Molti continuano a domandarsi: perché non c'è più il Quartetto Italiano? Perché ciò che ha valore assoluto non ha vita perenne? Domande che urtano contro il senso della realtà. Tutto finisce, dal momento che tutto ha un inizio, osserveranno i bis-bis-bisnipoti di monsieur de La Palice. Noi preferiamo credere a un importuno, Friedrich Nietzsche, che, per fortuna dell'Occidente, non aveva senso della realtà né un briciolo di buon senso. Il Quartetto Italiano ci ha dato gioia, e continua a darcene quando ascoltiamo le sue registrazioni, felicemente conservate. Ma "ogni gioia vuole eternità, profonda eternità", è scritto in una delle ultime pagine di Also sprach Zarathustra. Perdura ciò che è sopravvissuto al tempo. Il tempo non ha distrutto la fama, anzi, l'ha esaltata. Si smentisce così la luttuosa sequenza dei Trionfi petrarcheschi, che pure all'eternità approdano ritrovando in essa la forma indelebile di ciò che è stato temporaneamente. In fondo, la cancellazione era illusoria.
Inopportuno sfiorare temi filosofici quando si parla di persone il cui intelletto è così fortemente legato alla materia bella e affinata? No, poiché la vera grandezza impone al pensiero la massima attenzione. Nell'esperienza musicale del Novecento, l'insuperabile gruppo di strumentisti è per ogni musicista il più arduo termine di confronto, l'esempio per eccellenza, e non vorremmo ripetere l'abusatissima parola, "un mito", né parlare di "icona della musica da camera". Se restituiamo al fluire del tempo una dimensione ragionevole e non nevrotica, l'era del Quartetto Italiano è terminata appena l'altro ieri: vent'anni fa. É durata trentacinque anni, dalla fine della Seconda guerra mondiale all'inizio degli Ottanta. Ma in piena guerra, nel 1942 (oggi pare incredibile che in quei durissimi frangenti e in quella depressione dello spirito si potesse pensare alla musica, essere musicisti, far progetti di musica), quattro giovani si erano incontrati ai corsi estivi dell'Accademia Chigiana e, suonando insieme il Quartetto di Debussy al saggio finale, avevano sognato di costituire, in tempi migliori, una formazione quartettistica stabile. Il kairós venne nell'agosto 1945, quando il Quartetto Italiano nacque e iniziò il proprio lavoro, divenuto per noi un bene di tale qualità da indurci a considerarlo una di quelle realtà che giustificano con la propria esistenza storica il nostro Paese, così come la Scuola di Musica di Fiesole, fondata da uno dei "quattro cavalieri dell'arco", Piero Farulli, è una delle realizzazioni italiane che giustificano con la propria eccellenza didattica e artistica l'esistenza di una cultura italiana in atto. I quattro erano Paolo Borciani, morto per insensatezza del destino nel 1985 a sessantadue anni (era nato a Reggio Emilia alla fine del 1922), Elisa Pegreffi, rispettivamente primo e secondo violino, Lionello Forzanti viola (presto sostituito: con Piero Farulli il Quartetto raggiunse la sua formazione storica), Franco Rossi violoncello. Guido Alberto Borciani, fratello di Paolo, musicista e instancabile animatore musicale, narra in un libro bilingue, italiano e inglese, la storia della meravigliosa avventura artistica e intellettuale che fu coronata da un riconoscimento d'eccezione: una registrazione del Quartetto Italiano nella "cavatina" dall'op.130 di Beethoven fu collocata dalla Nasa fra le testimonianze della specie umana che la sonda Voyager 2 sta portando ai confini del cosmo.
Guido Alberto Borciani, "Il Quartetto Italiano. Una vita in musica", prefazione di Duilio Courir, Aliberti, Reggio Emilia 2002, pagg.158, € 14,90.
Inopportuno sfiorare temi filosofici quando si parla di persone il cui intelletto è così fortemente legato alla materia bella e affinata? No, poiché la vera grandezza impone al pensiero la massima attenzione. Nell'esperienza musicale del Novecento, l'insuperabile gruppo di strumentisti è per ogni musicista il più arduo termine di confronto, l'esempio per eccellenza, e non vorremmo ripetere l'abusatissima parola, "un mito", né parlare di "icona della musica da camera". Se restituiamo al fluire del tempo una dimensione ragionevole e non nevrotica, l'era del Quartetto Italiano è terminata appena l'altro ieri: vent'anni fa. É durata trentacinque anni, dalla fine della Seconda guerra mondiale all'inizio degli Ottanta. Ma in piena guerra, nel 1942 (oggi pare incredibile che in quei durissimi frangenti e in quella depressione dello spirito si potesse pensare alla musica, essere musicisti, far progetti di musica), quattro giovani si erano incontrati ai corsi estivi dell'Accademia Chigiana e, suonando insieme il Quartetto di Debussy al saggio finale, avevano sognato di costituire, in tempi migliori, una formazione quartettistica stabile. Il kairós venne nell'agosto 1945, quando il Quartetto Italiano nacque e iniziò il proprio lavoro, divenuto per noi un bene di tale qualità da indurci a considerarlo una di quelle realtà che giustificano con la propria esistenza storica il nostro Paese, così come la Scuola di Musica di Fiesole, fondata da uno dei "quattro cavalieri dell'arco", Piero Farulli, è una delle realizzazioni italiane che giustificano con la propria eccellenza didattica e artistica l'esistenza di una cultura italiana in atto. I quattro erano Paolo Borciani, morto per insensatezza del destino nel 1985 a sessantadue anni (era nato a Reggio Emilia alla fine del 1922), Elisa Pegreffi, rispettivamente primo e secondo violino, Lionello Forzanti viola (presto sostituito: con Piero Farulli il Quartetto raggiunse la sua formazione storica), Franco Rossi violoncello. Guido Alberto Borciani, fratello di Paolo, musicista e instancabile animatore musicale, narra in un libro bilingue, italiano e inglese, la storia della meravigliosa avventura artistica e intellettuale che fu coronata da un riconoscimento d'eccezione: una registrazione del Quartetto Italiano nella "cavatina" dall'op.130 di Beethoven fu collocata dalla Nasa fra le testimonianze della specie umana che la sonda Voyager 2 sta portando ai confini del cosmo.
Guido Alberto Borciani, "Il Quartetto Italiano. Una vita in musica", prefazione di Duilio Courir, Aliberti, Reggio Emilia 2002, pagg.158, € 14,90.
di Quirino Principe (Il Sole 24 Ore, 11/08/2002)
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