santa Ildegarda non ha dubbi quando afferma che Dio ha creato il nostro
mondo come un mondo buono. Ella non chiude gli occhi davanti al male e al
peccato che portarono tanta distruzione e disarmonia nel creato. Perciò tutto
dipende dalla conversione dell’uomo. Con questa teologia della creazione
ottimista, però, Ildegarda lotta contro certe tendenze dell’influenza del
neoplatonismo nella teologia contemporanea, e soprattutto contro tutte le
tendenze dualiste-manicheiste che vogliono abbassare l’importanza della materia,
sminuendola. Questo emerge forse in modo più chiaro nell’atteggiamento positivo
che Ildegarda ebbe nei confronti del corpo e nel suo approccio sorprendentemente
disinvolto alla sessualità umana. E questo si ripercuote anche su come Ildegarda
vede il rapporto tra uomo e donna. È vero che considera tale rapporto in modo
conservatore, nel senso della subordinazione della donna all’uomo, ma
all’interno di questa compagine permette comunque forti accenti correttivi. In
questo modo, per esempio, Ildegarda ritiene – cosa tutt’altro che scontata – che
non solo l’uomo sia fatto a immagine e somiglianza di Dio, ma anche la donna. E
questa valutazione include anche il corpo umano. Verginità e maternità non sono
più in contrapposizione, ma vengono rappresentate nella loro relazione
reciproca. Incurante dell’influsso di Agostino, il matrimonio viene visto in
modo positivo. Per Ildegarda la donna non è semplicemente debole, ma essa è
“mollioris roboris”, cioè “di una forza più mite”; e allo stesso modo
la forza maschile deve essere attenuata con “mansuetudo”, cioè con la
mansuetudine.
Questa è anche la ragione per la quale santa Ildegarda, soprattutto nei suoi
anni maturi, lotta così decisamente contro i cosiddetti catari, un movimento di
tipo settario che, pur avendo radici nella motivazione ascetica, alla fine
giunse a una valutazione del tutto negativa del corpo creato. I viaggi di cui
abbiamo già parlato, che portarono Ildegarda lungo le rive del Reno e nel
sud-ovest della Germania, sono motivati dal rifiuto di questo movimento a
impronta dualistica. I catari si distinguono per un’aspra critica del matrimonio
e dello stato della donna. È molto probabile che gran parte delle donne di
questo movimento abbiano subito violenze sessuali e domestiche: «Il matrimonio
non ha alcun valore»; «Le donne sono demoni». Forte della sua spiritualità e
teologia, santa Ildegarda divenne un'instancabile combattente contro questo
movimento eretico; e nella sua difesa del corpo umano e della realtà creata, è
proprio il suo stato di donna religiosa che le conferisce una credibilità
particolare.
Sono certo che oggi questo significato che Ildegarda ha per noi, possa essere
compreso e maggiormente approfondito sotto tanti aspetti. Raramente, però,
questo approccio può essere diretto. Nonostante infatti, la sua attualità,
alcuni pensieri d’Ildegarda ci risultano ancora inaccessibili e necessitano di
un'interpretazione accurata. Solo così sarà dato un contributo che costituisce
un autentico arricchimento. Ora, dopo tutto il minuzioso lavoro svolto a livello
storico ed editoriale, è questo il compito al quale dovremmo dedicarci. E qui,
in particolar modo, è chiamata in causa la teologia sistematica. Ma dovremo
munirci di santa pazienza.
Possiamo forse concludere con ciò che il cronista ci racconta degli ultimi
anni di vita di santa Ildegarda: «Nel suo seno brama un amore così buono, che
non negò a nessuno il suo abbraccio. Ma siccome “la fornace prova gli oggetti
del vasaio” (Siracide, 27, 5) e “la mia potenza infatti si manifesta
pienamente nella debolezza” (2 Corinzi, 12, 9), fin dalla sua
infanzia fu colpita da frequenti, quasi continue malattie dolorose, cosicché
solo raramente si servì dei suoi piedi per camminare, e siccome l’intera
costituzione della sua carne era instabile, la sua vita era come l’immagine di
una morte preziosa. Ma ciò che mancava di forza all’essere esteriore, attraverso
lo spirito della sapienza e della forza, venne aggiunto all’essere interiore, e
mentre il suo corpo decadeva, si fece sentire il meraviglioso soffio della
fiamma del suo spirito».
La conclusione di questa “Vita” sottolinea come Ildegarda, dopo
«aver prestato fedele servizio al Signore in tante dure battaglie [si trovò
afflitta dal tedio della vita] e pregava ogni giorno di essere “sciolta dal
corpo per essere con Cristo” (Filippesi, 1, 23). Dio esaudì questo suo
desiderio e, proprio come ella aveva pregato, le rivela, nello spirito
profetico, la sua fine, che ella annuncia anche alle sue sorelle. E così, dopo
aver lottato per qualche tempo contro la sua malattia, il 17 settembre,
nell’ottantaduesimo anno della sua vita, fa felice ritorno nella casa del suo
Sposo celeste».
Sarebbe doveroso ringraziare molte persone. Il ringraziamento più grande,
però, lo dobbiamo a Papa Benedetto XVI per il coraggio che ha dimostrato nel
proclamare santa Ildegarda di Bingen dottore della Chiesa. Forse il suo pensiero
traspare meglio da un breve indirizzo ai partecipanti a un simposio
internazionale su Ildegarda, al quale fu invitato nel 1994, e in cui disse:
«Avrei volentieri accettato l’invito al vostro convegno su Ildegarda di Bingen,
in quanto questa figura mi ha affascinato fin dalla mia gioventù. Il mio
interesse per lei è nato all’inizio degli anni quaranta dalla lettura di un
romanzo di Hünermann, allora molto popolare: Das lebendige Licht
(La luce vivente). Questo primo incontro mi incoraggiò poi a inseguire
la fonte di questa luce più da vicino, anche se purtroppo non ho mai trovato il
tempo di dedicarmi a studi veri e propri su Ildegarda. Oggi Ildegarda si
presenta a noi in tutta la sua universalità audace. Ci sentiamo attratti
dall’affettuosa attenzione che ella presta alle forze risanatrici della
creazione, e dalle sue molteplici doti artistiche, ma soprattutto dalla sua
intensa predicazione della fede; la sentiamo dunque vicina come donna che ha
amato Cristo nella Sua Chiesa senza alcuna ingenuità e senza timore. Anzi,
proprio grazie al suo contatto con il mistero di Dio fu in grado di dire la
parola giusta alla sua epoca, in tutta libertà e senza alcun timore. Nella crisi
dell’uomo d’oggi che stiamo affrontando, Ildegarda ha ancora molte cose
importanti da dirci. In questo senso vi auguro che le vostre conversazioni siano
feconde, affinché il messaggio di Ildegarda nella sua immutata attualità possa
essere ascoltato e compreso di nuovo».
Karl Lehmann, Cardinale vescovo di Magonza, 7 ottobre 2012
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