Di questo specifico contesto musicale, che molti vogliono al crepuscolo prendendo per realtà la propria impotenza, Demetrio è stato un protagonista a partire dalla metà degli anni '60, con i Ribelli e in seguito con gli Area, che egli fondò nel 1972 e dal quale si staccò la scorsa stagione per meglio dedicarsi alla sperimentazione, gruppo che ha rappresentato e rappresenta la punta di diamante della cultura musicale pop italiana. Sono anche gli anni in cui egli inizia le ricerche sulla voce che lo porteranno al suo capolavoro, Cantare la voce, registrato dopo lunghe prove, senza ausili meccanici o elettronici, nel maggio del 1978. Spezzando la barriera che tiene prigioniera la vocalità nelle sue strutture linguistiche e psicologiche Demetrio ha elaborato un sofisticato progetto di liberazione della «voce cantata» dagli «ideologismi» della cultura e della politica. Un progetto sorretto da grandissime capacità vocali e da complesse ricerche tecniche teoriche, che l'hanno portato dai palcoscenici del pop all'Istituto di Glottologia dell'Università di Padova, dalle performances nelle gallerie d'arte europee ai musei di tutto il mondo e in particolare a quel Roundabout Theatre di New York che vanta la direzione tecnica di John Cage di cui Demetrio è stato l'inimitabile interprete dei suoi più recenti lavori a partire da Mesostics, ne esiste una superba versione discografica del 1974, edita dalla Cramps. Se la «militanza» con gli Area ha dato al pop italiano le sue più belle bandiere, da Arbeit macht frei del 1973 a Maledetti del 1978, gli dei se ne vanno, gli arrabbiati restano è, tuttavia, la collaborazione con Cage in musica, con Cunnigham nella danza, con Balestrini nella poesia, con gli psicoanalisti della scuola lacaniana nell'indagine fenomenologica della voce che ha dato vita a tutta una serie di esperienze interdisciplinari di estrema attualità aprendo la strada a nuovi risultati vocali di cui possiamo scorgere gli ultimissimi echi nella lettura di Artaud per la rassegna «Poesia ininterrotta» organizzata a Parigi da France Culture, o nel pezzo Milleuna di Balestrini con il concorso mimico di Valeria Magli.
Se la voce non comunica più nulla, gli fu chiesto da un giornalista in occasione del suo primo dìsco sulla voce, Metrodora, qual è la natura del problema?
Demetrio rispose: «Semplice. Oggi, con il declino della vecchia vocalità cantata, si tende ad usare la voce come tecnica di espressione. Io voglio spingere la mia ricerca più in là, fino ai limiti dell'impossibile. Faccio esperimenti sui suoni più acuti e sono arrivato fino a 7000 hertz. Cerco di prendere tre o quattro note alla volta, di lavorare sugli armonici. Tutto questo non ha nulla a che vedere con la tecnica di espressione, è più che altro una tecnica di controllo mentale, è un microcosmo ancora da scoprire». Forse è questo che lo convinse nell'anno accademico 1978/79 a tenere un ciclo di lezioni sulla voce al Conservatorio di Milano e di discutere con gli studenti dei suoi studi di etnomusicologia e, qui, vale la pena di rivelare un segreto, mentre molti non si sono ancora resi conto del grado di difficoltà affrontato da Demetrio nelle sue triplofonie e della qualità di suono a cui era arrivato, le sue sperimentazioni lo avevano già portato alle soglie delle quadrifonie, un limite varcato da così pochi nell'intera storia della musica da poterli contare con una mano.
di Gianni Sassi (Laboratorio & Musica, Anno I n.4, settembre 1979)
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