Omeopatia musicale: pillole per attenuare il male dell'insensibilità culturale dilagante.
Curarsi con la musica senza necessariamente ricorrere al suono...

sabato, settembre 09, 2006

Il Maestro von K e il mistero del Capolavoro scomparso

Le notizie, già sul principiare dell'intera vicenda, apparvero frammentarie e un po' oscure; ma la cosa peggiore fu che vennero tenute volutamente celate per timore di chissà quale scandalo. Così, quando il mosaico dei fatti fu composto, riannodando i fili di circostanze tuttora inspiegabili e misteriose, ci si accorse che era ormai troppo tardi e la verità apparve assurda e incredibile nello stesso tempo: la stupida cocciutaggine a tener segreti i fatti aveva tragicamente cagionata la definitiva perdita del Capolavoro.
Era accaduto che, in luoghi lontani fra loro e nel corso di una sola notte, il fuoco avesse distrutto manoscritti di musica. Prima a Berlino, poi a Bonn e a Parigi. Nessuno poté spiegare con esattezza come e perché gli incendi fossero scoppiati. Ma risultò chiara una cosa: le fiamme erano divampate all'improvviso, avevano divorato pochi fascicoli di carta impolverata e altrettanto all'improvviso s'erano spente. La perdita più grave fu segnalata a Berlino, dove venne ridotto in cenere un intero volume manoscritto; mentre a Bonn e a Parigi andarono distrutti solo pochi fogli.
Una settimana dopo questi strani incendi si venne a conoscenza di altri accadimenti. Ci fu in tutta Europa, nelle Americhe e financo nell'Estremo Oriente una catena incredibile di incidenti che in breve tempo - due o tre giorni al massimo - privarono biblioteche pubbliche, negozi e case di privati cittadini di parecchia musica stampata. In un secondo momento fu segnalato che altri accidenti avevano colpito grandi e piccole case discografiche. Nei loro archivi, l'acqua, il fuoco o addirittura voracissimi roditori avevano fatto scempio di matrici fresche e vecchie. Poi si scoprì che analoga fine avevano fatto, in tutto il mondo, le raccolte discografiche pubbliche e private, di collezionisti e di commercianti. Sembrava, insomma, che il destino si fosse improvvisamente acanito contro la musica.
Tutte queste notizie si seppero soltanto quando una notissima industria fonografica tedesca, rilevati i danni al proprio archivio, inviò a Berlino il celebre direttore Maestro von K per un sopralluogo alla Deutsche Staatbibliotek; mentre i Maestri S e A si precipitarono a Bonn e a Parigi. Furono loro che, da Vienna, in un pomeriggio assonnato di agosto annunciarono alla stampa e alle reti televisive di tutto il mondo l'irreparabile tragedia. Il Maestro von K, con occhi lucidi di commozione e con voce franta, lesse poche righe di un comunicato: "Oggi siamo a conoscenza che circostanze misteriose hanno fatto scomparire dalla faccia della terra ogni testimonianza scritta e registrata della Nona di Ludwig van Beethoven". Il trambusto che seguì cotesto annuncio fu indescrivibile. Migliaia di domande cozzarono senza risposta contro il "no comment" ripetuto continuamente dall'anziano Maestro von K. Tuttavia altri particolari trapelarono. Si seppe che a Berlino era stato distrutto dalle fiamme l'intero manoscritto della Sinfonia, alla Beethovenhaus di Bonn un foglio con le prime sedici battute della "coda" dello "Scherzo" e le parti di trombone del secondo e quarto tempo e alla Biblioteca del Conservatorio di Parigi l'introduzione strumentale dell'assolo del tenore ("Marcia") del quarto tempo. Altro non si riusci a sapere che questo povero inventario di cimeli ridotti in cenere. Poi, nel silenzio interrotto dai clic dei fotoreporter, si udì il trascinar dei passi del Maestro von K, sorretto per le braccia dai Maestri S e A, e, con lui, s'allontanò il suo sommesso singhiozzare.

Il danno, certo, era inalcolabile. Come quantificare la perdita del Capolavoro per l'umanità intera, per la Storia e per la Cultura? Ora e per sempre, ogni uomo a cui stava a cuore il valore spiriturale d'un sì grande lascito artistico si sentiva più povero. Ma molto più povere dovettero sentirsi improvvisamente tutte le industrie del disco che avevano fondato proprio sul Capolavoro l'immenso impero del loro business. Ora e per sempre, s'arrestava quel fiume di danaro che la voracità delle loro casse ingoiava ogni anno.
Fu questa considerazione, unita al non trascurabile evento che lo spettro della miseria venisse di lì a poco a tormentare i sonni di celebratissimi direttori d'orchestra, a prevalere sui più nobili sentimenti e sulla generale commozione, quando a Vienna si insediò il Comitato Permanente per la Ricostruzione della Nona. La presidenza fu affidata al Maestro von K il quale volle con sé gli statunitensi B e M, l'inglese sir D, gli italiani G e A (quest'ultimo in rappresentanza dell'Austria, venne precisato), il tedesco S, il francese P e il giapponese 0. Era una multinazionale di bacchette che fotografava, per dir così, quell'altra più potente multinazionale del disco, con accanto gli interessi personali di ciascuno.
I primi risultati furono così incoraggianti da suscitare tra gli illustri Maestri una ventata d'improvviso ottimismo. Ci fu persino qualcuno ad avanzare l'ipotesi che in un paio di mesi l'opera di Ricostruzione sarebbe stata conclusa. Il Maestro P, francese, si disse convinto che per Natale l'umanità (e non solo quella) avrebbe riavuto la Sinfonia. Si erano anche accordati che, per l'eccezionalità della faccenda, il tradizionale Concerto di Capodanno avrebbe sostituito i valzer di Strauss con la Nona ritrovata, trasmessa in mondo-visione da Vienna. Si riannodavano così i fili ideali della Storia: la prima esecuzione della Sinfonia avvenne nella capitale austriaca, quindi apparve giusto che sarebbe toccato a Vienna farla riascoltare all'umanità. Nessuna obiezione poi venne sollevata quando solennemente il Maestro von K si candidò per dirigere la Nona nell'ormai prossimo concerto viennese. In realtà, tanto entusiasmo era giustificato dal fatto che nella seconda settimana di settembre l'intero quarto movimento, quello dell'Ode alla Gioia di Schiller, era sostanzialmente ricostruito almeno per ciò che riguardava le parti dei solisti e del coro. La strumentazione del canto sembrava un gioco da bambini per quel pool di grandi Maestri. Sì, erano sorti i primi problemi con la "Marcia Turca" e, soprattutto, con quell'ampio Recitativo di violoncelli e contrabbassi che annuncia l'esultanza schilleriana "Freude, schöner Götterfunken": Gioia, bella scintilla di Dio. Ma si preferì andare avanti, anche perché quel Recitativo, era noto a tutti, conteneva, a guida di reminiscenze improvvise, la materia tematica degli altri tre movimenti. "E' un gioco da bambini", sussurravano fra loro le bacchette, canticchiando felicemente l'Ode alla Gioia. Purtroppo, di lì a qualche settimana i nove Maestri avrebbero smesso di gioire.
I guai ebbero inizio nel momento in cui si tentò di delineare il quadro dei valori dinamici ed espressivi della Nona. Bisognava arrivare innanzitutto alla verità della scrittura originaria; affermare cioè le indicazioni di ciascun movimento come architrave su cui era poggiata l'intera architettura.
Poi, all'interno di questa, stabilire con la maggior precisione possibile tutti i segni che contribuivano a dar plasticità alla musica, ora svolgendo una frase in pianissimo, ora declamandola in fortissimo; ora allargando, ora stringendo; ora misurando l'esatto valore dei silenzi. E furono proprio questi argomenti preliminari a mettere in crisi il Comitato.
Non si venne a capo di nulla. Anzi, i nove Maestri consumarono numerose sedute a litigare tra loro. Il Maestro A accusava l'americano M di faciloneria per le troppe libertà prese quando, a sproposito, insisteva sui "rubati". Sir D incolpava l'altro americano, il Maestro B,'per la manìa di trasformare tutto in passo di danza. Lo stesso Sir D si vide rimproverato dal francese P gli eccessivi volumi sonori, quasi non conoscesse la dizione "ppp". Insomma, le accuse rimbalzavano dall'una all'altra bacchetta e non sempre, tra quegli illustri Maestri, i toni erano gentili. All'italiano A si imputava la grande freddezza; al francese P il troppo calore; al tedesco S il temperamento marcato; all'altro italiano G l'assenza di lucidità; al venerando von K, persino a lui, la snervante lentezza. Col giapponese 0 si accanirono tutti: fu indegnamente accusato di copiare lo stile degli altri.
Ad autunno avanzato, l'ottimismo dei nove Maestri volò via. Non solo essi ebbero la netta sensazione che sarebbe stato impossibile ricostruire la Nona per Natale, ma si accorsero di trovarsi innanzi a una realtà ancor più tragica che li gettò in uno stato di completo scoramento. Si resero conto infatti che nessuno di loro ricordava, sia pure per approssimazione, i valori di metronomo e le espressioni dinamiche della partitura. Il peggio venne quando si accorsero di non poter ricostruire neppure una nota, una pausa, una battuta. Sembrava incredibile: quei Maestri che tante e tante volte avevano diretto la Nona a occhi chiusi, adesso non la ricordavano più. Il Capolavoro era fuggito dalla loro memoria.

Col passar dei mesi vennero tentate altre strade. Fu lanciato un appello ai professori d'orchestra di tutto il mondo. Doveva pur esserci un violinista o un fagottista, un suonator di tromba o di contrabbasso, un qualsiasi flautista o un oscuro oboista, qualcuno insomma che in vita sua avesse suonato la Nona e che fosse in grado di riportare su carta da musica la parte del proprio strumento? All'appello non rispose nessuno. Si pensò quindi che poteva esser d'aiuto il tanto inchiostro versato sulla Nona da musicologi e da critici in quasi due secoli di studi e di ascolto. Invano; tutte le ricerche approdarono al nulla. Si scoprì con stupore che dai primi, i quali eran stati prolifici di scritti su un segno di legatura o su un punto con corona, non veniva nessun indizio, neppure il più piccolo, capace di rimettere insieme una sola battuta della Sinfonia. Tra i volumi delle recensioni di numerosissime None, i Maestri, con sottile piacere che fece loro dimenticare per un attimo la tragica circostanza che li aveva riuniti, scorsero soltanto un cumulo di banalità.
Fu verso la metà di aprile, quando ormai la speranza di ricostruire la Nona andava affievolendosi e già nella mente dei Maestri s'insinuava, con tristezza ma anche col desiderio d'uscir da quel travaglio, l'idea di rinunciare all'impresa e tornarsene ai propri affari, che il Maestro G fece una proposta. Sulle prime fu ritenuta unanimemente stupida. Poi, pian piano, a pensarci su, la proposta di G, da prendere pur sempre con un pizzico di scetticismo, apparve una strada, giudicata non eccellente, ma da percorrere. La proposta era semplice, bastava soltanto crederci ciecamente. Quando G la illustrò, il sorriso riapparve sul volto dei colleghi. Fu accettata con una timida riserva da parte di S e si passò allo studio di quella che doveva risultare la più stravagante pensata del secolo: il tentativo cioè di utilizzare strumenti irrazionali e, per dir così, oscuri per ritrovare la Nona e forse svelare il mistero degli sciaguratissimi incendi - magari individuandone i responsabili - e di tutti i successivi accidenti.
Si pensava nientemeno di ricorrere a un numero indefinito si sedute spiritiche mediante le quali sarebbe stato evocato Ludwig van Beethoven per farsi dettare la Nona. Il Maestro G produsse lunghi elogi a proposito di un'anziana signora di Torino dalle acclarate virtù medianiche. L'apologia della medium sarebbe andata avanti chissà quante ore se il Maestro von K con modi autoritari non avesse interrotto G: "Va bene. Si va a Torino". Poi, rivolto al Maestro S, aggiunse: "Lei, che in queste cose mostra di non creder abbastanza, avrà l'incarico di copiare la Sinfonia che lo spirito di Beethoven ci detterà".
A Torino le nove bacchette furono accolte da una signora sulla settantina, grassoccia e col viso coperto da pesante maquillage, estremamente gentile. Da quella vicenda avrebbe avuto grossi vantaggi, in soldi e in notorietà. G le disse che il compenso sarebbe stato di 10 milioni di dollari per le sedute ma soprattutto per il silenzio che lei giurava fin d'ora di mantenere. Si incominciò l'indomani mattina in una strana saletta dalla forma ottagonale con pesanti tendaggi neri.
Al ritmo di tre sedute al giorno - mattina, pomeriggio e sera - la segreta permanenza a Torino dei nove Maestri si protrasse per oltre due mesi. Nei primi tempi dalla bocca della medium in trance uscirono ghigni, risate, lamenti e sospiri. Più avanti, finalmente, si fecero udire delle voci. Una affermava di appartenere a Robert Schumann e gridava in continuazione: "E' agli Elisi! E' agli Elisi!". Un'altra, apprendendo della scomparsa della Nona, scoppiò a piangere e se ne andò. Si pensava di aver finalmente incontrato Beethoven. Ma dopo qualche giorno quello spirito parlò. "La Nona?" Ma io non son riuscito a finirla disse. Era Anton Bruckner.
Uno spirito evocato che dopo molto tempo decise di presentarsi come Richard Wagner affermò che lui era contentissimo, che era tempo che la Nona sparisse giacché era stata cagione di tanti problemi. Gli interlocutori non ebbero mai la possibilità di ottenere da Wagner spiegazione delle sue sibilline parole. Molto spesso lunghi silenzi erano riempiti da ghigni spaventosi e da risate sonorissime. I nove Maestri seppero poi che gli uni e le altre appartenevano allo spirito di Arturo
Toscanini. A svelar loro questa identità fu Gustav Mahler il quale, da parte sua, ripeteva sempre: "Che peccato! Che peccato!".
Insomma, le sedute andarono avanti per un bel pezzo con simili ed altri episodi sconclusionati. La speranza si riaccese quando un'entità rimasta anonima tenne impegnati i Nove per dieci giorni a dettar note su note - e ciascuno può immaginare la fatica del povero Maestro S - compilando intere partiture. Ma a una verifica successiva queste risultarono essere l'Adagio di Albinoni, la Marcia turca di Mozart, il can-can dall'"Orfeo all'inferno" di Offenbach, la marcia trionfale dell'Aida e l'intermezzo della Cavalleria rusticana.
Alla centoventitreesima seduta spiritica risultata inutile, l'americano Maestro B disse qualcosa che gettò i colleghi nello sconforto più profondo: "Io penso che tutti i nostri sforzi per chiamare lo spirito di Beethoven siano inutili. Ricordia-
moci, o signori, che Beethoven era sordo!".

Qualche settimana dopo, a Vienna, il Comitato Permanente per la Ricostruzione della Nona si riunì per l'ultima volta e decise di sciogliersi. I nove si lasciarono una mattina di luglio. Si abbracciarono senza far parola ma, nel silenzio, sembrava che tutti convenissero su un solo pensiero: quello di non voler più sentir parlare della maledetta Nona. Purtroppo il Maestro von K doveva ricevere una visita che lo avrebbe costretto ad occuparsi ancora della faccenda. Accadde a un anno esatto dai misteriosi incendi. Un pomeriggio il cameriere annunciò al Maestro la visita di un certo Amilcare Terlizzi, giunto appositamente dall'Italia, con delle notizie a proposito della Nona. Von K aggrottò la fronte, s'incuriosì e acconsentì a riceverlo. Gli apparve davanti un omino dall'aria dimessa, dall'espressione insignificante e d'età indefinibile, ma certamente non più giovane, a giudicare dalla schiena che cominciava a incurvarsi. Le prime parole che costui pronunciò con un tono di voce quasi spento fecero sobbalzare il Maestro. "Io sono in grado di riscrivere dalla prima all'ultima battuta il Capolavoro che voi state cercando", aveva detto Amilcare Terlizzi.
Lo stupore di von K durò un attimo. Dopo aver misurato quel mucchio di stracci che gli si era parato innanzi, accennò a una smorfia di derisione. "La prego, mi ascolti", insistette l'omino. "Io so a memoria l'intera partitura della Nona". Poi chiese: "E' così gentile da darmi un foglio da musica?". Sempre più incuriosito von K gli porse carta e penna. Amilcare Terlizzi si mise a scarabocchiare qualcosa con un'energia insospettata e con sempre più crescente esaltazione. Dopo pochi minuti riconsegnò il foglio al Maestro che trasecolò: erano le prime, esatte, sedici battute della Nona.
D'un colpo i modi del Maestro riguardo all'omino mutarono. Si alzò, gli strinse la mano e lo invitò finalmente ad accomodarsi. "Quando vuole incominciare?", chiese von K. "Anche subito", rispose Terlizzi. E, dopo una lunga pausa, aggiunse: "Il mio lavoro costa 100 milioni di dollari!". Il Maestro cominciò a farfugliare frasi che ebbero il solo effetto di riscaldare il tono della sua voce. Disse che nessuno poteva sottrarsi al dovere di restituire all'umanità la Nona. Tuonò, sdegnato, che il Terlizzi aveva osato venire a proporgli un ignobile ricatto. La sua voce si fece tagliente e vomitò una sequela di insulti addosso all'omino, il quale con calma si alzò e si diresse verso la porta. Nell'attimo di aprirla, si voltò verso von K e disse:
"Maestro, posso farle una domanda? Lei e i suoi illustri colleghi vi siete mai chiesti perché il Capolavoro è scomparso dalla vostra memoria?". Poi, senza attendere risposta, continuò impassibile: "Voi non avete mai avuto coscienza di possedere un Capolavoro e di amarlo. Avevate soltanto una partitura da far eseguire. Per voi il Capolavoro era un affare e basta. Finché esisteva, anche i vostri affari esistevano. Quando è scomparso nel nulla, vi siete accorti che nella vostra memoria c'era il vuoto. Lo stesso vuoto che c'è sempre stato nel vostro cuore. Vede, Maestro, io sono l'archivista di un oscuro, piccolissimo Conservatorio. Per me la Nona è sempre stata il Capolavoro. Non l'ho mai ascoltata, ma ho speso quarant'anni della mia vita a leggerla, a studiarla e a ricopiarla infinite volte. L'ho amata e ora la custodisco nella mia memoria... Così come nella memoria di quei cantanti son rimaste incancellate le poche pagine che siete riusciti a ricostruire, il canto dell'Ode alla Gioia! Già... e non è il canto qualcosa che passa per il cuore per essere capito compiutamente? Crede ancora, Maestro, che il mio amore per il Capolavoro e i vostri affari non valgano 100 milioni di dollari... ?". Amilcare Terlizzi non diede tempo a von K di cercare risposte. Se ne andò e, andando, intonò a squaciagola il Recitativo di "Freude, schöner Götterfunken".
racconto di Egidio Saracino (Musica Viva, Anno XI n.8/9, agosto/settembre 1987)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Bello il tuo blog! Complimenti.
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